Donne “resistenti”: le storie di due partigiane
Il 25 Aprile di ogni anno costituisce un momento di profonda riflessione e celebrazione per l’Italia, poiché segna l’anniversario della Liberazione dal giogo nazifascista durante la Seconda Guerra Mondiale. In questa importante giornata, vorremmo mettere in risalto il coraggio e la dedizione di due straordinarie donne provenienti dal Ponente Genovese, Vincenzina Bozzo di Pra’ ed Elsa Tacchino di Sampierdarena, le quali, con la loro partecipazione attiva nelle staffette partigiane, hanno contribuito in alla liberazione di Genova e alla riconquista della libertà per il nostro Paese.
Attraverso i loro racconti, tratti dallo spettacolo teatrale “Resistenze, femminile plurale“, ideato dal giornalista Alberto Bruzzone e dall’insegnante e scrittrice Manuela Monaco, possiamo immergerci nelle loro esperienze, nei loro sacrifici e nella loro determinazione. Queste due donne incarnano lo spirito indomito della resistenza italiana, che ha lottato con coraggio e determinazione contro l’occupazione nazifascista, mettendo a rischio la propria vita per difendere i valori di libertà, democrazia e giustizia.
Le loro testimonianze ci ricordano l’importanza di preservare la memoria storica e di onorare coloro che hanno sacrificato tanto per garantire un futuro migliore per le generazioni successive. Il loro esempio ci ispira a essere sempre vigili nella difesa dei diritti umani e della democrazia, e a combattere ogni forma di oppressione e discriminazione.
In questo giorno speciale, rendiamo omaggio a tutte le persone che hanno combattuto per la libertà dell’Italia, impegnandoci a preservare il loro legato per le generazioni future. Che il coraggio e la determinazione di coloro che hanno lottato per la nostra libertà continuino a ispirarci nel perseguire un mondo migliore
Antonello Rivano
VINCENZINA BOZZO
Mi chiamo Vincenzina Bozzo, nome di battaglia “Claudia”, ho 18 anni e faccio parte della Brigata 334 di Genova. La mia famiglia seppur antifascista, non lo sa ancora. Quando mio papà lo saprà, mi tirerà uno schiaffo e sarà proprio in quel momento che capirò di aver fatto la scelta giusta. Dirò anni dopo.
Partecipo a molte azioni per disarmare i nazifascisti, trasporto armi utili ai partigiani, stampo e divulgo manifesti per la resistenza.
Combatto per essere libera, per la pace, la democrazia, per l’uguaglianza nei diritti e nei doveri, per la libertà di pensiero, per non aver timore di esprimerlo, per essere solidali con chi è in difficoltà, per giocare con gli amici di qualsiasi etnia, religione e cultura.
È il 25 aprile del 1945 e forse questo sogno si sta realizzando
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ELSA TACCHINO
Mi chiamo Elsa. Elsa Tacchino. Sono nata a Genova nel 1922, proprio negli anni dell’avvento del fascismo. Mio papà, alla sola parola fascismo, si opponeva fieramente, e spesso era finito in galera, per le sue idee. In questo ambiente sono cresciuta e quando scoppiò la guerra cominciai, con un gruppo di amiche, a fare la staffetta partigiana.
Mio fratello, dopo l’8 settembre del 1943, era riuscito a scappare e si era rifugiato sui Giovi. Noi seguivamo le tracce sue e dei suoi compagni, salivamo su per i monti portando armi e altri aiuti. Le nascondevamo sotto il pane e le altre cose da mangiare.
Poi, nel novembre del 1944, qualcuno ci tradì, e fummo costrette a scappare da Sampierdarena. Arrivammo a Novi Ligure, per cercare il gruppo di Aldo Bisagno, ma ci dissero che si era spostato sull’Antola. Ci arrivammo a piedi, in mezzo alla neve, consumandoci le scarpe sino alla pelle nuda.
Fu così che, a 22 anni, entrai a far parte della Brigata Jori: vi rimasi dal 14 dicembre del 1944 al 30 aprile del 1945. Facevo l’infermiera e facevo la cuoca, non feci mai mancare nulla a chi combatteva. I contadini ci regalavano spesso i loro prodotti: una volta riuscii a preparare del pane bianco, ne mangiò anche un ragazzo di 15 anni, che quel pane non lo aveva mai visto.
Festeggiammo il Natale del 1944 sui monti, e a sorpresa ero riuscita a cucinare i ravioli! Ma il pensiero era sempre al mio Eraldo, in Marina sin dal 1942. Lo imprigionarono a Maruggio, in Puglia, dopo l’8 settembre del ’43.
Ci scambiammo per mesi moltissime lettere. In una di queste, mi diceva così: “Mia carissima, in questi momenti ti penso più che mai. Il nostro sogno d’amore presto sarà realizzato. Baci infiniti, sempre tuo. Eraldo”. Era il 29 aprile del 1945.
Il 24 maggio gli risposi così: “Eraldo mio, non posso pensarti senza aumentare la mia ansia. Ti attendo ogni giorno, con la speranza che giunga per noi pure la felicità. Baci cari. Tua, Elsa”. La felicità giunse di lì a poco. Ce l’eravamo guadagnata.
Alberto Bruzzone – Manuela Monaco