Il Ponentino-N° 4

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Prima Pagina

Da questo numero, e su questa pagina iniziale, “il PONENTINO” apre un nuovo spazio di luce come vuole simboleggiare la Nostra bella Lanterna, il simbolo di Genova, capace di illuminare a grande distanza e capace inoltre di passare attraverso tutti gli accadimenti, anche i più catastrofici come le guerre.
 “La Lanterna”, uno spazio di informazione, di trasparenza, di solidarietà, di amore e di libertà, questi sono i valori espressi dal nostro giornale che in questa rubrica esprimono una loro ulteriore voce e come la nostra Lanterna poggiano le radici nel passato solidamente incastonate nel nostro meraviglioso territorio per illuminare il presente.
 Su questa pagina iniziale troverete anche il lancio dell’articolo “In Primo Piano, che prosegue a pagina 4. I grandi temi del territorio  ligure, i suoi problemi ma anche le sue eccellenze, il tutto visto con quella libertà di sguardo e di pensiero che da sempre contraddistingue “il PONENTINO”.

Di Marco Maltesu

uccede su un treno regionale nella nostra Liguria: un ragazzo ed una ragazza salgono sul treno, uno senza la mascherina e l’altra la tiene abbassata sotto il mento. Una donna, (combinazione Assessore all’ambiente ed alla Pubblica istruzione del Comune di Arenzano) chiede di mettere la protezione come previsto ed obbligatorio, fornisce anche una mascherina al ragazzo che si dichiara sprovvisto. Di lì a poco la ragazza arriva ad aggredire fisicamente la donna con inaudita violenza. Non esiste nessun semplice rimedio per difenderci da queste situazioni, la violenza sta dilagando nei modi di parlare e di agire, insinuandosi nelle dinamiche più semplici, contagiando i nostri stessi figli che si trasformano in veri teppisti. Dobbiamo allora interrogarci: Il problema è culturale, non è risolubile con delle semplici leggi si deve ricostruire l’intera società e le leggi non sono deputate ad insegnare la solidarietà o l’amore per il prossimo, lo possono contenere ma non creare.
Come può però una politica che pensa al tornaconto elettorale, ostaggio di logiche economiche dì difesa dì interessi dì parte, essere capace di progettare una società in cui il rispetto per gli altri, per le donne, per gli anziani, per i diversi di razza, usi, religioni, abilità e per tutta la diversità in genere, possa diventare “normale”?

Marco Maltesu


Cosa succede alla Liguria ed alle sue aziende?

Di Marco Maltesu e Antonio Marani
Cosa sta succedendo alle aziende liguri o forse ancora meglio, cosa sta succedendo alla Liguria incapace di tenersi le sue imprese, di sostenerle, di coccolarle ed offrirgli tutto quanto è necessario per consentirgli di produrre e possibilmente procreare con tante piccole nuove aziende?…
Continua a pagina 4

All’interno:

  • “Venture di Thomasino Restàno, uomo in Sestri, la presentazione del libro, a cura di Paolo Lingua e Antonio Marani
  • L’inaugurazione a Pegli della prima Panchina Europea, con video dell’intervento di Claudio Chiarotti, Presidente del Municipio VII Ponente
  • L’affascinante mondo dei Leudi, fra tradizione e storia.
  • La Scuola Musicale Giuseppe Conte, La Filarmonica Pegliese Marco Chiusamonti e il Coro Monti Liguri, presentano i loro appuntamenti natalizi
  • Il Comitato Una Piazza Per Pegli scrive una seconda lettera al Comune di Genova
  • Un pegliese ci racconta i Tabarchini e il perché ci si può innamorare di un paese, i suoi paesani e la loro storia
  • Le rubriche sul Cibo e territorio, la storia della “parole” genovesi, una poesia che parla dell’amore per Pegli , l’avvincente romanzo a puntate e il foto racconto di “Un Carrilon a Pegli

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Sommario

pag 3. TERZA PAGINA-Cultura & Spettacolo
“Venture di Thomasino Restàno, uomo in Sestri”: il Secolo dei Genovesi vissuto dal popolo

Di Paolo Lingua e Antonio Marani

Un affresco dove con realismo emergono istanze morali, sociale, religiose, economiche, con coinvolgimenti appunto del popolo con i grandi temi e con le sofisticate strategie dei vertici di potere…


pag 4. IN PRIMO PIANO
Cosa succede alla Liguria ed alle sue aziende?

