Tutti scomparsi | C’era una volta Ignavia, e la vera “Rivoluzione”

La mia era una città che ormai non reagiva più, io pensavo da tanto, ma quelli più
vecchi di me mi dissero che non ricordavano quando lo avesse decisamente deciso. All’i-
nizio pensavo fosse pigrizia e invece no, mi era sembrata, ma non lo era. Era una vera e
propria mancanza di volontà a ribellarsi, paralizzante, confortante, neutrale, vantaggiosa,
quella convinzione che faceva pensare come quella potesse essere la posizione più saggia
e conveniente.

Eppure, nella mia città non si doveva prendere mai una posizione, non ci si doveva
mai esporsi, mai che si decidesse, si desiderava tenere sempre un piede in due staffe, si
rimandava sempre tutto al giorno dopo tanto per evitare di decidere. Era così che si stava
dalla parte di tutti.

E poi c’erano quelli che avevano nel sangue la protesta e passavano facilmente dall’uno
all’altro purché si gridasse tutta la disapprovazione e l’impulso irrefrenabile di distruzio-
ne di quel che c’era. Per loro niente andava bene: tutto era marcio. Buttavano via cento
bambini al giorno pur di non fare i conti con l’acqua sporca. Si rifiutavano di capire
che uscire dal confronto attivo non portava a niente: solo a un muro contro muro, o ad
avvantaggiare gli avversari. Era un modo come un altro per farsi i fatti propri e pulirsi la
coscienza. Comodo, troppo comodo.

Eppure non fu come per Dante. Lui li poneva nell’antinferno, rifiutati e disprezzati da
tutti. È un paese assai strano, il mio, che ha deciso di morire, volontariamente e per scelta,
consapevole insomma.

Fu così che un giorno, per non crearsi ulteriori problemi, decisero di cambiare nome
alla mia città: la chiamarono Ignavia e all’entrata di essa invece di “benvenuto” scrissero
“lasciate ogni scusa voi che non volete responsabilità”.

Poi, un giorno arrivò inaspettatamente il momento della rivoluzione: la tastiera. Pic- cola, colorata e alla portata di tutti. E fu così che nacquero i rivoluzionari della tastiera.

Mimmo Oliva