CORONAVIRUS. RELIGIONE CATTOLICA E SOCIALITA’, TRA NUOVE REGOLE E ATTENZIONE AI PIU’ DEBOLI.
Per quanto concerne la religione cattolica e l’istituzione
ecclesiastica, finalmente lunedì 18
maggio è stato possibile far fruire – ai numerosi fedeli, cosiddetti “praticanti” (in realtà dovrebbero
esserlo di per sé tutti i cristiani cattolici) – il culto che è elemento
fondante della Madre Chiesa.
Le porte
delle parrocchie e/o di ogni edificio religioso – pur con ponderate misure di “distanziamento
sociale” (contrario, in termini, alla Parola del Salvatore) e di attenzione
all’aspetto sanitario del contagio da Covid-19 – si sono aperte al credo
delle persone più assidue. Lunedì 18 sono state celebrate le Messe
feriali; per le assemblee domenicali e/o festive si dovrà attendere l’occasione
del 24 maggio. Solennità dell’Ascensione del Signore.
Il 31 maggio,
invece, cade la Pentecoste. Le norme
sono comunque severe, dopo l’allentamento dalla Fase Uno. Adesso ci troviamo in piena Fase Due, e si va verso la tanto agognata – per tutte le attività
economiche, lavorative, associative e aggregative – Fase Tre. Ma con moderazione e prudenza. La Fase Tre è stata un po’
anticipata, per quanto concerne categorie professionali quali barbieri e
parrucchieri; ristoratori e altre. Staremo a vedere se la “cura” dei tre mesi
di lock-down avrà funzionato. L’Italia
– e con essa l’Europa e il mondo – dovrà
pur ripartire.
Comunione in
mano; prete e fedeli in guanti e mascherina. Distanza di sicurezza.
I funerali,
partecipati – ma questo già dal 4 maggio scorso – da meno di quindici persone. Il
che è già un gran passo avanti, rispetto al tristissimo “spettacolo” delle bare
caricate su mezzi militari e consacrate solo al cimitero da pochissimi presenti
– quello che è accaduto nell’ambito del lock-down. La popolazione
religiosa è dunque in festa, in quanto mai si erano vissuti tempi, talmente
surreali e particolari, da impedire le celebrazioni. Norma cui anche il papa
(umilmente) ha ottemperato. Il cristianesimo ha visto periodi di feroci persecuzioni
– con omicidi e tanta macabra violenza – però il coraggio, lo sprezzo del
pericolo e finanche della stessa vita hanno sempre caratterizzato il carattere
dei cristiani “autentici”. Che, tra l’altro, sono i “martiri” (da un
vocabolo greco che indica “testimoni”) di oggi nei Paesi dove i simboli di
Gesù sono fortemente avversati e ripudiati: ad esempio, sono credibili e
veritieri “testimoni” coloro che si recano a Messa nelle zone del pianeta dove
è vietato e/o pericoloso proclamarsi – appunto – seguace, “soldato” (si diceva,
un tempo, dei cresimati) di Gesù Cristo.
Questi, in
realtà, i nostri “eroi”. Assieme a medici, infermieri, parasanitari, addetti
alle pulizie, volontari di Protezione Civile, spazzini, giornalisti e
necrofori. Anche se tali professionalità non dovessero credere apertamente in Dio.
Quindi, per i “praticanti”, molti sono i passi in avanti effettuati nel
permettere di abitare la “casa del Signore” – la chiesa, la parrocchia. Dove
proclamare il credo e la Parola del Verbo eterno.
Invece, su tutto un altro piano, molti esercenti e/o
negozianti certamente – non privi di professionalità e di “flessibilità”
nell’adattarsi a ciascuna situazione – non riescono a venir fuori dalla
gravissima situazione economico-finanziaria; una crisi non più e non solo
legata all’emergenza sanitaria bensì, purtroppo, dovuta a quello che il virus
ha creato nei due e più mesi di stasi o di stallo. In tali campi non si può
gioire per l’allentamento delle misure di restrizione e dell’isolamento
domiciliare; pur dopo aver “sofferto” il distanziamento sociale. Persone che
hanno sempre lavorato, spesso sgobbato, queste figure professionali (ricordiamo
barbieri, parrucchieri, baristi, ristoratori, albergatori, balneari e altri). E
che ora andranno a ingrossare le fila dei “nuovi” (?) poveri. Dei senzatetto o,
per lo meno, dei disoccupati. Come fare, per riabilitare il già precario ed
incerto equilibrio economico precedente al Coronavirus?
Chi scrive, sfortunatamente, non conosce la risposta.
Ma già
riconoscere la problematica, peraltro evidente; sotto gli occhi di tutti,
speriamo possa essere utile per una pronta ripresa.
Un nostro
amico barbiere (hair stylist per uomo) così scriveva, alla fine di aprile 2020
– quindi nel bel mezzo del bailamme causato dal Covid: “Credo che,
per quanto concerne la riapertura [prevista, inizialmente, a decorrere dal
primo giugno prossimo venturo – nota dell’autore] sia ancora più urgente intensificare
i controlli, per fermare quegli acconciatori che stanno [ad aprile] continuando
a lavorare illegalmente a domicilio, non rispettando le normative”. E prosegue:
“Anch’io gestisco un’attività a Castel S. Giorgio – proseguiva il nostro
stimato acconciatore – che è chiusa ormai da cinquanta giorni. Senza incassi,
ma non senza quelle spese che puntualmente giungono alla scadenza delle
mensilità”.