Cosa sta succedendo alle aziende liguri o forse ancora meglio, cosa sta succedendo alla Liguria incapace di tenersi le sue imprese, di sostenerle, di coccolarle ed offrirgli tutto quanto è necessario per consentirgli di produrre e possibilmente procreare con tante piccole nuove aziende?


pag 5. EVENTI
Pegli, inaugurata la prima “panchina europea” genovese

Di Antonello Rivano

Sabato 4 dicembre, a Pegli inaugurata una Panchina Europea. Il progetto, realizzato in più di trenta città in diverse province italiane, vede nella panchina di Pegli la prima della città di Genova…(Con il video del taglio del nastro e l’intervento di Claudio Chiarotti, Presidente Municipio VII Ponente)


pag 6. La magia dell’incontro tra acqua, terra e antiche tradizioni
Il Leudo, padroncino lento del mare

di Corrado Sotgiu

Dal Medioevo ai giorni nostri, la storia della tipica imbarcazione ligure, attraverso le voci dei suoi abitanti…


pag 7. Scuola Musicale Giuseppe Conte
Appuntamenti Natale 2021

Il Coro della Conte, diretto dal M.o Claudio Isoardi, ha felicemente ripreso le proprie attività. Le sue varie esibizioni sono sempre pervase da grande passione e gioia di cantare: un’intensa espressività che ogni corista infonde nella propria attività canora, puntando a trasmettere emozioni, vibrazioni e affetti...


pag 8. APS FILARMONICA PEGLIESE MARCO CHIUSAMONTI
La banda, gli eventi svolti nel 2021 e gli appuntamenti del prossimo Natale

La APS Filarmonica Pegliese Marco Chiusamonti è una realtà del ponente cittadino composta da 35 elementi in maggioranza giovani. Pratica musica d’insieme e si esibisce gratuitamente autofinanziandosi in manifestazioni civili e religiose con un repertorio di brani classici e tradizionali…


pag 9. Coro Monti Liguri
Appuntamenti Natale 2021

Il coro Monti Liguri, formazione a voci miste di Genova, pratica il canto di montagna e popolare, con incursioni in altri generi classici e moderni…


Associazioni & Comitati: Cosa fanno, chi sono


pag 10. Il Comitato Una Piazza Per Pegli scrive alla Civica Amministrazione, parte 2


IL comitato scrive una seconda lettera di proposte al Comune di Genova…


RUBRICHE


pag 11. E pòule/Le parole: “Lerfe”


di Fiorenzo Toso
Mi viene chiesta qualche notizia sulla parola “lerfe”: in genovese, come è noto, sono le ‘labbra’, ma il singolare “lerfo” è poco usato…


pag 12. IL CIBO: cucina, tradizioni, territorio
Le patate di Montoggio

di Sergio Rossi
La patate di Montoggio sono famose in Liguria e non solo. Lo sono da decenni, almeno per il passato più recente. Col Dopoguerra e la villeggiatura, chi risaliva i tornanti di Creto per trascorrere l’estate a Montoggio, tornava a casa col sacco di patate locali, talvolta più d’uno…


pag 13. PONENTE D’OLTREMARE
Comme innamoase de in paise, di so’ paisen e da so’ stoia
(incontro di un pegliese con i tabarchini)

di Enzo Dagnino
Per introdurre o raccontare della cittadina di Carloforte (ù Pàize come lo chiamano i Carlofortini) e della sua isola (uìsa) di San Pietro vorrei iniziare da quella che è stata la mia esperienza personale…


pag 14. L’ANGOLO DELLA POESIA
Pegli per me (di A.Rivano)


Un giorno mi chiederanno
“Cosa è Pegli per te ?”…


pag 15. Romanzo a puntate
La forma della felicità”
Capitolo 2.Il figlio del mare

Il secondo capitolo del romanzo di Antonello Rivano: La forma della felicità (ilmiolibro 2018). Una epopea che parte dal 1790 e arriva ai giorni nostri. La storia parallela di due famiglie divise dal destino. Un naufragio e un delitto aprono un cerchio che solo molti anni dopo si potrà chiudere. Una linea sottile traccia il confine tra il sogno e la realtà. Un filo invisibile lega due terre: Pegli e Carloforte…


pag. 16. IL FOTORACCONTO
Un Carrilon a Pegli


Foto di Enzo Dagnino
Lungomare di Pegli lunedì 6 dicembre

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TERZA PAGINA-Cultura & Spettacolo

“Venture di Thomasino Restàno, uomo in Sestri”: il Secolo dei Genovesi vissuto dal popolo

Un affresco dove con realismo emergono istanze morali, sociale, religiose, economiche, con coinvolgimenti appunto del popolo con i grandi temi e con le sofisticate strategie dei vertici di potere. Il XVI secolo è stato un periodo singolare per la storia di Genova e per le vicende di un Mediterraneo inqueto

di Paolo Lingua

Il secolo precedente s’era chiuso con una impennata destinata a modificare profondamente la politica dell’area europea, alterando equilibri e rapporti di potere. C’è la crescita, a livello mondiale, della Spagna, accanto a un ridimensionamento degli altri Stati del vecchio continente.
E in questa nuova dimensione si inserisce Genova che sin dal secolo precedente s’era collocata strategicamente in Spagna e in Portogallo e questo avveniva mentre declinava il ruolo di Venezia, incastrata nei suoi rapporti con il Mediterraneo orientale alle prese con la crescita impetuosa dell’Impero Ottomano. Genova nel XVI secolo, con la leadership dei Doria, i particolare di Andrea e poi dei suoi discendenti, modifica la Costituzione (a voler usare un termine moderno) stabilizzando l’oligarchia – con forti margini di elasticità e di cooptazione – con il Dogato Biennale e le successive modifiche. Sfrutta l’alleanza proficua con la Spagna, grazie alle sue navi e alla disponibilità finanziaria e va in crescita sino alla metà del secolo successivo.

