“LA FORMA DELLA FELICITA’” DI ANTONELLO RIVANO – Recensione di Anna Maria Noia

Un libro ironico, fresco,
nostalgico e volto alla preservazione delle nostre zone – con un’attenzione
alla linguistica (dialettale e non) e strizzando l’occhio all’etnografia;
all’antropologia dei luoghi.

Si tratta de “La forma della felicità”,
autore il blogger, narratore, poeta e giornalista (tra i responsabili di “Polis
Sa Magazine”) Antonello
Rivano.

Un grande appassionato dello scibile umano; della geografia delle zone
in cui vive; della cultura ligure (Pegli) e di quella sarda (“tabarchina”),
relativa all’amatissima cittadina di Carloforte.

Un’enclave ligure in piena Sardegna. Dove si mescolano culture
diverse
ma poetiche e antichissime; dove si vivono influenze tra posti
meravigliosamente arcani e bellezze naturali; artistiche; antropiche molto
suggestive e decorose. Malinconicamente nostalgiche – sospese tra due realtà
tutte da scoprire, comunicanti e affratellanti.

Antonello Rivano
Antonello Rivano

Il romanzo narra di viaggi ed avventure sempre… “in
bilico” tra Sardegna e Liguria – topos dell’anima, che non sa decidersi, non
vuol risolversi se “metter radici” nell’una piuttosto che nell’altra
località. Ed è una dicotomia, un dualismo platonico davvero struggente e
perciò affascinante. Due paesi interessanti anche dal punto di vista
etnografico – dicevamo in precedenza – grazie (tra altre motivazioni) all’oasi
sociolinguistica
(nonché storica) della lingua dei “tabarchini”:
una popolazione ligure che risiedeva nell’omonima cittadina africana di Tabarca.

Tra svariate vicissitudini storiche, ecco che la popolazione e il vernacolo
– appunto – tabarchini si diffusero anche in Spagna; qui sorse la località di
Nueva Tabarca (vicino Alicante) dove però ben presto lingua e tradizioni si
annacquarono sino a scomparire quasi del tutto, e ancora in Sardegna, con
Calasetta. Poi l’unicità, la peculiarità di queste zone, Isole di fatto,
Carloforte in quella di San Pietro e Calasetta nella vicina Sant’ Antioco, ma
anche per identità culturale – tra il ligure e il sardo (commistione di saperi)
– è stata nel tempo “confermata” (diciamo così) dalle vicende liete e tristi
degli abitanti (così come dei colonizzatori e degli “stranieri” che vi sono
giunti). In particolare, le maestranze tabarchine, in origine, si occupavano della
lavorazione del corallo, per poi integrarla con la pesca del tonno e successiva
lavorazione.

Il dialetto di Carloforte deriva da quello di Pegli ma è frutto di
tantissime contaminazioni, succedutesi nel corso degli anni. Come le
concrezioni coralline, oseremmo affermare.

 Copertina (prima, dorso e quarta di copertina) de “La forma della Felicità”
Copertina (prima, dorso e quarta di copertina) de “La forma della Felicità”

Tornando al libro di Antonello Rivano, si tratta di un romanzo
breve (2018) – che consta di circa 140 pagine (138, per la precisione), distribuito
anche in rete. È un racconto di viaggi, avventure e amore. Di famiglie e di
“Famiglia”. Un fil rouge di avvenimenti mozzafiato, di gelosia e sentimenti
forti; pregnanti, a coinvolgere parallelamente due famiglie unite – per
l’appunto – dalle emozioni amorose. Il massimo sentimento, cantato (e
decantato) fin dai primordi; dalle origini della letteratura mondiale. Da Dante
sublimato. È l’Amore, che “move il Sole e l’altre stelle” – per citare il Sommo
(poeta).

“La forma della felicità” di Rivano sembra voler omaggiare
l’eterno femminino – il “gentil sesso”: i personaggi femminili sono
caratterizzati da tanta forza; da caratteri imperiosi (e impetuosi);
battaglieri, capaci, intelligenti. Una saga familiare che parte da… lontano,
dalla fine del ‘700.

A caratterizzare certi “punti di forza” tra generazioni e generazioni.
Con le proprie ribellioni… “sociali” – anche. In un turbinio di sentimenti o di
ri-sentimenti.

La scena si apre dapprima mediante un prologo… “moderno”. Uno
scenario dei nostri giorni (ambientato nel 2014). Poi prosegue tornando
indietro nel tempo, sino agli albori dell’800, con la vicenda di due innamorati,
che progettano di fuggire assieme, anche se a partire dovrà essere prima lui–
dal momento che la loro storia d’amore è osteggiata dalle rispettive famiglie –
ma che nutrono dubbi e ansie, trasformantisi in irrequietezze e dolori. Un
nucleo familiare degli anni intorno al 1800, poi destinato a riprodursi nella
contemporaneità. Tra tanti sentimenti, soprattutto positivi.

