Il Cibo e il Vino-Territori. Le patate di Montoggio
Il cibo e il vino – Territori
Questa nuova rubrica, che si aggiunge a quella di “Il Cibo e il Vino – Storie, pensiero e parole”, si prefigge il compito di raccontare l’enogastronomia italiana partendo dai territori. Le storie di piccoli e medi imprenditori, e quelle di intere comunità, che hanno puntato sulle loro peculiarità territoriali, producendo prodotti d’eccellenza e di nicchia, una agricoltura sostenibile e una enogastronomia che è tradizione e cultura. Lo faremo con esperti del settore o semplici amanti del buon mangiare e del buon bene. Per questo primo appuntamento andiamo nell’entroterra genovese con Sergio Rossi, firma prestigiosa nel campo della storia e della cultura del cibo e della cucina.
Antonello Rivano
Le patate di Montoggio
La patate
di Montoggio sono famose in Liguria e non solo. Lo sono da decenni, almeno per
il passato più recente. Col Dopoguerra e la villeggiatura, chi risaliva i
tornanti di Creto per trascorrere l’estate a Montoggio, tornava a casa col
sacco di patate locali, talvolta più d’uno.
Questa
vocazione verso i pomi di terra, come li chiamavano ancora nei
primi decenni dell’Ottocento, ha una storia piuttosto antica e documentata.
Verso fine Settecento le patate si diffusero sulle montagne genovesi anche
grazie all’azione efficace e lungimirante di Michele Dondero, parroco di Roccatagliata, un paesino che sta sulle
alture della valle Fontanabuona ma
assai prossimo ai villaggi della val
Trebbia e dell’alta valle Scrivia.

Il sacerdote cercò di convincere i suoi
parrocchiani circa la bontà e la forte resa delle patate, ma ci vollero
caparbietà e costanza per giungere al risultato sperato.
Su quei
monti tanta gente viveva in un regime di povertà e denutrizione – è lui stesso
a raccontarlo nelle sue cronache – ma nonostante quella condizione c’era una
gran diffidenza verso un nuovo ortaggio venuto da chissà dove. Don Michele alla
fine l’ebbe vinta ma ci volle qualche stagione per convincere i suoi
conterranei a coltivare e mangiare le patate.

Siamo
negli anni Ottanta del Settecento e
circa un decennio più tardi, nel 1796,
viene pubblicato lo studio del topografo Pellegrini
che raccoglie, fra l’altro, i dati relativi alla produzione di patate in
diversi paesi dell’Appennino genovese.
Con 55.000 rubbi, cioè 440 quintali, Montoggio è il paese con la maggior produzione.
Val d’Àveto Santo
Stefano (30.000), Val Borbera Cabella (400), Cantalupo (700), Carrega (0), Grondona (170), Mongiardino (4.340), Roccaforte (5.000), Rocchetta (1890)
Valle Scrivia Busalla (4.000), Casella (7.000), Croce
Fieschi (1.500), Isola del Cantone (800), Montoggio (55.000), Ronco (800), Savignone (8.000)
Valle Stura e Val TrebbiaCampofreddo (2.500) Fascia (1.600), Fontanigorda (3.400), Gorreto (4.500), Montebruno (6.000), Ottone (5.800), Propata (800), Rondanina (800), Rovegno (6.000), Torriglia (4.500)
(I dati sono tratti dalla relazione del
topografo Pellegrini (1796), citata in A. Sisto, I feudi imperiali del
tortonese (secoli XI-XIX), Giappichelli, Torino 1956, pag. 176; in evidenza
le produzioni di Montoggio e Santo Stefano d’Aveto.).

Questo dato rivela l’evidenza che Montoggio
avesse almeno una generica vocazione territoriale favorevole alla produzione di
patate, condizione che può averne incentivato la coltivazione e, di
conseguenza, alimentato l’esperienza agronomica dei contadini locali. In altre
parole, è probabile che gli agricoltori montoggini si fossero resi conto di
quanto venissero bene le patate, rendendo di più del grano e del mais e
costituendo un ottimo alimento.
Tanto per fornire un termine di paragone con le
colture allora più popolari, cioè cereali e granturco, i dati di fine
Settecento, relativi alle montagne genovesi, rivelano che“[…] da
quella porzione di terreno, donde non potevano ricavare che uno stajo [24
litri] di altre derrate, ne uscivano 50 rubbi [400 kg] di
pomi di terra; i quali a calcolo fatto equivalevano a 25 rubbi [200
kg] di granone.”. [Massimo Angelini, Le patate della
tradizione rurale sull’Appennino ligure – Chiavari, 2008]. Forse
questo dato fornisce la prova evidente della convenienza che, vinta la
diffidenza, trovarono i contadini nel coltivare attivamente le patate

In ogni caso, qualunque sia la ragione per cui
Montoggio conquistò quel primato, questa tradizione antica rimane tuttora viva,
poiché le buone patate sono sempre coltivate dai produttori locali. Sui mercati
genovesi, e non solo, la scritta “Patate di Montoggio” attrae sempre i
compratori che riconoscono un prodotto storico di elevato valore qualitativo.
Discorso a parte meritano le diverse varietà coltivate nel tempo.
Montoggio è famosa per le sue “Bianche”,
riportate in auge da un paziente lavoro di ricerca e rivalutazione concreta da
Massimo Angelini a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Alle “Bianche
o Quarantine”, probabilmente erano affiancate anche altre varietà “antiche”
soppiantate, almeno in parte, dalle nuove varietà introdotte nel Secondo
Dopoguerra. Una fra tutte, forse la più diffusa fino a qualche decennio fa, era
la Kennebec, localmente conosciuta come Kennedy,
corruzione popolare del nome originale. In seguito, con l’aumentare delle
varietà commerciali, ognuno decise di coltivare quelle che rendevano meglio o
riscontravano il maggiore apprezzamento della clientela. Ciò che conta davvero
per Montoggio, indipendentemente dalla varietà, è che a fornire una sorta di
“Marchio di Qualità” ai tuberi locali, è sempre il nome “Patate di Montoggio”,
che costituisce tuttora, per il consumatore finale, un elemento di attrattività
e affidabilità, non una cosa da poco, di questi tempi.
Foto da http://www.ilcucinosofo.it/
Sergio Rossi

Sergio
Rossi
Si occupa
di storie e culture del cibo e della cucina. E’ stato direttore del Conservatorio
delle Cucine Mediterranee di Genova, ha creato e curato l’Archivio per la Storia dell’Alimentazione Giovanni Rebora
e ideato e curato i testi del blog ilcucinosofo.it
Vive e lavora fra Genova e l’entroterra genovese, indagando
la cultura gastronomica delle comunità e le produzioni alimentari tradizionali
italiane. Collabora con quotidiani, riviste e reti televisive.