Andrea Doria

Ma questa è una storia consolidata del “Potere” e il sistema oligarchico, peculiare del Dna dei genovesi. Accanto però alla storia che potremmo definire elitaria ci sono infinite vicende che coinvolgono tutti gli strati sociali ed economici della città e del territorio, con fortune e disgrazie, disastri e successi, però il tutto gestito in una dimensione che, se non è proprio succube, è certamente sottoposta a mille condizionamenti politici e sociali. Quanto, nella realtà, il popolo “medio” o “minuto” partecipa, condiziona e subisce le vicende gestite dai ceti superiori? Non è facile mettere a fuoco una realtà del genere senza rischiare ci cadere nella retorica, nella fantasia o nel facile moralismo. Ci ha provato, con cultura ma anche con un forte respiro umanitario, Giuseppe Spatola con questo libro (che si annuncia come il primo di una trilogia) dal titolo “Venture di Thomasino Restànouomo in Sestri” ( De Ferrari Editore, 2021).

L’autore inserisce nelle vicende del secolo genovese e spagnolo un personaggio realmente esistito e che ha avuto un padre che ha collaborato con Andrea Doria, mentre lui si aggancia a Giannandrea Doria, il suo erede e con ulteriori forti legami con il mondo religioso.

Il protagonista, i suoi figli e si suoi amici e compagni, con tuffi nella memoria per rievocare fatti storici del trentennio precedente (qui siamo attorno al 1570), vivono la loro esperienza dove l’affresco dell’Autore inserisce con abilità eventi di fantasia con importanti fatti storici. Alle spalle c’è un acquarello di Sestri Ponente immaginata nel contesto epocale, ma poi si naviga nel Mediterraneo tra Sicilia e Tabarca, mentre si ripercorrono le paure e i drammi del mondo cristiano alle prese con i famosi pirati barbareschi: BarbarossaDragutOcchialì. Ne esce un forte affresco dove con realismo emergono istanze morali, sociale, religiose, economiche, con coinvolgimenti appunto del popolo con i grandi temi e con le sofisticate strategie dei vertici di potere, balza agli occhi, nel rispetto della storia, sia pure accanto a ricostruzioni fantasiose, il ritratto d’una realtà molto complessa mentre sullo sfondo si delinea una Genova a modo suo sempre protagonista, originale e “diversa” rispetto a molti standard delle realtà contemporanee. Il Secolo dei Genovesi, in tutti i sensi, non è retorica

Paolo Lingua
Giornalista e scrittore saggista di Genova, laureato in giurisprudenza, master in scienze sociali, dal 2005 direttore di Telenord

La passione di Giuseppe per la storia ha fatto maturare questo primo romanzo di una trilogia che coinvolge molti paesi del Mediterraneo.
Scorrevole ed attraente, la sua penna ci tocca in modo particolare quando affronta la politica delle grandi famiglie genovesi ed ancora di più quando narra la vita di Sestri Ponente, di cui è cittadino il protagonista dell’ intero racconto Thomasino Restàno, Pegli Tabarca.

Antonio Marani
Coordinatore di Redazione Liguria/Polis SA Magazine-Circolo Culturale Norberto Sopranzi Pegli

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IN PRIMO PIANO

Cosa succede alla Liguria ed alle sue aziende?

Di Antonio Marani e Marco Maltesu

Cosa sta succedendo alle aziende liguri o forse ancora meglio, cosa sta succedendo alla Liguria incapace di tenersi le sue imprese, di sostenerle, di coccolarle ed offrirgli tutto quanto è necessario per consentirgli di produrre e possibilmente procreare con tante piccole nuove aziende?

La realtà invece parla di grandi Ditte che hanno delocalizzato le proprie strutture produttive in cerca di condizioni “migliori” per la produzione.

L’elenco seguente è solo una piccola parte delle occasioni che questa Regione ha perduto nel passato con le conseguenze in termini di posti di lavoro:

1-SAIWA fondata nel 1900  Dipendenti 500/1000-Spostata a Capriata d’Orta (AL)
2-ELAH DUFOUR  fondata nel 1829 Dipendenti 240- Spostata a NOVI LIGURE (AL)
3-Omp Mongiardino fondata nel 1968 Dipendenti 40- Spostata a CARBONARA SCRIVIA (AL)
4-BOERO Vernici fondata nel 1840-Dipendenti 70- Spostata a RIVALTA SCRIVIA (AL).

E come non pensare alle industrie pubbliche che riempivano nel passato la regione di lavoratori, Italsider, Italimpianti, Ansaldo, Finmecanica, Fincantieri, Eridania IP, ecc, alla quantità di posti di lavoro persi, alle occasioni mancate.

