Coronavirus. Il problema dello smaltimento dei DPI nella fase 2.

L’avvertimento
o monito o consiglio, si scelga personalmente il termine in base alla “confidenza” che ciascuno di noi ha nei
confronti del covid19, sulla fase 2 sembra il titolo di una canzone
sanremese: restiamo a distanza.

E
fin qui è chiaro. La responsabilità è diventata parola d’ordine in una fase in
cui è vietato sbagliare. La libertà che si è concretizzata nella concessione
delle diverse riaperture, per adesso all’interno delle regioni, che saranno
regolate dalle linee guida di Inail
e Iss, dovrebbe anche riguardare il
controllo delle nostre azioni civili e non incivili verso la salvaguardia
dell’ambiente.

Riavviare
attività produttive e sociali significherà un maggior via vai di gente in giro
per strada, nei luoghi di svago o di lavoro che utilizzeranno i dispositivi di
protezione individuale (guanti e mascherine, quest’ultime in tanti casi
obbligatorie). Ebbene, a difesa dell’ambiente e per la pericolosità di un non
corretto smaltimento di questi dispositivi, scendono in campo diverse
associazioni ambientaliste che, come il Wwf,
sintetizza con un’ipotesi il problema: <se
l’1 % delle mascherine che stiamo utilizzando finisse in natura, ogni mese
avremmo 40mila chilogrammi in plastica nell’ambiente>
.

Al
disastro andranno aggiunti i guanti monouso in plastica od in lattice spesso,
ed azzarderei volentieri, gettati per terra. La fase 2, si chiede, dovrebbe
prevedere quindi l’installazione di raccoglitori in luoghi magari più
“critici”: nei pressi di supermercati, negozi, centri commerciali, parchi,
ville, ristoranti, caffetterie ma anche sotto casa mia o vostra se quest’azione
potrà contrastare una minaccia per l’ambiente davvero da non sottovalutare.
<Mascherine e guanti stanno invadendo
strade, marciapiedi e mari
> avverte il Wwf <mettendo a rischio animali marini ma anche volatili che scambiano per
cibo i frammenti di plastica o stoffa
>.

Se
nella fase 2 serviranno mensilmente (secondo uno studio avviato dal Politecnico
di Torino) 1 miliardo di mascherine (per lo più quelle chirurgiche monouso) e
mezzo miliardo di guanti, allora è più che mai necessario sforzarsi per avviare
uno smaltimento intelligente.

Con
la considerazione che il peso di una mascherina è di circa 4 grammi, spiegano
gli ambientalisti, in natura si disperderebbero 40mila chilogrammi in plastica.
Ed il fenomeno purtroppo si allarga a salviette, fazzoletti, bottigliette di
disinfettante abbandonati sul bordo delle strade o nei corsi d’acqua.

C’è
addirittura chi ha denunziato “depositi clandestini” da coronavirus: ecco la “fiaba”
che racconteremo ai nostri nipoti se arriveranno ad abitare questo mondo. I “rifiuti da coronavirus”, siamo stati in
grado noi eroi contro la pandemia di dare un nome anche a questo, andrebbero
chiusi in un sacchetto e smaltiti nell’indifferenziata in attesa comunque di
contenitori o cestini disposti apposta. E, come ha proposto l’Iss, l’Istituto
superiore di Sanità, sarebbe il caso di far partire una campagna di informazione
e sensibilizzazione per imparare a smaltire questi strumenti che, a detta degli
esperti, sono resistenti da durare almeno una decina d’anni nell’ambiente.

Se si vuol salvare la pelle, arrivarci al futuro, il Wwf e l’Iss
ricordano che abbandonati nei luoghi pubblici i dispositivi di protezione
individuale (che contengono spesso materiali filtranti complessi e non
riciclabili) rappresentano un rischio di contaminazione. A questo, potremmo
aggiungere l’uso magari eccessivo anche nelle nostre abitazioni, spinto da
nevrosi da infezione (ecco un’altra interessante parolina), di disinfettanti,
detersivi che finiscono nei corsi d’acqua, raggiungendo il mare. In conclusione:
ancora una volta bisogna appellarsi al buon senso per salvare la nostra Terra,
la nostra vita e quella degli altri, degli altri uomini certamente ma
categoricamente di tutti gli altri esseri viventi.

Silvia De Cristofaro