La precarietà emozionale

Sono più importati le variazioni cromatiche o le bombole di ossigeno che scarseggiano e gli ospedali al collasso?

In questi tempi di zone colorate, più che ai decessi e all’aumento del numero dei contagiati, più delle bombole d’ossigeno che scarseggiano, più degli ospedali al collasso, si sta dando rilevanza principalmente al cambio di passo da una destinazione cromatica ad un’altra.   

Mi riferisco, in particolare, alle dichiarazione dei politicanti che, ahimè,ci offrono il solito avvilente spettacolo,basato su un copione ormai a tutti noto,dalla trama triste,dai toni  grotteschi, con tratti  da tragicommedia.

Continua, dunque senza tregua, lo scontro fra i governatori e il governo centrale.

Il nostro, quello campano, in uno dei suoi ultimi video(che non ispirano più da tempo neppure il fantastico Crozza),con il solito piglio, ci ha informati su una novità che ignoravamo.

Ha menzionato un nuovo colore, che nemmeno Conte conosce.

 Nemmeno la corte degli scienziati, sì nemmeno loro. Insomma è sfuggito pure a loro; ma come hanno elaborato i parametri, in base ai quali si sono stabilite le diverse zone di confinamento, e si sono scordati del “rosé”?

 Noi campani, secondo De Luca, siamo non più in zona rossa, ma in una dal colore di ceri vinelli che rallegrano molto il palato: il “rosè!

Stiamo, quindi, in una zona dal colore meno definito del rosso, ma molto più vibrante e, per certi versi, allettante.

Riesce, beato lui, ad essere ancora sarcastico!

Un commento a questa battuta, appare scontato. E perciò ve lo risparmio.

In attesa che il governo si accorga di quello che ha scoperto il nostro governatore e continuando a ragionare su questa nuova modalità delle fasce regionali, che crea attese spasmodiche, comprensibili per tutte quelle categorie su cui va ad incidere il peso di un colore piuttosto che un altro, passo a noi gente comune.

 A noi che smaltiamo rabbia, paura, confusione e smarrimento, sfogando questo strano miscuglio di emozioni riversandolo nel grande mare del web. Noto che si sbraita e si ragiona poco; si litiga, si apprezza o si disprezza, ballando con le dita sulla tastiera.

  Noto furori di pensieri che lievitano, come lievitano gli infettati intorno a noi.

 Al Covid-19,fra le sue orrende cose,purtroppo dobbiamo anche questo: la precarietà emozionale. Che non ci giova. Una precarietà che ci rende più miseri e meno umani.

 Traspaiono umori che cambiano repentinamente, curvati in giù verso gli istinti, come alberi sferzati dalle tempeste; umori piegati sotto il peso di insopportabili ed insostenibili situazioni che vanno dal caos, al conflitto, dall’incertezza allo scoramento. Il tutto sostenuto dall’esile rete che, in questi momenti, orienta e sorregge un intero Paese.

Ormai, siamo diventati monchi e zoppicanti, isterici e fragili. Mi pare che non sappiamo più declinare parole che siano veicolo e sostanza di rigore e di amore.

La povertà economica già in atto da un pezzo e destinata purtroppo ad aumentare sempre di più, sembra combaciare con la povertà dei cuori.

Occorre, al più presto, ritrovare la rotta giusta anche attraverso l’uso di parole sensate.

Parole che siano anche credibili. Parole di conforto mentale, oltre che spirituale. Parole concilianti ed azioni di equilibrio, soprattutto da parte di chi ci governa.

Smettiamola con le pagliacciate. Smettiamola!

Siamo stanchi, davvero. Il linguaggio è figlio del pensiero.

Pertanto, l’auspicio di parole diverse da ascoltare e da usare, deve necessariamente includere un pensiero che dia come risultato un agire differente, per nulla scombinato, come quello di questi lunghi ed insopportabili mesi.      

Pina Esposito

Foto copertina di Gerd Altmann da Pixabay