Sicuramente esistono a Genova ed in Liguria dei problemi di superficie disponibile che precludono la possibilità di espansione delle aziende in termini di spazio e questo è sicuramente un dato oggettivo, ma è evidente ad esempio che la regione è passata da una incredibile modernità infrastrutturale degli anni 70, ad un totale ritardo infrastrutturale a partire dagli anni 90 per diventare un quasi totale isolamento ai giorni nostri.

Sicuramente la carenza di infrastrutture ha condizionato la scelta di molte aziende che hanno preferito istallarsi in posti in cui le amministrazioni hanno, a differenza di quelle liguri, investito per portare queste imprese sul proprio territorio. Un esempio su tutti è la cosiddetta “gronda genovese”, un’opera di cui si parla da più di vent’anni, che dovrebbe liberare la città dalla morsa del traffico e ristabilire una corretta mobilità sul territorio separando i flussi di traffico in attraversamento del territorio genovese, con quelli destinati o provenienti dalla città. Per capire meglio, il traffico interno alla città, ad esempio da Voltri per il centro città, continuerebbe a percorrere l’attuale tracciato autostradale che verrebbe declassato e diventerebbe parte della viabilità ordinaria cittadina, mentre invece il flusso non destinato a Genova proseguirebbe su di un nuovo tracciato, a monte dell’attuale, che libererebbe quasi interamente l’attuale tratto cittadino autostradale. Questa opera è fondamentale nella gestione dei collegamenti nell’area di Genova ristabilendo condizioni minime di vivibilità e certezze  nella tempistica di trasporto.

Un dato costante, purtroppo, quello della mancanza di attenzione ai processi culturali ed economici che ha fatto si che molte aziende non trovassero le condizioni ideali per rimanere sul territorio ligure e trasferissero la produzione ed i relativi posti di lavoro in altri territori dando vita nel tempo a quell’emorragia di persone, in particolare i giovani alla ricerca di occupazione, che ha decretato un vero crollo di Genova dal punto di vista economico e di conseguenza sociale e demografico. Un depauperamento che tutta la collettività si trova poi a pagare perché quei posti di lavoro sono famiglie che si spostano, scuole che chiudono, case che si svuotano, negozi che non vendono, nuove famiglie che non si formano.

Meno male che almeno non sono finite in Cina queste aziende, si stima che siano almeno 730 quelle italiane che hanno già fatto questa scelta, ma questa è ancora un’altra storia di cui vi parleremo in un prossimo articolo.
Antonio Marani 
Marco Maltesu

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Eventi

Pegli, inaugurata la prima “panchina europea” genovese

Il progetto, realizzato in più di trenta città in diverse province italiane, vede nella panchina di Pegli la prima della città di Genova, ne arriveranno altre altre ne arriveranno a Ponente: a Pra’ in piazza Bignami e a Voltri in via Rubens (balconata delle bandiere)

di Antonello Rivano

Sabato 4 dicembre è stata inaugurata la prima “panchina europea” di Genova, sul lungomare di Pegli presso il Molo Torre. Alla presenza del Presidente del Municipio VII Genova Ponente, Claudio Chiarotti, che ha patrocinato l’iniziativa, delle associazioni promotrici e dei tanti cittadini.

Il progetto parte dalla volontà di alcuni ragazzi della Gioventù Federalista Europea che, in seguito all’imbrattamento con simboli neonazisti di una panchina europea realizzata a Lecco, hanno deciso di attivare una raccolta fondi per ripristinarla e diffondere il progetto in più città possibili.

Per iniziativa dei giovani federalisti il progetto “panchine europee” è già stato realizzato in più di trenta città in diverse province italiane (Ancona, Pesaro e Urbino, Lecco, Monza e Brianza, Latina, Trento, Modena, Salerno, Avellino, Bergamo) e si sta estendendo in altre regioni.

Le panchine europee vogliono ribadire e affermare il legame fra l’Italia e la Unione Europea, con l’obiettivo di condividere i valori della pace e della solidarietà che sono alla base del progetto europeo e per accompagnare in questo periodo la partecipazione dei cittadini alla Conferenza sul Futuro dell’Europa“. Questo quanto dichiarato in una nota dagli organizzatori e ribadito negli interventi durante la cerimonia dell’inaugurazione.


Dopo Il taglio del nastro da parte di Claudio Chiarotti-Presidente Municipio VII Ponente (vedi video in fondo all’articolo) che ha fatto il discorso iniziale, sono intervenuti:

Silvia Brocato-Assessore di Cultura e Formazione, Biblioteche, Scuole Vespertine, Pari opportunità e Politiche femminili, del Municipio VII Ponente

Piergiorgio Grossi-Segretario regionale Movimento Federalista Europea Genova,
Desi Silvar-Presidente AICRR Regione Liguria

Debora Strani-Coordinatrice progetto “Panchine Europee in ogni città”

Luca Bonofiglio-Comitato Una Piazza Per Pegli

Laura Michelini-Comitato Pegli Bene Comune
Silvia Brocato, assessore municipale alle Pari Opportunità ha commentato: “Credo fortemente nell’Europa, occorre però lavorare e lavorare molto affinché, tutti gli stati membri divengano solidali, e maggiormente responsabili. Per questo quando il Movimento Federalista Europeo di Genova e della Liguria e l’Associazione Italiana per il consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa, si sono rivolte al Municipio per inaugurare la prima panchina europea a Genova, abbiamo accolto con entusiasmo la richiesta. La nostra scelta è caduta su molo Torre, perché da lì si guarda il mare. E dal mare e nel mare l’Europa per molti è la terra promessa”.

