L’AUTOGOL FATALE. SPORT E MALAVITA, IL CASO EMBLEMATICO DELLA COLOMBIA AI MONDIALI DI USA ’94.

La nazionale colombiana si presentò al
Campionato Mondiale di calcio del 1994 addirittura come una delle favorite per la
vittoria finale; la squadra, anche conosciuta con il nome di Los Cafeteros, era infatti dotata di un
ottimo sistema di gioco e si affidava a calciatori di grande spessore quali
Carlos Valderrama, Freddy Rincon e Andrés Escobar. I risultati ottenuti non furono
di certo quelli sperati: la Colombia collezionò due pesanti sconfitte a fronte
di un’unica vittoria, posizionandosi all’ultimo posto del proprio
raggruppamento e venendo così eliminata al primo turno. Dopo la sconfitta
all’esordio contro la rivelazione del torneo, ossia la Romania di Gheorghe
Hagi, la nazionale colombiana era chiamata ad affrontare nel secondo match i
padroni di casa degli Stati Uniti, una squadra non certo imbattibile.
L’episodio chiave della partita vide come protagonista in senso negativo lo
stesso Andrés Escobar: il difensore colombiano, con un maldestro intervento in
scivolata, insaccò il pallone alle spalle del proprio portiere, condannando la
sua squadra ad una prematura quanto umiliante eliminazione.

La nazionale colombiana giocò quell’incontro
in un clima di grande terrore: appena poche ore prima del match, il commissario
tecnico Francisco Maturana aveva ricevuto un telegramma anonimo. Qualcuno lo
aveva minacciato di far saltare in aria la sua abitazione nel caso in cui avesse
schierato il centrocampista Gabriel Gomez, ritenuto il principale responsabile
della sconfitta all’esordio contro la Romania. Maturana decise di riunire i
suoi giocatori, comunicando loro che Gomez non sarebbe sceso in campo a seguito
delle minacce ricevute.

Appena pochi mesi prima dell’inizio
dello stesso campionato mondiale, René Higuita, portiere colombiano la cui
notorietà è principalmente legata al cosiddetto colpo dello scorpione, venne condannato a sette mesi di detenzione.
Egli aveva fatto da intermediario nel rapimento di una bambina e pare che i
soldi del riscatto fossero serviti per finanziare la latitanza di Pablo
Escobar, leader del cartello di Medellin e boss indiscusso del narcotraffico
internazionale, ucciso dalle autorità colombiane non molto tempo dopo. La morte
di quest’ultimo aveva causato una serie di squilibri e tensioni che scossero fortemente
il Paese, dal momento che numerosi erano i clan e i cartelli desiderosi di
salire alla ribalta.

La tragedia vera e propria si consumò
nel momento in cui i calciatori fecero ritorno in patria. L’autorete di Andrés
Escobar, tanto involontaria quanto determinante, aveva avuto delle conseguenze
inimmaginabili; numerose organizzazioni criminali, che avevano scommesso sulle
vittorie della nazionale colombiana, avevano perso ingenti somme di denaro a
causa della prematura eliminazione. Escobar aveva rilasciato alcune
dichiarazioni ad un quotidiano locale, lasciando intendere che non avrebbe
permesso a quell’autorete di rovinargli la vita.

Purtroppo si sbagliava.

La notte del 2 luglio 1994, appena dieci giorni dopo lo sfortunato episodio, Andrés Escobar venne assassinato nel parcheggio di uno dei locali più noti di Medellin. In molti presero parte ai suoi funerali; i colombiani si erano resi conto che in quell’occasione si era superato qualsiasi limite e che Andrés Escobar, leader indiscusso di quella squadra, aveva pagato un prezzo troppo alto. Nonostante questa presa di coscienza, i colombiani hanno dovuto attendere ancora diversi anni per assistere al riscatto politico, economico e sociale del proprio Paese, concretizzatosi all’inizio del nuovo millennio.

Paolo Petti