GAIA. UNA CRONACA. Al mio amico filosofo e scienziato Giuva’ O’ Prevt’.

Si
risvegliò. Così, semplicemente; non sapeva come né perché. Né cosa facesse
prima…In lei non c’era il sapere l’esistenza né di un prima né del dopo.
Tutto era. E basta. Non c’era memoria. Di niente. Non avvertiva nemmeno il
movimento che avveniva: lei stessa era movimento. Il suo respiro, il suo
alito, era tutto parte di lei. Era dentro di lei: era lei. Niente usciva da
lei. E tutto era silenzio. Era un silenzio assoluto. Di rumori che si
compenetravano, si sommavano, si elidevano, come parti della sua essenza più
interna e profonda. E oscura.

Che erano il
Tempo. Ma non il tempo che scorre, come sembra a noi. Che percepiamo come
misura ineluttabile della nostra distruzione, del nostro trasformarsi in nulla.
No: era l’espansione che si contrae nelle intime fibre della sua natura; che
muove il suo essere. Il suo perpetuo, indivisibile, infinitamente possente
“qui”, all’interno dei suoi spazi, che erano senza fine, di quei limiti che
avvertiva incombenti. Ma che entravano dentro di sé. Limiti illimitati senza
limiti. Era la pura potenza di ciò che era. E basta.

 Così era.

Eppure… Eppure,
in quello che era il cuore pensante e pulsante della sua essenza senza tempo,
la più profonda e “sua”, avvertiva qualcosa che non le apparteneva: se c’era un
“dapprima”, cosa che non era, come un debole ronzio. Pungente che diventava sempre
più fastidioso: e questo era il “dopo”, se lei avesse potuto scandire i tempi delle
sensazioni come noi. Ma era tutto un ininterrotto presente.

Erano gli
umani.

Se ne rese
conto all’improvviso. In un imprecisato momento del suo stare. Che colse
tutt’insieme quello che noi esseri viventi, configuriamo come il presente che a
fatica e misteriosamente viviamo; il passato che si confonde nelle volute
salvifiche dell’oblio e della incerta coscienza del nostro esistere; e il
futuro a noi beneficamente ignoto. Noi esseri viventi, noi umani destinati a
dissoluzione all’interno di lei: quella che come bambini sempre spauriti,
appelliamo natura. Noi che sentiamo il vivere come una forza in cui siamo
immersi e che sembra radicata con violenza inestirpabile entro il nostro
essere. Contro cui nulla può impedire nulla, e non è di ostacolo a quella che
ci illudiamo possa essere la nostra eternità collettiva.

E lei sentì come
un oltraggio sanguinoso l’abominevole presunzione di quella specie. La distinse
da tutte le altre che pure si erano succedute su di lei, sulla sua superfice,
come anche sotto di essa e sopra. Specie aveva lasciato che si creassero nella
noncurante casualità più totale, pur distinguendole una ad una. E che si
susseguivano negli spazi abitati dal suo alito caldo e possente, che tratteneva
quella che quegli esseri sentivano come vita ed esistenza; e che quando non
spirava produceva freddo tagliente e ghiaccio spaventoso senza fine; e
distruzione. Ma che erano forme di lei: modi del suo proprio esserci.

Ma quella
specie….quella specie aveva distrutto tutte le altre: nessun’altra viveva al
suo cospetto se non a lei schiava. Come per l’umanità così anche per lei non c’era
pietà o commiserazione per questa distruzione: no; per tutte e due erano nulla.
Sono tutte e tutte insieme parte di lei, perché niente esiste se non lei: lei è
tutto ciò e tutte quelle creature.

Ed ecco che
l’ira più violenta e gorgogliante si accese in lei: questi umani volevano
essere pari a lei!

Volevano
sottomettere l’intera terra, suo dominio e anche lo spazio circostante, come
vide che stavano imparando a volare e uscire fuori dal suo alito di vita. Ma
ciò che era intollerabile per lei, vedeva che trafiggevano, perforavano
dovunque  la superfice del suo essere: mutavano
terre e abbattevano monti; quelle che erano superfici liquide di fluidi ricchi
del suo alito, li stavano trasformando in modi irreversibili, in pozze morte. E
lo facevano senza avere chiesto a lei. Senza trattenersi da nulla: come gli
umani non si trattenevano dal distruggere altri umani della stessa specie.

E in quello
che per lei è un battito di cuore, e per noi un tempo sciagurato di distruzione
e di tenebre che si abbatterono su tutto e tutti, le fiamme e il ferro da lei
lasciate risalire del fondo degli abissi avvolsero e coprirono la terra. E
niente più rimase degli stolti umani.

E Gaia, la Terra, si compiacque e gioì in un istante infinito, di far di nuovo che tutto ritornasse come lei desiderava che fosse.

Francesco Capozzi