Debora Striani, referente del progetto, ha affermato: “L’iniziativa ha una triplice finalità. Portare i simboli dell’Unione europea sul territorio, per ricordare che tutti noi siamo cittadini europei. Informare e stimolare la cittadinanza, durante l’evento di inaugurazione, su quelle contraddizioni e tematiche europee che incidono quotidianamente sul nostro presente e futuro, ma che difficilmente trovano spazio nel dibattito pubblico. Riqualificare un’area della città“.

Taglio del nastro e intervento di Claudio Chiarotti, Presidente Municipio VII Ponente

l segretario Mfe Marco Villa ha dichiarato: “Gli avvenimenti di questi ultimi anni (pandemia, crisi ambientale, crisi economica) ci dimostrano che tutti noi condividiamo con gli altri cittadini europei gli stessi problemi: siamo parte di un’unica comunità di destino. La panchina rappresenta un simbolo della nostra cittadinanza europea. La risposta che l’Unione europea ha dato alla crisi dovuta alla pandemia attraverso il piano Next Generation EU, meglio noto come Recovery Plan, è la dimostrazione che uniti si possono affrontare meglio le crisi”.

Così i comitati Una Piazza Per Pegli e Pegli Bene Comune: abbiamo partecipato attivamente anche noi. Abbiamo aderito al progetto, per riaffermare il valore della comune cittadinanza europea e animati dallo spirito di valorizzare, recuperare dal degrado e riqualificare gli spazi pubblici al fine di migliorare l’accessibilità, il decoro e l’attrazione del territorio per i cittadini e speriamo anche per i turisti!

Il progetto va avanti grazie alle donazioni dei cittadini, per questo motivo è importante donare utilizzando il seguente link: https://gofund.me/1399ed99.

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La magia dell’incontro tra acqua, terra e antiche tradizioni

Il Leudo, padroncino lento del mare

“Nuovo aiuto di Dio” visibile in spiaggia a Sestri Levante

Dal Medioevo ai giorni nostri, la storia della tipica imbarcazione ligure, attraverso le voci dei suoi abitanti

di Corrado Sotgiu

Ognuno di noi, ad un certo punto della propria vita, si è inevitabilmente soffermato a guardarsi intorno e a tracciare un bilancio dei propri rapporti con il paese in cui vive. Ineluttabile, per chi abita in un piccolo borgo marinaro come Sestri Levante, ritrovarsi a parlare con le figure umane che, per un verso o per l’altro, sono diventate parti integranti del paesaggio. Sono quelle persone che la gente del luogo conosce da sempre e che pure i viaggiatori, soliti ritornare nello stesso posto di villeggiatura, imparano ad amare.

Osservare i loro volti solcati dalle rughe del tempo, le loro mani ruvide per il duro lavoro e ascoltare le loro voci che riportano in vita storie lontane, diventa essenziale per conoscere a fondo il luogo in cui si vive. Tramandare di generazione in generazione le memorie di un’epoca lontana, di un mondo scomparso, di modi di vita totalmente cambiati dal corso del tempo, è essenziale per non dimenticare, per avere consapevolezza di chi siamo e da dove veniamo. Richiamare e mantenere vivida nel tempo la memoria delle nostre radici è dovere di tutti noi.

Sestri Levante

      A Sestri Levante, uno degli angoli più magici della Liguria, ogni pietra e sasso parla della perfetta armonia tra l’uomo e la natura che lo circonda. L’incontro tra sabbia, acqua e cielo costituisce la magia del luogo.  Bastano poche chiacchiere con la gente del posto, per ritrovarsi a parlare del mare e per capire quanto abbia rappresentato per i nostri avi. Commercio, pesca, turismo e tutti i mestieri che oggi classificheremmo con il termine indotto come i calafati, i maestri d’ascia, i maestri bottai e i salatori d’acciughe traggono la loro esistenza dal mare.

