“La prima figlia”, il nuovo racconto intimo di Anna Pavignano
Di Stefano Pignataro
Nella sua nuova fatica letteraria, la Pavignano narra la storia di Poliana, donna quarantenne che, con la gravidanza, scopre di un elevato rischio di dare alla luce un figlio affetto dalla sindrome di down. Il bambino in questione non è mai considerato tale, bensì un essere legato ad un referto ed è combattuta dall’eterno dramma se dare alla luce o meno un bambino che vivrà con difficoltà. L’immaginazione le sarà di aiuto e il pensiero di quel piccolo essere che si trasforma l’accompagnerà per tutta la narrazione.
“Credo che non sia necessario aver sperimentato come evento tutto ciò che si scrive- serve empatia con le emozioni che si raccontano- racconta la Pavignano- Per “La prima figlia” l’atto dell’amniocentesi è un pretesto per parlare del senso della maternità e del senso di responsabilità di mettere al mondo dei figli e ugualmente del senso della sofferenza e la gioia non raccontati per esperienza personale ma visti sui figli, figli che vivranno con sofferenza ma anche gioia, un vero e proprio inno alla vita”.
Un romanzo, quello della Pavignano che ha visto una lunga stesura, corredato di racconti e testimonianze di madri di bambini down di cui la Pavignano, da esperta sceneggiatrice, ha sapientemente inserito nel romanzo in un sapiente amalgama di storie accompagnandosi come ispirazione a Woody Allen del film “Harry a pezzi”, un film su uno scrittore che “ruba” le esperienze degli altri e le racconta.
Due modi di pensare e di scrivere differenti ed opposti la scrittura e la sceneggiatura, in cui il linguaggio e l’idea iniziale si accompagnano sino a trovare una strada comune o strade diverse.
“Ho letto tantissimo– racconta la Pavignano- adoro l’inarrivabile Margherite Yourcenar e la mia formazione giunge dai libri di psicologia e dalla formazione di pensiero che mi giunge attraverso l’analisi e lo studio dei pensieri di comportamento che si approfondiscono nei saggi di psicologia e di sociologia.” “Non volevo scrivere un libro sulla disabilità-continua la Pavigano- il mio intento è narrare le difficoltà di un genitore di star vicino alle difficoltà dei figli e delle capacità di accogliere e guidare i figli nelle difficoltà della vita. Il senso della sofferenza che riflette sui figli rende il libro molto e tristemente attuale-continua la scrittrice- perché in questi brutti tempi che viviamo sarei molti dubbiosa se mettere al mondo un figlio che debba soffrire la realtà di una guerra e tutte le tragedie che sono sotto gli occhi di tutti”.
Un libro, quello della Pavignano, che per certi aspetti anche se molti differenti, ricorda le tematiche affrontate da Oriana Fallaci in “Lettera ad un bambino mai nato”; l’autrice, pur non essendosi inspirata al bestseller del 1975, apre questioni, fa domande e fa si che il lettore si faccia delle domande ma la risposta rimane personale.
“Su alcune domande occorre parlare ma importante che risposte non ce ne siano e se ce ne fossero non debbano essere assolute e dipendano da una serie di fattori che portano a fare una scelta o un’altra riguardo la maternità. Il libro-conclude la Pavignano-non è né un inno né un suggerimento alla maternità perché credo che la donna non si debba identificare con il ruolo di madre; sostengo il diritto delle donne che rivendicano il fatto di non desiderare i figli. Non credo assolutamente che una donna sia incompleta se non dovesse avere figli.”
Foto di copertina da: dilei.it
Articolo tratto da “La Città”
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