G. C., che ricopre anche il ruolo di priore dell’Arciconfraternita della
Madonna Immacolata nella “sua” Castel S. Giorgio, invoca – in tema
di riapertura – “la puntuale regolamentazione in relazione dei dispositivi di
sicurezza (dpi e non) e il rispetto delle norme igienico-sanitarie; così da
consentirci di operare in sicurezza tutelando la nostra salute e quella di
collaboratori e clienti”. Il Nostro ha stilato un’apposita “lista” (se così si
può dire) in cui stigmatizza le possibili criticità e si adopera – con
esemplificazioni – per poterle (almeno) contenere.
Tra i
“punti” evidenziati dal parrucchiere per uomini: svolgimento delle attività su
appuntamento telefonico o previa prenotazione da App; poi: presenza di un solo
cliente per volta nell’area del negozio – per il tempo strettamente necessario
e indispensabile all’erogazione del servizio o trattamento; opportuna
delimitazione degli spazi (con nastro adesivo, di colore ben visibile);
“attenzione” alla clientela “smistata” tra gli “addetti” (per ottimizzare tempi
e servizi); utilizzo di mascherina e di appositi guanti – nonché di visiera in
plexiglas o di occhiali protettivi; uso di materiali monouso e via discorrendo.
Alla fine del documento, l’hair stylist chiede di applicare anche al suo
negozio, al suo settore, le precauzioni previste in tutte le altre attività che
offrono un contatto diretto con il pubblico. “Ne va della sopravvivenza di
centinaia di attività – chiosa – che difficilmente riuscirebbero a sopportare
un altro periodo di chiusura (lock-down)”.
Accanto alle difficoltà veicolate e/o mutuate dal
virus, ve ne sono altre che riguardano le fasce di persone più fragili e
“deboli”: clochard, senzatetto, “barboni”. Soprattutto malati. E poi gli umili migranti,
detti “sprezzantemente” braccianti (agricoli). A lavorare ore e ore per pochi
spiccioli (un salario irrisorio) nelle campagne – senza misure di sicurezza, a
causa (anche) del triste fenomeno del “caporalato”. Un immigrato, solo per aver
“protestato” e richiesto il sacrosanto suo diritto di venir dotato di
mascherina e di altri dispositivi igienico-sanitari, è stato picchiato e
gettato in un canale. Notizie di questi brutti tempi, ma gli umili braccianti
sono sempre stati emarginati, vilipesi, vituperati. E molti parlano del fatto
che “rubano il lavoro agli Italiani”. Sarà così? Questo non è il luogo adatto
per rispondere all’inquietante quesito.
Ma
certamente si può porre un margine di discussione. Creare uno spunto per
decisioni più proficue – da parte di tutti e soprattutto da parte di “chi di
dovere”. Nel rispetto della Costituzione Italiana, che dovrebbe (se applicata
meglio) garantire i diritti di ogni cittadino, anche immigrato. La legge dello
Stato dovrebbe garantire uguaglianza formale e sostanziale ai più poveri e
bisognosi di aiuto. Anche le altre leggi, o norme, si dovrebbero applicare
verso i soggetti in difficoltà. Che siano professionisti o impiegati,
dipendenti, lavoratori italiani o “stranieri”. Invisibili, apolidi, rom,
homeless.
Questo, almeno, è il pensiero di chi scrive. Opinabile, certamente, ma
almeno se ne parli.
Però esistono anche esempi “in positivo” (non solo
“positività”… al Covid-19): tempo fa un conoscente segnalava a chi scrive (tra
tantissimi altri aggiornamenti, costanti e puntuali, precisi) una lodevole
iniziativa da parte dei lavoratori “agili” (“regime” di smart working)
della Giunta Regionale della Campania (Csa Regioni Autonomie Locali).
Ebbene, in una lettera aperta indirizzata a varie autorità appunto regionali –
in primis al governatore Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania –
i dipendenti della Pubblica Amministrazione hanno “rivendicato” (diciamo così)
la loro “rinuncia” all’erogazione del valore in euro dei buoni pasto che
ricevono a cura dell’amministrazione. Essi hanno donato in beneficenza i propri
corrispettivi in buoni pasto, appunto, per la somma totale di 600.000 euro. Defalcando
i buoni loro spettanti da marzo scorso al più “recente” maggio (metà mese).
Un gesto sicuramente onorevole, assolutamente
gratuito. Non sono mancati, da parte di De Luca, governatore della
Campania, e di altri responsabili in giunta, opportuni elogi e ringraziamenti –
attraverso i media. Nell’atto, portoci dall’amico, si precisa comunque che: “Se
l’iniziativa di carattere solidaristico fosse stato preceduta da un atto
volontario di devoluzione, da parte del singolo lavoratore – come il Csa ha
sempre proposto – non sarebbe stata percepita da alcuni come una beneficenza
forzata; o meglio come una tassazione a carico dei salari più bassi”.
Inoltre, recita la nota: “Per evitare disparità e
l’insorgenza di conflitti, proponiamo alle alte cariche istituzionali
dell’Ente; agli assessori, ai consiglieri; ai dirigenti – in un momento di
emergenza così drammatico – di devolvere subito, con apposito atto deliberativo
– una piccolissima percentuale dell’indennità di funzione annua da loro
percepita. Per la somma pari a 600.000 euro. Per l’acquisto di ventilatori
polmonari, per potenziare i reparti di terapia intensiva o per altri scopi
meritevoli”. Tale missiva è stata redatta circa un mese fa, ma la sua “forza” è
ancora valida e attuale. Per dimostrare, nuovamente, che l’umanità delle
persone (nonostante tutto) non si è spenta – in tempi di crisi – ma anzi è viva
e costante. Speriamo sia così…
Foto by Pixar.
Anna Maria Noia