Un tempo la spiaggia era un cantiere a cielo aperto dove venivano aggiustate le barche, sistemate le reti, disteso il bucato a ridosso dei leudi e dove razzolavano persino animali da cortile quali galli e galline. Nella parte più a monte dell’arenile, mentre i bambini stavano vicini ai vecchi, che non perdevano occasione per narrare loro storie di mare, le donne aggiustavano le reti e rammendavano le vele dei leudi.

foto leudo.it

Sentire nominare più volte dagli abitanti del luogo la parola leudo, porta inevitabilmente a domandarsi: “Cosa sono i leudi?” Domanda semplicissima per i sestresi (o sestrini) che sono da secoli legati a questi mezzi di trasporto di una volta, diventati attrazione turistica e peculiarità del luogo ai nostri giorni. I leudi, chiamati così perché le loro forme panciute ricordano quelle del liuto, sono agili e piccole imbarcazioni (circa 15 metri di lunghezza con una capacità di carico di trenta tonnellate) che, dal basso Medioevo fino agli ultimi decenni del 1900 era possibile vedere solcare il mare del Tigullio. Peculiarità di questo mezzo di trasporto via mare, erano la tipica armatura a vela latina (probabilmente di derivazione araba), l’albero inclinato, il bolzone assai pronunciato della coperta e la forma affusolata dello scafo. Quest’ultima caratteristica era essenziale, perché permetteva all’imbarcazione di essere varata ed alata sulle spiagge.

foto leudo.it

Ciò era molto importante, in quanto la politica della Repubblica Genovese non permetteva la costruzione di porti che potessero risultare in concorrenza con quello genovese. I leudi, denominati “latini” a Sestri Levante e “rivenetti” a Riva Trigoso (entrambe le cittadine ne furono a lungo il regno), venivano impiegati per il trasporto di svariate merci, fra cui l’ardesia di Cogorno, le ceramiche di Albisola, le lastre di ardesia e pizzi fatti al tombolo, il carbone, la sabbia utile nelle costruzioni, il sale, l’olio ligure, il pecorino sardo, i barili di alici sotto sale e il vino.

Il leudo della famiglia Castagnola, ad esempio, era solito viaggiare fino all’Elba per caricare botti di buon vino bianco.  Nel 1714 persino la regina di Spagna Elisabetta Farnese, che soggiornò a Sestri Levante, usufruì di questa celebre imbarcazione locale per raggiungere il suo sposo Filippo V. Grazie ai leudi, la storia della Liguria, si è intrecciata con quella di tanti altri popoli, infatti, anche se i rapporti più intensi si svilupparono con le isole italiane, i commerci portavano verso la Francia, la Spagna e l’Africa settentrionale. I leudi erano imbarcazioni solide, che tenevano bene il mare anche se alcuni ebbero un triste destino come l’“Aiuto di Dio” che naufragò sulle secche toscane, allorché il timoniere si addormentò durante la bonaccia.

foto leudo.it

Sorte più benevola ebbe quello dei fratelli Castagnola che scampò ad una tremenda burrasca con onde enormi e venti a più di 100 km/h, grazie all’intervento provvidenziale della nave “Presidente Taylor”.  A fine Ottocento-inizio Novecento, i leudi erano parti integranti della comunità locale, in quanto la loro gestione coinvolgeva intere famiglie. Al termine della stagione estiva, il ritorno a terra dell’imbarcazione, era caratterizzata dall’alaggio. Tutti si radunavano sulla spiaggia per scaricare le merci e partecipare alle manovre necessarie per metterli in secca al riparo dalle mareggiate invernali. Mentre un sestrese ci narra dell’importanza assunta dai leudi nell’arco della storia, inevitabilmente ci sovviene la domanda: “In quale periodo e per quale motivo, ad un certo punto, vennero arenati sulle spiagge, rinunciando per sempre all’utilizzo di questi preziosi mezzi di trasporto?” La risposta è semplicissima e si ricollega allo sviluppo delle infrastrutture di rete dei trasporti.

Fino alla Prima Guerra Mondiale, in Liguria, il leudo era ritenuto un mezzo essenziale per il trasporto delle merci in quanto il trasporto via mare consentiva di non intasare con pesanti automezzi la costa. Nel secondo dopoguerra, tuttavia, le migliorie apportate alla rete stradale e la costruzione delle autostrade, favorirono il trasporto su gomma e i leudi, tirati in secca non solo non punteggiarono più il mare, ma iniziarono a scomparire. Il loro ricordo rimase però vivido nella memoria delle genti e alcuni, col tempo, vennero sottoposti ad un’opera di restauro.

A tal riguardo, alla fine del nostro viaggio, è doveroso ricordare l’Associazione “Amici del leudo” fondata nel 2011 che si è occupata della restaurazione dell’ultimo leudo in grado di navigare denominato il “Nuovo aiuto di Dio”. Tale leudo, costruito nel 1925 in sostituzione dell’“Aiuto di Dio” naufragato vicino a Grosseto, apparteneva alla famiglia Zolezzi ed era adibito al trasporto di vino.

Leudo “Nuovo Aiuto di Dio”

Era un’imbarcazione snella ed elegante in legno di pino in grado di trasportare 200 ettolitri di vino in botti poste sulla coperta lunata.  All’interno facevano capolino un paio di cuccette e un armadietto per frugali provviste. A bordo solitamente erano presenti 4 marinai. L’originalità di questo leudo era il modo in cui avveniva lo sbarco delle botti: calate in acqua in prossimità della riva legate ad una corda venivano trainate sulla sabbia con la sola forza delle braccia dei marinai. Per l’alaggio occorrevano ben 50 uomini e 12 h di lavoro!

