HALLELUJA DI LEONARD COHEN. UN INNO ALLA VITA.

Ci sono canzoni nella storia della
musica che hanno segnato un’epoca, alcune hanno il raro dono di interpretare in
modo unico il “sentire umano” , riuscendo a toccare le corde del comune sentire
e andando oltre l’emozione delle note.

E’ sicuramente il caso di “Halleluja” di
Leonard Cohen. Una composizione intensa, senza dubbio, ma che è “umana poesia”.
Si pensi che esistono almeno 200 cover del brano, ad opera di grandi della
musica internazionale, da Bob Dylan a John Cale, a Jeff Buckley, segno che in
molti si sono sentiti rappresentati dal testo, al punto da decidere di
reinterpretare e pubblicare a loro volta quest’inno ispirato alla vita e
all’amore.

Leonard Cohen  impiegò più di due anni per “limare” la sua
“Hallelujah”; ne ha modificato il testo varie volte negli anni, come
se di quel capolavoro fosse ancora in cerca della “forma perfetta” , in modo
tale che del suo “sentire” potesse essere immagine completa:

« Vorrei
dire tutto ciò che c’è da dire in una sola parola. Odio quanto può succedere
tra l’inizio e la fine di una frase
».

Credo che quest’inno, ripreso in più
versioni, forse il più “inclusivo” mai scritto, voglia dire che
esistono diversi tipi di “hallelujah” e che  tutte le
hallelujah, “perfette e infrante”, hanno lo stesso valore.

È un desiderio di affermazione della
vita, non in un qualche significato religioso formale, ma con entusiasmo, con
emozione … Un inno alla vita, alle sue gioie e alle sue sofferenze.

Un canzone enigmatica, che si presta a
diverse interpretazioni: una preghiera a dio, la dedica a un amore, un canto
malinconico, o forse tutto questo assieme e molto altro. Borges diceva che ogni
poesia è misteriosa e che nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso
di scrivere.

Ed è proprio questo il caso del brano di
Cohen.

Chiunque ascolti attentamente
“Hallelujah” scoprirà che è una canzone che parla del cielo ma
soprattutto della terra, perché la fede può esser forte ma, nella fragilità del
nostro essere “semplicemente umani”,  abbiamo
bisogno di “prove” per credere, e di coraggio per “ammettere” la nostra
fallacità; parla di sesso, di amore, della vita sulla terra come specchio di un
“aldilà” in cui abbiamo bisogno di credere, ma in cui non riusciamo a fidare. Non
è un omaggio a una persona adorata, a un idolo o a un Dio, seppur il testo
riproponga molti riferimenti biblici, ma è l’alleluia dell’orgasmo vitale. È
un’ode alla vita e all’amore e alle contraddizioni infinite che li rendono
degni di essere esperienziati.

Pablo Neruda diceva che “la poesia è un atto di pace”. Letta in quest’ottica “Hallelujah” di Leonard Cohen è una poesia a pieno titolo. O almeno lo è per chi scrive.

Antonia Pannullo