Inclusione alternativa: la speranza del terzo settore per le persone invisibili
Associazione di promozione sociale per
l’accoglienza e l’inclusione dei cittadini stranieri, un gruppo di instancabili
operatori sociali che lavorano a distanza anche in tempi di Covid-19.
In questo periodo di lockdown e di
stress da Covid le notizie che più attirano i lettori oltre al conto delle
vittime e al trend della diffusione della malattia sono quelle di esigenze
personale: quando potrò mettere il naso fuori casa? Posso fare sport? A quanti
metri di distanza? E i capelli? – Oddio chi mi sistema i capelli? Argomenti
indispensabili per chi lavora nel settore, e vive di quello, ma per cui noi
altri possiamo sopravvivere. Ci sono pensieri invece che non pervadono le
nostre coscienze, forse erano notizie che sentivamo in coda al tg prima
dell’emergenza, mentre adesso non giungono alle nostre menti, attanagliate da
ansie di natura primaria.
Le persone che nessuno considerava ieri, e neppure oggi, sono le migliaia di migranti che vivono situazioni di irregolarità sul territorio italiano, ai quali si aggiungono gli ultimi sbarcati. Da gennaio il Viminale ha registrato complessivamente 2553[1] persone approdate irregolarmente, mentre i numeri di chi è accolto sul territorio, centri di accoglienza, hotspot e centri sipronimi (o sprar, sistema di protezione per titolari e per minori stranieri non accompagnati) sono 89.924[2].
Dove sono queste persone? Come sta gestendo il governo Il Covid tra di loro? In percentuale sono pochi i migranti sul territorio italiano ad avere un regolare permesso di soggiorno e quindi ad avere accesso al sistema sanitario. Coloro che soggiornano nei centri di accoglienza o chi ancora non è stato regolarizzato dal sistema vive situazioni precarie, in cui il rischio di contagio è ancora molto alto. Un esempio di crisi nella crisi è quanto accaduto a Pozzallo, dove sono arrivati 50 migranti sbarcati a Lampedusa. Per un errore dello screening sanitario una di queste persone è arrivata positiva allarmando tutta la popolazione. Uno su 19.000 mila abitanti è davvero una percentuale ridottissima, ma non avendo il governo fornito misure e strutture preventive il sistema è andato in crisi allarmando la popolazione e stigmatizzando ancora una volta l’altro.
Nella regione Campania chi si occupa di queste persone è il team di Inclusione Alternativa, un’associazione di promozione sociale con sede a Napoli. Paolo, Claudia, Ana, Nagi, Nyong Nyang, Sabrina e Aurora il team di angeli di cui nessuno parla e che si occupano di migranti e di inclusione sociale. In questa uggiosa giornata di lockdown ho il piacere di fare una chiacchierata con il Presidente legale dell’Associazione Paolo De Martino, napoletano, 41 anni, operatore sociale da ben 15. Paolo mi racconta di quando lavorava presso la Cooperativa Impresa Sociale Pan e l’assistenza fornita ai migranti era molto più solida. “Non solo accoglienza, cibo e vestiti, ma diversi percorsi in cui potevamo aiutare realmente le persone che venivano a chiederci aiuto”. A causa del taglio dei fondi per decisione del Ministro Salvini la Cooperativa ha dovuto chiudere, ma Paolo e gli altri non si arrendono, e dall’unione di forze di amici, colleghi e di ragazzi che a loro volta erano stati aiutati nasce un nuovo progetto, un nuovo barlume di speranza: Inclusione alternativa.
“Alternativa a quelli che sono gli
standard” – ci spiega Paolo. I primi servizi sono di assistenza
legale, quindi rinnovo documenti, assistenza contratti e fitto (e tutti gli
altri aspetti legali) servizi socio/sanitari, compresa l’inclusione scolastica.
“Alternativa, perché per ogni persona che ci chiede aiuto cerchiamo di
creare un progetto individualizzato, dal poter imparare l’italiano, prendere la
patente o imparare un mestiere”.
Paolo, parla con passione del suo
lavoro, che non è solo impegno sociale, ma impegno di vita e di come si
stabiliscano rapporti profondi con le persone che un tempo smarrite, ora sono
parte integrante di Inclusione Alternativa. Nyng nyang, arrivato in
Italia senza documenti nel 2011 oltre ad essere socio dell’associazione ora è
anche uno stimato musicista. A. S. arrivato, in Italia minorenne,
coinvolto in un percorso di inclusione è ora lavoratore e futuro papà. Le
assurde e contorte leggi sull’immigrazione, però, non gli garantiscono
documenti stabili a lungo termine, e nonostante tutte le conquiste che A.S. ha
fatto finora rischia ancora di restare nel limbo degli irregolari.
Tra le lodevoli iniziative di Inclusione
Alternativa va menzionata Nakupenda (dallo swhaili amore),un
laboratorio di sartoria multiculturale di cui ci parlano Ana e Claudia. “È un sogno che abbiamo iniziato a
coltivare ancor prima della nascita dell’associazione, sogno nato osservando
Justina, richiedente asilo nigeriana, la quale nell’interminabile attesa della
convocazione alla commissione territoriale ha imparato a cucire, seguendo dei
corsi tenuti a Napoli” – racconta Claudia.
“Da qui l’idea di realizzare una vera e propria impresa sartoriale,
dove per la prima volta sono gli stranieri ad insegnare qualcosa” –
continua Ana, appassionata di disegno sartoriale. La vision di Ana e Claudia è
quella trasformare il laboratorio in una vera e propria impresa sartoriale e la
rivoluzione è rendere protagonisti Justina, Rachel, Blessed e Marian tutti
stranieri, protagonisti ed insegnanti. Inoltre, grazie agli spazi concessi
dalla Less Onlus, hanno potuto realizzare un armadio sociale messo a
disposizione per il recupero e la ridistribuzione di abiti usati, e realizzare
ben 2500 mascherine aderendo al progetto Solidal Mask.
In questo periodo di emergenza Covid lo
staff di Inclusione alternativa è sempre stato attivo anche a distanza.
Grazie ai contatti presenti sul sito e a quelli distribuiti in precedenza gli
operatori sociali sono riusciti a far ottenere circa 50 buoni pasto e hanno
aiutato altri migranti ad ottenere i buoni per gli affitti. Da sottolineare il
fatto che dall’apertura ad ora i
collaboratori di Inclusione alternativa sono volontari, cosi come le
attività che hanno realizzato finora, autofinanziate.
Le idee di Paolo per migliorare la
situazione futura sono quelle di istituire percorsi per regolarizzare i
migranti già presenti sul territorio, che lavorano molto spesso in nero o che
hanno permessi di lavoro subordinato con difficoltà ad essere rinnovato. Questo
un primo passo per poi passare a scandagliare il limbo di irregolari.
Auguro a questi ragazzi ogni bene, che loro mission sia compresa e ascoltata da un governo sempre più confuso in materia di immigrazione e che le loro azioni – come dice Claudia- “siano sempre mosse da amore per la vita e per il futuro”.
[1] Dati presi dal ministero degli interni
[2] Dati presi dal dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, cruscotto statistico giornaliero aggiornato al 15 aprile.
Raffaella Grimaldi