Ritratto di persone e personaggi vividi e indipendenti –
soprattutto, dicevamo appena più sopra – quelli muliebri (donneschi).
L’affetto
dunque trionfa, tra le tragedie e i lutti presenti – sparsi qua e là – nel
libro. Che si mostra intenso, incalzante e denso di suspence. La trama e gli
intrecci narrano di saghe (come detto sopra) familiari, tra le meraviglie di
Carloforte e della Sardegna nonché inseriti nel contesto ligure di Pegli. L’opuscolo,
dato alle stampe nel 2018 (dopo e/o in precedenza ad altri lavori di Rivano –
tra i quali apprezzabili raccolte liriche; delle sillogi o florilegi antologici
scritte anche in vernacolo tabarchino), gode in copertina del tratto grafico di
Salvatore Rombi. È un artista 81enne, figurativista
e paesaggista autodidatta; vive proprio in quel di Carloforte. Ha partecipato a
numerose collettive o a personali nella “sua” terra di origine. Il suo tratto
appare morbido e limpido, velato di nostalgiche allusioni… “amorose” verso la
Sardegna e la Liguria assieme. Memorabili i suoi dipinti.

Inoltre, Rivano – classe 1961, vincitore di svariati e prestigiosi
riconoscimenti per le sue apprezzabili (ed apprezzate) opere – ha affidato l’introduzione
a
Pier Guido Quartero, prolifico autore genovese.

Carloforte
Carloforte

L’introduzione stessa si sofferma sui capisaldi del romanzo –
svelandone intenti e sentimenti, che appaiono integri (intatti); questo pur dotando
Antonello Rivano di dinamicità il proprio elaborato e (consequenzialmente) i
personaggi che “abitano” (per così dire) la storia. Leggendo – tutta d’un fiato
– la vicenda esposta da Rivano, ci si addentra in un universo definito – da
Quartero stesso, nella prefazione – “naif”. A significare “ingenuo”, ma anche
“originario” (dunque “originale”). Così pare essere, almeno a un primo esame –
certamente superficiale, mentre poi la materia più sorprendente e profonda
emerge pian piano nel corso dell’intricata ma delicata, accorata e romantica
storia – l’opera di “Anto” Rivano. Che senz’altro può regalarci altre
pubblicazioni di prestigio, impratichendosi ulteriormente e maturando le sue
scelte stilistiche e lessicali a favore della narrazione; del racconto. Di
altre narrazioni; di ulteriori racconti similmente interessanti e “freschi” (lo
affermavamo inizialmente), godibili.

Pegli
Pegli

“La forma della felicità” è una rappresentazione
dell’amore sviscerato per la propria terra; anzi: delle proprie terre – tra
Liguria e Sardegna. Di svariate identità ritrovate e concluse a mo’ di cerchio.

Un cerchio che si stringe tra tormenti e momenti felici transgenerazionali. Che
esprime anche i poetici sentimenti dello scrittore verso la “sua” donna, che lo
vede pellegrino; “viandante” tra Pegli e Carloforte.

E questo amore struggente connota un po’ tutti i protagonisti del
romanzo. La stessa natura dei posti, con scorci – soprattutto – marini
(il
mare, elemento temuto o odiato; fonte di lavoro e reddito ma anche spirito
indomito; selvaggio; ideale di libertà ma anche tomba di morte per chi vi si
avventura incautamente
) non è assolutamente sullo sfondo – nell’economia
del libro. Infine, Rivano riversa nell’ottimistica, entusiastica sua opera
l’attaccamento (da noi prima citato) alla famiglia e ai suoi valori (che a
volte divengono leggi, norme, ordini – scritti e non). Riteniamo che Antonello (reduce
da tanti successi letterari – che lo incitano ed incoraggiano a proseguire, col
suo “entusiasmo”) possa ulteriormente varcare le “colonne d’Ercole” della
letteratura “locale” (che poi è un riflesso della… “grande letteratura nazionale”
– e non solo) per condurci – novelli Ulisse – alla ricerca della nostra
casa, della patria. Di un luogo come l’Itaca (“buen retiro”) di Odisseo,
in cui invecchiare quando si è stanchi e nella quale rinsaldare legami
ancestrali. Quelli dei nostri avi, degli antenati: dei “patres”, dei
“maiores”. Ed allora sì, che l’umanità intera comprenderà la saggezza – almeno
lo speriamo. In ciò risiede… (appunto) “la forma della felicità”. Proprio come
l’ideale dell’ostrica verghiano. Indimenticabili, i suoi personaggi ci
conducono all’estasi dei propri Paradisi lussureggianti.

Anna Maria Noia