Mondo-Lontano Oriente. Cicloni a nuove latitudini
Di Alberto Spatola
Occuparsi di un paese letteralmente agli antipodi dell’Italia è interessante per via delle differenze da cui imparare e delle similitudini in cui rispecchiarsi. Così il recente devastante ciclone in Nuova Zelanda è un’ottima occasione per riflettere sulla crisi climatica che stiamo attraversando in ogni angolo del pianeta, che però, essendo tondo, non colpisce tutti alla stessa maniera.
Partiamo dai fatti. Qualche settimana fa il ciclone Gabrielle ha costretto 10 mila persone, mezza Pegli possiamo dire, a lasciare le proprie case, e almeno undici persone sono morte. Un terzo degli abitanti, principalmente nel nord del paese, ha subito danni, dalla rete elettrica agli edifici.
La Nuova Zelanda è grande all’incirca come l’Italia, ma ha soltanto gli abitanti della Campania: poco più di 5 milioni. Una popolazione quindi ben più dispersa e perciò isolata che soffrirà assai per via delle numerose frane e alluvioni che hanno distrutto anche molte strade.
Eppure, quello che è successo non è comparabile con le alluvioni a cui anche noi siamo per ora abituati. Nessuno era pronto, ben pochi potevano aspettarsi un simile fenomeno.
I cicloni tropicali si fermano normalmente ben più a nord della Nuova Zelanda e mai hanno toccato il paese. Così le autorità hanno considerato Gabrielle il più grande disastro naturale di questo secolo fino a oggi. Ma i prossimi anni probabilmente ne porteranno altri, perché i fenomeni come i cicloni è da tempo, che in virtù della crisi climatica, si trovano a latitudini sempre più inusuali.
Mesi fa il Pakistan fu colpito in maniera simile e il paese si attivò per ricevere fondi di compensazione poiché il Pakistan ha contribuito storicamente quasi per nulla al riscaldamento globale, ciononostante i disastri naturali colpiscono soprattutto chi abita relativamente vicino all’equatore.
Per la Nuova Zelanda invece il discorso è ben diverso. Storicamente la Nuova Zelanda è è il paese che è più responsabile per le emissioni di CO2 pro capite.
Da quando nel 1800 possiamo con qualche precisione ricostruire chi produce più emissioni i cinque paesi più responsabili per persona sono nell’ordine la Nuova Zelanda, Canada, Australia, USA e Argentina. Se guardiamo in termini più globali, e non per persona, metà della responsabilità storica del riscaldamento globale è nelle mani dei paesi dell’Unione Europea, degli USA, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda.
Per cui il ciclone Gabrielle deve far suonare un campanello d’allarme: se cinicamente la nostra parte del mondo, quella più ricca, può aver pensato d’inquinare ma di scaricare le conseguenze sugli altri paesi, ora invece la Nuova Zelanda ci mostra come siamo tutti coinvolti. Un paese agli antipodi, così lontano, eppure così simile.
Alberto Spatola (Bruxells)