SPORT E SOCIETÀ
Sono numerosi e di grande rilevanza i
meriti dello sport, considerato dai più come un importante mezzo educativo, dal
momento che esso possiede una serie di valori universalmente riconosciuti che
potrebbero e dovrebbero essere applicati anche agli altri aspetti della
quotidianità. L’attività sportiva, permette a ciascuno di noi di esprimersi
liberamente e, ragionando in quest’ottica, ha esattamente lo stesso valore
comunicativo delle poesie e delle opere d’arte. Numerosi sono i legami tra lo
sport e gli altri aspetti che caratterizzano la società, quali politica,
economia e cultura: molto spesso, facendo le dovute eccezioni, i risultati
sportivi di una nazionale risentono fortemente dell’andamento politico ed
economico del Paese; a tal proposito, si veda la mancata qualificazione della
nazionale italiana di calcio al Campionato Mondiale del 2018.
Molto spesso lo sport viene considerato
come un’occasione di riscatto e talvolta può diventare motivo di orgoglio per
un’intera nazione: è esattamente questo il caso della nazionale nipponica di
calcio femminile, conosciuta anche con il nome di Nadeshiko. Letteralmente questo termine sta ad indicare un tipico
fiore orientale, il garofano selvatico; invece, dal punto di vista simbolico,
viene utilizzato per indicare l’ideale di bellezza ed armonia della donna
giapponese. Nel luglio del 2011 la Nadeshiko
ottenne una storica vittoria al Campionato Mondiale di calcio femminile,
riuscendo ad alleviare le sofferenze di un’intera nazione: nel marzo dello
stesso anno, infatti, il Giappone era stato colpito da un violento tsunami che
aveva portato con se morte e devastazione. Durante la manifestazione, le
calciatrici nipponiche divennero delle vere e proprie ambasciatrici tanto che,
ad ogni loro partita erano solite scendere in campo con uno striscione, a mezzo
del quale ringraziavano tutti per il sostegno dato al proprio Paese. La
nazionale giapponese, allenata dall’esperto Norio Sakai e trascinata in campo
dalla fenomenale Homare Sawa, ottenne una memorabile vittoria, nonostante prima
dell’inizio della competizione non godesse affatto dei favori del pronostico.
Nel corso della sua cavalcata trionfale la Nadeshiko
estromise dalla competizione nazionali molto più forti e accreditate come
Germania e Svezia, prima di ottenere un’incredibile quanto inaspettata vittoria
nella finale di Francoforte contro gli Stati Uniti, laureandosi Campione del
Mondo per la prima volta nella sua storia.
Molte volte lo sport e i suoi
protagonisti entrano anche in contatto con la politica e talvolta i rapporti
tra personaggi sportivi e leader politici sono tutt’altro che cordiali: in
quest’ottica va collocata la vicenda di Stephen Curry, senza dubbio uno dei
migliori giocatori di pallacanestro attualmente in circolazione. Nel 2017,
stagione a dir poco straordinaria per lo stesso giocatore e per i suoi Golden
State Warriors, Stephen Curry ha fatto parlare parecchio di sé non soltanto per
le sue prestazioni in campo, ma anche per il suo rapporto piuttosto
conflittuale con il Presidente americano Donald Trump. La consuetudine vuole
che le compagini che durante la stagione si sono aggiudicate i maggiori
campionati sportivi statunitensi facciano visita al Presidente ed effettivamente
anche i Golden State Warriors, che avevano appena conquistato il titolo NBA,
erano stati invitati alla Casa Bianca. Curry, leader indiscusso della
franchigia di Oakland, decise tuttavia di rifiutare questo invito, in quanto le
sue convinzioni politiche non erano e non sarebbero mai state in linea con
l’operato di Donald Trump. All’epoca dei fatti questo rifiuto fece parecchio
scalpore e lo stesso Donald Trump non accolse la notizia nel migliore dei modi,
tanto che decise addirittura di revocare l’invito. Curry venne supportato da
molti dei suoi colleghi, alcuni dei quali dichiararono che si sarebbero
comportati esattamente allo stesso modo; tra questi spicca il nome di LeBron
James, altro mostro sacro del basket internazionale. Durante le finali NBA
dell’anno successivo, che misero nuovamente a confronto i Golden State Warriors
e i Cleveland Cavaliers, i leader delle due compagini, vale a dire gli stessi
Curry e LeBron, dichiararono che, indipendentemente dal risultato finale,
nessuna delle due franchigie si sarebbe recata in visita alla Casa Bianca.
Lo sport possiede un altro grande merito, quello di riuscire ad entrare in contatto anche con le aree più povere e desolate del nostro pianeta: in questo ambito va a collocarsi in maniera perfetta il cosiddetto Rumble in the Jungle, ossia “la rissa nella giungla”, probabilmente il più grande match di pugilato che sia mai stato disputato. Don King, organizzatore dell’evento, decise di andare controcorrente: incontri di tale spessore si disputavano solitamente presso il Madison Square Garden di New York, tuttavia egli preferì organizzare questo evento in una località particolare, la città di Kinshasa, nello Zaire. L’incontro ebbe una grandissima risonanza dal punto di vista mediatico, sia perché si trattava del primo grande evento sportivo organizzato nel continente africano, sia perché mise a confronto due grandi campioni: il detentore del titolo dei pesi massimi George Foreman e lo sfidante Muhammad Ali. Quest’ultimo, nonostante la netta superiorità fisica del suo avversario, il quale era di sette anni più giovane, riuscì ad aggiudicarsi l’incontro, riconquistando il titolo di Campione del Mondo. Muhammad Ali, durante tutta la durata del match, venne letteralmente sospinto dal pubblico di Kinshasa, dal quale era idealmente considerato come il campione afroamericano che aveva fatto ritorno nella sua terra d’origine.
Paolo Petti