Da Corbara, Raffaele Giordano e il sogno di girare il mondo
È di Corbara. 31 anni da compiere a dicembre. Tecnico collaudatore per progetti di sale operatorie. Uno stipendio dignitoso, il lavoro sicuro. Ma l’animo scalpita, anche la testa, il cuore e i piedi. Allora, l’idea di lasciare tutto per dedicarsi all’amore di sempre: il viaggio. Raffaele Giordano sta vivendo i suoi ultimi mesi di lavoro, prima del salto nel mondo. A febbraio, infatti, partirà per un progetto che lo terrà lontano dalle terre italiche per quasi due anni. In un’era globalizzata, dove il respiro di ognuno di noi viaggia lungo le reti di confini virtuali, ci sono ancora anime in grado di sentire il gusto della libertà, lontano da quell’infezione occidentale fatta di vorticosi movimenti economici e spiazzanti problemi sociali. Ecco, Raffaele fa parte di quella “meglio gioventù” che, con un colpo di spugna, sta cercando di cancellare il marchio di uno stile di vita, di allontanarsi da quel lento, costante logorio che buca, come un tarlo, le interiora. Eppure, il giovane “supervisore senior” era partito da tutt’altra attività. Animatore. Poi la svolta lavorativa, con il posto conquistato all’interno di un progetto di ingegneria sanitaria. I corsi di apprendistato, l’aggiornamento, le prime esperienze a Napoli, Roma, Bari. Un cambiamento duro da digerire, arrivando da 7 stagioni nell’animazione. Raffaele dà subito la sua adesione a girare lo Stivale, pur di non rimanere fisso in un solo ambiente. Durante le ferie, prende pochi bagagli e parte. Inizia ad assaggiare l’ebrezza della conoscenza, quella di altre culture, popoli, sguardi. Partecipa anche a missioni umanitarie grazie a Sos Onlus Italia Medici&Volontari. Alla fine, la grande scelta. Lasciare tutto e abbracciare il pianeta, in un tour che racconterà tramite il suo blog thewwtour.blogspot.it
Raffaele, dove sei stato fino a oggi?
«In 22 paesi. Con tempistiche diverse. Un mese, 40 giorni, 15 giorni. Quando tornavo
a lavorare facevo anche gli straordinari e accumulavo ferie. Praticamente sono stato in
Austria, Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Inghilterra, Irlanda, Qatar, Thailandia,
Vietnam, Cambogia, Giappone, Florida, Golfo del Messico, Marocco, Tunisia, Norvegia,
Malta, Germania e, se vogliamo fare numero, anche San Marino e Città del Vaticano».
Il tuo primo viaggio?
«A Barcellona. Avevo 18 anni. Il primo viaggio fuori dall’Europa è stato invece in Florida».
Il viaggio che ti ha lasciato maggiori palpiti?
«Cambogia. Mi trovavo in Thailandia con un amico. Ero stato già in Giappone per 46 giorni. Lui doveva andarsene e tornare di nuovo sulla terraferma. Eravamo sull’isola di Phi Phi Island. Era la notte della luna piena. Non c’erano strade. Le scimmie camminavano sulle piante. Si festeggiava la luna piena e il giorno dopo era il mio compleanno, il 26 dicembre. Insomma, la notte perfetta. Mi buttai su una barca, assistendo a giochi di fuoco. Sono legato a questo viaggio. Io rimasi lì. Ho iniziato ad apprezzare il tempo. È la cosa più preziosa. E volevo arricchirlo meglio che potevo. Dalla Thailandia, mi sono spostato attraverso il confine, in Cambogia, su un carretto degli animali. Appena passato il confine, è finito l’asfalto della strada ed è iniziata la nuda terra, tipo Far West. Ho visto colori magnifici. Faceva caldo, lo zaino pesava. Gente sudata. Finivamo dentro ragnatele giganti con ragni altrettanto grossi. Però mi sentivo vivo. Avevo tirato fuori la mia persona e l’ho scoperta a 30 anni».
Il popolo che ti ha appassionato?
«Tanti. Ancora in Cambogia, ma anche in Giappone. In Marocco mi son trovato in tre matrimoni in una baraccopoli. Dopo la baracca c’era un burrone con tutta la spazzatura di sotto. In Norvegia ci stavano sparando. Mi feci lasciare su una montagna, da un ragazzo che guidava un pulmino, per poi scendere al porto. Mi trovavo ad Aurland. Un paesaggio da cartone animato, con collinette e fiordi. Dovevo evitare di fare un percorso che mi faceva perdere tempo e decisi di tagliare oltrepassando una staccionata. Era pieno di campi aperti. Avevo dato per scontato che c’era gente calorosa che mi avrebbe abbracciato. Invece il padrone del campo si è infervorato. Abbiamo alzato le mani e la situazione si è risolta».
Parlami del tuo progetto.
«Un viaggio di due anni. Partirò con una liquidazione. Molti mi hanno detto “cosa stai facendo?”. Ma viaggiare è il modo per non perdere il mio tempo. L’obiettivo è partire verso est. Da Roma, andrò in India dove sarà la mia casa e il mio punto di ritorno. Andrò quindi in Birmania, Sri Lanka, ancora Thailandia, e qui mi chiuderò 10 giorni in un monastero per meditare senza vedere nessuno e senza parlare. Se superi il quarto giorno, riesci a scavare dentro di te. Può essere difficile all’inizio ma poi il silenzio è fondamentale per far affiorare ricordi, immagini. Poi attraverserò l’oceano fino all’America Latina con una nave Cargo. Mi costerà molto ma sta nei piani. Dalla Corea, mi porterà giù al Cile. In America Latina rimarrò 11 mesi. In Argentina, nella Terra del Fuoco, in Patagonia. Fino a oggi non ho mai superato due mesi. Ma come fai a non essere curioso dell’unico pianeta che abiti?».
Ai giovani come spiegheresti l’importanza del viaggiare?
«Posso dire che viaggiare significa scoprirsi. L’Occidente è infetto. Consiglieri di andare almeno una volta a fare un viaggio. Sostituirei l’animatore al militare. Ma più che altro rispondo con un’altra domanda. Come fai a non viaggiare? Ti mescoli con altre realtà, altre religioni. Un’esperienza affascinante. Io sono ateo, credo in me stesso e basta. Ma vedo le religioni come un elemento magico della cultura umana. Visito tanti posti religiosi, soprattutto in Asia».
Ti hanno sponsorizzato parte del viaggio?
«Sì. Tenda, lettino, zaino. Spenderò 10 euro al giorno massimo, ma cercherò di spendere anche meno. Mi hanno regalato il geolocalizzatore. Camminerò molto, al massimo prenderò degli autobus dove si può dormire durante la notte. Paghi tre euro per 10 ore. Risparmierò sugli ostelli».
Ti spaventa questo viaggio?
«Partirei anche adesso. Ho più paura a rimanere dove sto. Il mio sogno è annusare il mondo, assaporarlo, vedere quanta più gente possibile, vedere quanti più posti e camminarci scalzo, stare a contatto con la gente, abbracciarla, sorridere insieme. Adesso è il momento giusto. Perché arrivare a 60 anni per fare questa cosa? Ho la giusta energia che mi spinge a farlo. Il cassetto dei sogni, io l’ho aperto».
Davide Speranza