I giovani: vittime e carnefici, in nome di cosa?
I recenti, drammatici, fatti di cronaca, che hanno visto i giovani come protagonisti, ci impongono delle riflessioni.
Abbiamo assistito a degli atti abominevoli da parte di giovani carnefici. Nello stesso tempo vittime ancora più giovani si tolgono la vita, o tentano di farlo, a causa della cattiveria del branco o per lo svolgimento di un gioco Social. Cosa sta succedendo alle nuove generazioni?
È impensabile, dalla nostra posizione, azzardare delle risposte, ma dovrebbe essere dovere degli organi di informazione porsi e porre delle domande, puntare i riflettori su una situazione sempre più drammatica, senza limitarsi al solo fatto di cronaca per poi spegnere le luci quando questo non è più commercialmente spendibile.
Sarebbe nascondere la testa sotto la sabbia non riconoscere il fatto che siamo in piena “emergenza sociale”: due fidanzati trucidati perché colpevoli di essere felici, un ragazzo massacrato di botte, cuore e fegato spaccati a suon di calci e pugni, per essere andato in difesa di un amico e aver cercato di sedare una rissa, un altro, per non aver invitato un tizio a una festa, viene da pestato a sangue tanto da perdere la vista da un occhio. Una dodicenne che tenta il suicidio, rischiando la paraplegia, a causa del bullismo, un undicenne che si toglie la vita per seguire le “regole” di un gioco Social.
Questi sono solo i casi che sono balzati sulle prime pagine dei giornali; altri drammi simili si svolgono ogni giorno senza che ne venga data notizia.
Nuove generazioni incapaci di essere felici, giovani allevati a videogame, vittime e carnefici in nome della legge del branco. Giovani e giovanissimi che non sono più in grado di capire dove finisca il virtuale e inizi il reale. Forse persino inadatti a capire che “eliminare” dei pixel non è la stessa cosa che “recidere” una vita umana.
Giovani vittime della loro stessa fragilità e, allo stesso tempo, della loro follia di onnipotenza, prodotti di una società che li ha plasmati insofferenti alle regole e ai rifiuti e che ha cancellato, partendo dalla famiglia, tutta una serie di valori su cui era basato l’equilibrio sociale
Ed ancora … assenza di attenzione nella quotidianità da parte dei genitori, troppo presi dal loro lavoro, e alcuni anche dalle proprie relazioni sociali, forse anche loro immersi in un mondo virtuale dove, pur essendo a contatto con tutto il mondo, si è più soli che mai. Intere famiglie dove ognuno è talmente preso da quello che scorre sul proprio Smartphone, da non parlarsi più, da non riuscire a cogliere il disagio, i problemi, dei singoli.
Famiglia, ma anche scuola, quest’ultima troppo spesso considerata come un parcheggio dove collocare i figli mentre si è al lavoro. Anche in questo ambito gli episodi di bullismo si fanno sempre più “pesanti” e allo stesso tempo aumenta il numero delle vittime che non reggono e scelgono la via più drammatica. Anche qua entra in gioco la fragilità di una generazione e il suo non comunicare con “i grandi”, decidere di togliersi la vita piuttosto che denunciare, parlare, chiedere aiuto.
Forse la mancanza di un coraggio che non appartiene alle nuove leve oppure la certezza che anche chi ti dovrebbe ascoltare non ha tempo, non ha voglia, non ne ha le capacità.
A ben pensare quello che ha creato questo sbalzo generazionale, questa frattura, è stato il giustificare tutto e l’incapacità del negare. Ad un certo punto i ragazzi sono diventati degli “intoccabili” a cui tutto era dovuto, e non importa se questa sia stata una scelta dovuta al benessere o allo scaricarsi di responsabilità paterne e materne, forse entrambe le cose.
Probabilmente l’emergenza è anche culturale: negazionismo sanitario, analfabetismo funzionale (soprattutto quello giovanile), la Movida che sembra essere la sola occasione di svago per ragazzi e non solo, l’incapacità di divertirsi senza il “supporto” dello sballo.
I rapporti sociali sempre più virtuali, i social stessi in una inarrestabile picchiata verso contenuti sempre più “bassi”, video games sempre più realistici e violenti.
Adulti che hanno affidato i loro compiti, i loro doveri e le loro responsabilità ai terminali telematici. Talmente presi da se stessi da non controllare come usa i social un ragazzino di undici anni che, prima di togliersi la vita, chiede scusa ai suoi genitori, perché deve seguire l’uomo con il cappuccio che comanda un video gioco.
In questo editoriale abbiamo volutamente omesso nomi e foto di vittime e carnefici, perché riteniamo che già troppo se ne sia fatto uso, distogliendo lo sguardo da ciò che ha causato le prime e generato i secondi.
Antonello Rivano