La nobiltà, perduta, del lavoro

Di Antonello Rivano
Spesso ci siamo sentiti dire che “il lavoro nobilita l’uomo”, chissà se si riferissero anche al lavoro del trasportatore morto perché colpito dalla sponda del suo camion, mentre lo caricava, per il calo di attenzione dovuto alla stanchezza, al muratore caduto dall’impalcatura per risparmiare sui mezzi di sicurezza, all’operaia stritolata da una macchina perché tenere le protezioni attive su quella macchina faceva perdere tempo prezioso al datore di lavoro.

Non lo so se chi ha pensato, per la prima volta, che “il lavoro nobilita l’uomo” pensasse anche a quei lavoratori della ristorazione che, in momenti di punta, arrivano a fare anche dodici/quindici ore al giorno, senza straordinari pagati, sette giorni su sette, senza TFR o giorni di ferie, spesso assicurati per quattro ore al giorno, retribuiti per le ore effettivamente lavorate…una miseria. Cosi come attesta anche un’inchiesta del giornale “La Repubblica” : «Nel lavoro stagionale e nei pubblici esercizi, come la ristorazione, è un far west. Quasi mai viene rispettato il contratto del settore, che prevede un impegno di 38 ore a settimana. Nella realtà la media è di 70 ore a settimana, gli “extra” sono retribuiti fuori busta, in nero. In altri casi, il datore offre contratti pirata e abbiamo stimato che la media retributiva è di 3,5 euro l’ora, per un impegno di dieci ore al giorno (per esperienza diretta il numero delle ore è per difetto Nda), sette giorni su sette.>>. Cose che dovremmo considerare ogni volta che sentiamo o leggiamo i “lamenti” di chi dice di non riuscire a trovare più manodopera per quel settore.

Chissà se ogni volta che ci dicono “il lavoro nobilita luomo” si riferiscono anche a quello delle donne, magari alle donne che prendono stipendi inferiori ai loro colleghi maschi, a parità di qualifica e grado, o a quelle assunte solo con il fine che si dimostrino “carine” e “disponibili”.

Il lavoro nobilita l’uomo“, vallo a dire a chi ha un contratto a tempo determinato “rinnovabile” che lo rende novello schiavo, succube a ogni richiesta del datore di lavoro; alle offerte di lavoro che dicono: “solo se fortemente motivati”, dove “motivati” significa essere giovani, in buona salute, e dire sempre di sì; a chi disoccupato, sopra i 45 anni (spesso anche prima), senza ammortizzatori sociali, il lavoro non lo troverà mai più; a chi è troppo vecchio per lavorare ma troppo giovane per andare in pensione; a chi a sessantasette anni, e a quella pensione, spesso da fame, non ci arriverà mai.

Chissà se quando diciamo “il lavoro nobilita l’uomo” pensiamo anche ai raccoglitori di pomodori delle campagne italiane: I braccianti si trovano a raccogliere pomodori per dieci o dodici ore, sotto il sole cocente, per un compenso dai 3 ai 5 euro per un cassone da 300 chili di pomodori.

Chissà se e quando invece potremo trasformare quella frase, “il lavoro nobilita l’uomo”, in “l’uomo nobilita il lavoro” rendendolo più certo, più sicuro, più stabile, più “umano”!

la nobiltà, perduta, del lavoro