Ripartire, ma per dove?

Siamo senza mascherine, almeno tranne qualche eccezione, liberi di abbracciarci, darci le mano, magari con ancora qualche precauzione.
Ma è questa la ripartenza che sognavamo? Siamo certamente ben lontani dall’essere “migliori” come pensavamo di uscirne.

Siamo forse ancor più chiusi, immersi in noi stessi, intenti a coltivare ognuno il proprio orticello.
In molti casi potremmo anche dire che siamo più cattivi, più aggressivi.
A nulla è servito il periodo in cui, soli con noi stessi, siamo stati costretti a pensare.

Già, pensare. Forse è perché non eravamo più abituati a quell’esercizio conquistato con l’evoluzione, che lo abbiamo fatto male. Si, perché abbiamo pensato che le cose potessero capitare solo agli altri, che i morti non eravamo noi, cosi come non eravamo noi quelli in terapia intensiva.
Già, i morti. I morti negati e quelli troppo presto dimenticati. Quelli della pandemia, cosi come saranno quelli di una guerra troppo vicino a noi. Una guerra che ci fa paura, come la pandemia. Come per la pandemia a taluni dà fastidio anche sentirne parlare di questa guerra. Come se bastasse tacerla perché possa essere rimossa dalle nostre vite, mentre invece le bombe cadono sugli altri.

Ripartire, come se bastasse toglierci le mascherine. Come se per essere liberi bastasse andare a un ristorante senza esibire il green pass.
Ripartire ma per andare dove? In un mondo in cui ancora si fanno stragi di innocenti e le pistole sono più facili da trovare che il latte condensato. E’ vero, accade negli Stati Uniti, ma siamo tutti cittadini di quel mondo che mette le armi in primo piano.

Ripartire, come se fosse facile, mentre Caino, ogni giorno, uccide Abele.
Liberi, ma la vera libertà è non essere schiavi neppure della propria libertà.