Il lavoro, il Mezzogiorno, il Sud e lo stallo dell’Italia [Parte 4]

I giovani, per esempio. Faccio un esempio. Un giovane di un qualsiasi paese europeo che a venticinque anni è ancora in famiglia si sente a disagio, culturalmente a disagio. In Italia, no. Un giovane italiano, uscendo dalla famiglia, non acquista particolare libertà, anzi, acquisisce dei vincoli, deve assumersi delle responsabilità, compiti, vincoli, soprattutto quei ragazzi meridionali, in questo momento certamente i più vivaci e intraprendenti, che salgono al Nord. Quei ragazzi che sono e diventeranno la classe dirigente di un Nord che provvede a immettere i propri giovani nel mercato del lavoro il prima possibile.

Del resto basta guardare le grandi aree metropolitane meridionali. La situazione è peggiorata da tutti i punti di vista: droga, vandalismo, delinquenza organizzata e disorganizzata, sottoccupazione, violenza varia, disgregazione familiare, sottocultura e trasformismo. Quello che sarebbe interessante conoscere, nel caso si formino gli anticorpi, è in che proporzioni la nostra società, questa società, è civile o incivile.

Forse sarebbe anche ora di smettere di pensare a una sorta di falso nuovismo e ricercare
invece nuove forme e nuovi approcci alle problematiche che ci accerchiano, siamo tutti
immersi in una immensa palude. Ma non possiamo non permetterci di essere fiduciosi.

Vi domanderete: e in tutto questo, i lavoratori? Ebbene, io sono convinto che in tutta questa confusione sono in parte più avanti di quello che immaginiamo. Forse, non so se in maniera inconsapevole o meno, hanno percepito e hanno distinto prima di altri il luogo di lavoro da quello che vi è fuori dalle “mura” e c’è chi ancora si chiede perché. È probabile che si debba guardare i lavoratori non più secondo l’ottica della classe sociale “accertata” e di certezze ben definite, cercando di capire che quello che è successo dal punto di vista dell’evoluzione dei consumi e della mentalità ha buttato all’aria tutto. Accettando, realisticamente, di essere ormai immersi in una società che non prevede più i né. La nostra è una società “multi” e basta. Siamo tutti diversi.

Facciamo qualche esempio. Il lavoro precario. Oggi sembra che tutti si siano convinti
che questo sia il mondo contemporaneo e che quindi non vi sia nulla da fare. Non è così.
È che così come è inteso oggi, è l’antitesi della libertà. Pensate semplicemente a quante
volte al giorno usiamo alcune parole: precario, atipico, flessibile, giovane e io aggiungo
solitario e con l’impossibilità di immaginarsi il futuro, uno che guadagna poco, è stressato
ed è pure ansioso. Pensiamo semplicemente a quanto l’irruzione della discontinuità, della
flessibilità, in altre parole la varietà, la confusione e l’insicurezza delle forme lavorative,
soprattutto al Sud, presuppongono togliere energie a tutti quei lavoratori e cittadini che
vogliono impegnarsi in altre cose, avere altri interessi che non siano solo la ricerca del
lavoro e dello sbarcare il lunario. Immaginiamo quanto sarebbe diverso invece se questo
riuscisse a trasformare la nuova precarietà delle forme di occupazione in un diritto alla
scelta del proprio tempo lavoro, regolata all’interno delle condizioni contrattuali di base.

Immaginate se questo servisse a conciliare lavoro, vita e interessi sociali e pure ozio
direi. E allora mi viene in mente una delle più belle affermazioni di Bobbio: «L’uomo non
nasce libero se non nelle astrazioni degli illuministi, l’uomo diventa libero in un ambiente
sociale in cui condizioni economiche, politiche, culturali siano tali da condurlo, anche
suo malgrado, ad acquisire coscienza del suo valore di uomo». Come dargli torto?