Alessandro Demma, Michelangelo Antonioni e l’arte

Poker di appuntamenti per l’ultima settimana di eventi della rassegna “I Racconti del contemporaneo” che ancora una volta di snoda sulle due location (Palazzo Fruscione e il Complesso di San Michele) che fino al 13 novembre hanno ospitato le mostre organizzate dall’associazione Tempi Moderni, “Nouvelle Vague3” e “Antonioni e Vitti: una storia d’amore e di cinema”. L’8 Novembre,  alle ore 20,lle ore 20.00, al Complesso San Michele si è tenuto il il talk “Michelangelo Antonioni e l’arte” a cura dello  storico dell’arte Alessandro Demma, nll’ambito delle mostre organizzate dall’associazione Tempi Moderni, “Nouvelle Vague3” e “Antonioni e Vitti”

Demma, in “Deserto Rosso”, il colore assume una funzione cromatica decisiva e fortemente espressiva..

E’ il primo film a color girato nel’64, anni in cui avviene una piena ricostruzione post bellica e gli anni del “boom”. Antonioni lavora, in anni di “boom pubblicitario, economico e comunicazionale”, sull’astrazione delle immagini non delle immagini in se, ma in una visione che vuole creare delle immagini che abbiamo una visione non di rappresentazione (mimesis) ma con il valore estetico che hanno i colori di quegli anni, legati all’astrazione lirica di Kandinskji sia alle astrazioni americane dell’action painting. Antonioni rende complicata la sfera psicologica del personaggio non creando affinità tra l’ immagine del personaggio e l’immagine scenografica del film, come se volesse  rendere immagini indipendenti dalla narrazione quasi ingannando lo spettatore per farlo entrare maggiormente nel film.

Indentità smarrita ed alienazione concentrandosi sulla crisi della borghesia. Esperimento di Moravia ne “La
Noia..”

Antonioni è attento a cogliere gli aspetti sociologici ed antropologici della modernità. I protagonisti dei film di Antonioni sono figure che vivono al margine di una realtà borghese della cui caducità Antonioni è un fine analista. Simmel parlava di “Oscure esistenze”, figure che animavano le nuove Metropoli, figure marginali, come molte figure di Antonioni. Egli mette in evidenza la caducità della borghesia. Antonioni voleva “il poema cinematografico con le rime” come dichiarò in un’intervista al critico cinematografico Mario Verdone. Egli guarda al passato, ma si volge ad una prospettiva futura, voleva un cinema di astrazione, un cinema di poesia, cercando di arrivare ad un cinema di poesia, uscire da una narrativa cinematografica tradizionale e rivolgersi ad una prospettiva futura, un cinema nuovo e fortemente comunicativo con un alfabeto nuovo.

Michelangelo Antonioni: vita e filmografia del regista dell'incomunicabilità
Michelangelo Antonioni con Monica Vitti

La visione metafisica di De Chirico che Lei accosterà ad Antonioni si potrebbe accostare, anche se parlando
di registi diversi, alle visioni di Hitchcock? Penso al film “Io ti salverò” con i dipinti di Dalì..

 E’ un paragone interessante. La visione metafisica è uno sguardo al passato ed ad una prospettiva futura ed ad una prospettiva di isolamento ed introspezione che è figlia di quel tempo. La metafisica innesta elementi conosciuti in uno spazio inesistente nonostante noi riconosciamo degli elementi, degli esseri viventi o architettura (come i manichini di De Chirico), giocattoli o altri elementi della vita quotidiana. La metafisica anticipa tutte le poetiche surrealiste. Innesta un cortocircuito visivo attraverso la coscienza e la conoscenza nostra ma spostando la proiezione di questi elementi dandoci uno spazio che è introspettiva ma non una prospettiva reale matematico-geometrica ma ideale, onirica.


-Roland Barthes diceva di Antonioni che era un regista dal senso aperto”. Lei è d’accordo?

Antonioni e l’arte sono uniti proprio da questo. Egli lavora sull’astrazione lirica intesa  come illusione spirituale sempre aperta ed in continuo divenire. Il citazionismo su Pollock o su Rohtko, è fortissimo, sulle pennellate intense di Rothko in questa monocromia che sfuma o nella gestualità di Pollock, una proiezione infinita delle possibilità dell’essere umana. Essi nascevano in un’epoca di disagio emotivo forte,  una consapevolezza di “essere già morti dopo la bomba atomica”.  E’ come se si avessero un mondo infinito di possibilità, costruire sempre qualcosa di nuovo anche se vi è una trama. Come le avanguardie artistiche e storiche e letterarie hanno scardinato il  concetto di linguaggio  tradizionale  il cinema scardina il linguaggio tradizionale non più  rappresentazione del reale ma altra cosa. Italo Calvino, parlando dei film di Antonioni negli anni sessanta disse che la rivoluzione industriale era un trauma globale perché la Globalizzazione nasceva già all’epoca e ciò portava da un lato a tendere all’omologazione delle esistenza che Antonioni distrugge e scardina è una necessità di una costruzione infinita e possibile di una serie di “possibilità”. E’ tutto giocato su questi temi, la metropoli che nasce e l’uomo che deve ridentificarsi in uno spazio altro, le avanguardie che scardinano un linguaggio tradizionale, lo stesso cinema, nato da poco, che anch’esso scardina il suo linguaggio; non è più rappresentazione del reale ma un’altra cosa.

Intervista ampliata da La Città  8 novembre 2022