La Paranza dei Bambini

Napoli, Rione Sanità: sei ragazzini vogliono emulare, per
gioco, per dissennatezza, pigrizia, mancanza di modelli alternativi, quei
criminali dei clan, i cui capi sono o defunti, o in fuga o in galera.

Il film (ITA, 219) è tratto dal romanzo omonimo di Roberto
Saviano
, che l’ha sceneggiato insieme al regista, Claudio Giovannesi e a Maurizio
Braucci
, “pluridecorato” sceneggiatore del nostro cinema e che ha già
lavorato con Saviano. Presentato a Berlino 19, proprio per la sceneggiatura, ha
ottenuto un importante riconoscimento. La prima da dire è che “non è” un Gomorra dei bambini: nel senso che
Saviano non scimmiotta se stesso, né il film né la Serie.

Il taglio, l’attenzione e perfino lo stile adottato sono
del tutto diversi. Qui è di scena l’attenzione ai bambini. Al di là e
all’interno della registrazione drammatica dei fatti della cronaca, che vedono
delle gang di ragazzini compiere azioni criminali da clan, il film si domanda
come è possibile che ciò avvenga. Quali sono le spinte e le motivazioni che
operano?

Il film è opera di fantasia. Non dà, e né vuole farlo,
spiegazioni sociologiche. Esse sono comunque profondamente e realisticamente
implicite nei comportamenti singoli e collettivi dei bambini. Chi sono? Figli
del quartiere che hanno assistito all’ascesa e alla caduta di importanti
Famiglie criminali: che per la fantasia collettiva infantile erano gli eroi del
gioco della “guerra fina”, il gioco-finzione
di gruppi con ruoli e giocattoli appropriati dell’epica dell’avventura: quando
eravamo bambini noi, i modelli erano, implicite o esplicite, le epopee eroiche dei
fumetti di Capitan Miki e del Grande Blek o di Tex Willer. Ora invece per i ragazzini di Sanità, almeno quelli che
girano nell’orbita diciamo così culturale delle gesta dei clan, il nuovo eroe-mito
è Emanuele Sibilio, un ragazzino,
leader naturale divenuto boss a 17 anni, e fatto fuori a 19 nel 2015, e
divenuto leggenda ed esempio: perciò i tatuaggi con ES17, che è anche il titolo di un interessante film di realtà
sull’argomento.

Questa è l’atmosfera di cui ci parla il film. Questi i
punti di riferimento. Ed è ancora una volta del tutto fuorviante confondere i
livelli della riflessione artistica con quelli della pubblica morale: additando
questi film come delle palate di fango con cui sparlare della città. Invece
bisogna parlarne e riflettervi. Perché sono dati documentati: che però hanno un
impatto ancora più forte e coinvolgente grazie all’arte e al talento.

La qualità narrativa che accompagna il film è tutta fondata
sulla sensibilità che filtra il viaggio di questi bimbi: essi non sono mai
negati per quello che sono, al fondo e malgrado tutto, dei bambini vittime. Gli
autori non dimenticano mai, anche quando si danno a crimini efferati, che hanno
dentro di loro una scintilla di umanità e di innocenza. Può sembrare assurdo:
ma l’analizzare i loro volti, il vederli alle prese con gli universi adulti,
che loro vorrebbero scimmiottare, è sempre posto in una prospettiva come di un
gioco che vivono tutti insieme, come in una specie di grande festa perpetua
quotidiana di affetto e di amicizia. Del resto quali sono gli adulti di
riferimento in famiglia? Sembrano non esserci padri, se non le figure dei boss,
come quella di Renato Carpentieri; le madri sono amorevoli e perfino sospettose
di questo benessere improvviso: ma alla fine “si stanno”, si acconciano in nome
di una limitata consapevolezza, a questa situazione, in fondo “comoda”.

 E’ inutile dire come tutte queste attente notazioni sono tangenziali: perciò profonde e narrativamente efficaci. Non c’è la mitizzazione di nuovi eroi: ma di ragazzini vittime e in balìa di se stessi e del Sistema. Il lavoro del montatore Giuseppe Trepiccione, che ha lavorato col regista nel precedente e bello “Fiore”, è stato notevole: asciutto, essenziale, veloce quando serviva; ma attento a cogliere alcuni passaggi anche sentimentali dei suoi protagonisti. Così anche quello del direttore delle foto Daniele Ciprì: le atmosfere di disfacimento metropolitano hanno comunque un senso di “largo” visuale: un’atmosfera di grande presa visuale; e anche ricca di vissuto affettivo. Tra i protagonisti colpisce il leader ragazzino Francesco Di Napoli: di effetto drammaturgico immediato: un eccellente talento naturale.

Francesco Capozzi