Dopo essere stato protagonista di svariate avventure, quali un sequestro durante la guerra e un naufragio, il “Nuovo Aiuto di Dio” fu trasformato in un’imbarcazione da diporto per essere, infine, accantonato sulla spiaggia di Sestri Levante. Soltanto nel 2011, grazie al lavoro encomiabile del maestro d’ascia scozzese Stewart Hyder e di molti volontari, fu sottoposto ad una laboriosa opera di restauro e “riportato in vita”. Il “Nuovo Aiuto di Dio”, durante l’estate, solca di nuovo il mare, mentre in inverno viene alato sulla spiaggia dei Balin nella Baia delle Favole. È oggi a disposizione delle scuole che tramandano nel tempo la cultura della vela latina e di tutti coloro che vogliano provare cosa significa navigare su questa storica imbarcazione. L’Associazione ne ha chiesto l’inserimento nel patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Corrado Sotgiu

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Scuola Musicale Giuseppe Conte: Appuntamenti Natale 2021

Il Coro della Conte, diretto dal M.o Claudio Isoardi, ha felicemente ripreso le proprie attività. Le sue varie esibizioni sono sempre pervase da grande passione e gioia di cantare: un’intensa espressività che ogni corista infonde nella propria attività canora, puntando a trasmettere emozioni, vibrazioni e affetti.

Dopo una prima esperienza a fine Settembre scorso, in occasione dell’open day della Scuola Musicale Giuseppe Conte (del cui corso di Coro è espressione), ben cinque sono a Dicembre gli appuntamenti pubblici che vedranno il Coro della Conte proporsi in iniziative che metteranno al centro l’amicizia e la collaborazione artistica: un’unione di forze per un obiettivo comune che intende rappresentare un vero punto di ripartenza

Concerto “Aspettando Natale a Pegli”

Sabato 11 dicembre, alle ore 20:30, presso la Chiesa di San Donato (Via San Donato 10 – Genova centro storico), e domenica 12 dicembre, alle ore 20.30, presso la Chiesa di San Francesco (Via Salgari 2 – Genova Pegli), il Coro della Conte, espressione del corso di Coro della Scuola Musicale Giuseppe Conte e diretto dal M.o Claudio Isoardi, si proporrà in un concerto natalizio frutto della collaborazione con la Cappella Musicale della Cattedrale di Genova, diretta dal M.o Damiano Profumo.

Siamo felici di proporre questo gemellaggio, che vedrà alternare brani ad ispirazione sacra in un riflesso di stili e armonie variegate, talvolta anche molto distanti, per assaporare ispirazioni armoniche e stilistiche che esprimono punti di osservazione musicale eclettici, originali, forse lontani, ma accomunati dallo stesso obiettivo: la preghiera.
“Riflessi Corali” – Aspettando il Natale, non a caso è denominato il concerto: invocazioni musicali in chiave devozionale, che mettono in evidenza le differenti attitudini corali e la variegata ispirazione formale, per offrire una riflessione espressiva che accompagni verso queste festività

Concerto di Natale della rinascita

Venerdì 17, alle ore 20:45, presso la Basilica Santa Maria Immacolata (Via Assarotti 24), e sabato 18, alle ore 21, a Novi Ligure presso la Collegiata di Santa Maria Assunta, frutto della collaborazione con il Coro NovinCanto di Novi Ligure, diretto dal M.o Cecilia Lee Hyo In.Tutta la cittadinanza è invitata a partecipare a queste diverse proposte corali, che per noi rappresentano momenti di vera condivisione ed espressione di quell’entusiasmo e di quella passione che accendono i nostri animi, le nostre menti e le nostre voci, in una preghiera musicale collettiva.

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APS FILARMONICA PEGLIESE MARCO CHIUSAMONTI: la banda, gli eventi svolti nel 2021 e gli appuntamenti del prossimo Natale

La APS Filarmonica Pegliese Marco Chiusamonti è una realtà del ponente cittadino composta da 35 elementi in maggioranza giovani. Pratica musica d’insieme e si esibisce gratuitamente autofinanziandosi in manifestazioni civili e religiose con un repertorio di brani classici e tradizionali. E’ aperta a tutti e fornisce gratis strumento musicale e divisa agli orchestrali.

E’ il  Complesso Bandistico di rappresentanza della comunità pegliese nell’ambito delle Celebrazioni Civili e Religiose, si pone quale servizio sostitutivo, integrativo o complementare agli eventi organizzati dalle varie Amministrazioni.
 La Banda svolge la propria attività con appuntamenti fissi ed occasionali rispetto a quanto organizzato dall’Amministrazione Regionale, Comunale e Municipale, in particolare per l’organizzazione delle ricorrenze civili e con il Vicariato per quelle religiose.

L’attività concertistica è occasione di servizio pubblico e di sviluppo sociale e culturale, nonché di aggregazione tra persone di tutte le età.

Ha un intenso programma annuale di iniziative con le quali partecipa ed anima i momenti salienti della vita del nostro territorio ed è aperta alla partecipazione ad eventi ed occasioni nei quali la cittadinanza viene via via sensibilizzata e coinvolta su richiesta e su sollecitazione di associazioni e istituzioni.

Nelle Manifestazioni programmate, offerte alla cittadinanza a titolo gratuito, si propone di valorizzare il territorio e il suo patrimonio culturale e storico, sviluppando la crescita sociale di persone di tutte le età e condizione anche attraverso i propri canali di divulgazione: Facebook, Sito internet, YouTube e la creazione di video originali.

L’attività formativa ed educativa della Filarmonica è un servizio sostitutivo, integrativo e complementare alle azioni cittadine e territoriali volte a sostenere il diritto allo studio, in particolare dell’infanzie e dell’adolescenza. La Filarmonica svolge un’intensa funzione di formazione musicale e diffusione della cultura avvalendosi della collaborazione di sei musicisti professionisti, laureati presso i Conservatori di Alta Formazione Musicale, di età compresa tra 23 e 29 anni.

Dal 2016 ha offerto gratuitamente alla comunità numerose manifestazioni che sono state occasioni di aggregazione di tanti cittadini e che hanno riscosso molto apprezzamento, sia per la buona qualità delle prestazioni musicali proposte che per la dedizione profusa per lo sviluppo culturale e sociale soprattutto di giovani oltre al recupero delle tradizioni culturali e delle radici comuni.

Nel 2020 il Covid ha interrotto una tradizione di concerti accompagnati da numerose persone, si è fatto quindi ricorso a strumenti di comunicazione digitali per giungere a tutti, sono stati realizzati filmati che hanno riscosso molto apprezzamento da parte del pubblico social e della critica, di particolare rilievo il video gemellaggio tra le Bande musicali e le comunità di Pegli, Carloforte e Calasetta; Sul canale you tube della Filarmonica sono visibili i video realizzati in tale periodo.

La Filarmonica Pegliese è stata fondata per colmare una grave lacuna culturale del nostro territorio, poiché Pegli  è stata per molti anni  l’unica delegazione del ponente genovese, da Cogoleto a Sampierdarena, che non si poteva avvalere di una Banda Musicale di rappresentanza.
 Infatti in occasione delle ricorrenze religiose (S. Rosalia, S. Cecilia, S. Martino) o Commemorazioni Istituzionali (25 aprile, 2 giugno, 4 novembre), l’Amministrazione e le varie Associazioni di volta in volta coinvolte si sono dovute avvalere  della collaborazione di Bande musicali appartenenti ad altre delegazioni poiché la Banda storica pegliese, convertita in una scuola di musica più di quarant’anni fa non ha portato avanti l’orientamento bandistico.
 Molti cittadini pegliesi, sentendo quindi la necessità di un complesso musicale di rappresentanza si sono prodigati per fondare nuovamente una banda musicale.
L’intitolazione, dedicata a Marco Chiusamonti, un giovane pegliese, esemplare come studente, come amante della musica, suonatore di flauto e appassionato della montagna (dove tragicamente ha perso la vita 34 anni fa all’età di 18 anni) rispecchia in pieno i valori fondanti di una Banda quali le dedizione con passione allo studio della musica vissuta in ambito amatoriale e la predilezione verso le fasce più giovani della nostra comunità.

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4 settembre 2021-Santa Rosalia

Gli appuntamenti svolti in questo ultimo periodo del 2021 sono i seguenti:

– 4 settembre: Solenne Casaccia di Santa Rosalia, Patrona di Pegli, organizzata dal Vicariato di Pegli.

– 15 / 16 / 17 settembre :  Open days,  per incentivare la partecipazione alle attività della Filarmonica e divulgare maggiormente il progetto sociale che si intende perseguire

Foto:Open Days
– 17 ottobre:  Partecipazione alla Manifestazione “Peglilot”, organizzata dal  Civ Riviera di Pegli 


Foto:Peglilot

– 29 ottobre: Cerimonia di commemorazione dei Caduti Pegliesi della Grande Guerra, nel centenario della traslazione del milite ignoto all’altare della Patria:
L’Associazione Nazionale Artiglieri, Sezione “Raffaele Cattaneo” di Genova, unitamente alle Associazioni Combattentistiche e d’Arma appartenenti ad Assoarma Città Metropolitana di Genova, si sono fatte promotrici di una Cerimonia Commemorativa che si è tenuta in Pegli presso il Parco di Villa Rosa Lomellini e Viale della Rimembranza.


Cerimonia di commemorazione dei Caduti Pegliesi della Grande Guerra
– 28 novembre: Musica liturgica in onore di Santa Cecilia presso ila Chiesa S. Maria Immacolata di Pegli

Foto: S.Cecilia

Eventi in programma nel periodo natalizio

“Aspettando Natale”
12 dicembre, ore  17.00 – Tensostruttura Junior Tennis Pegli,  Via G. Longo 15R – Concerto realizzato in collaborazione con il “Coro Monti Liguri”

“Piccole note di Natale”
15 dicembre, ore 17.00 – Oratorio di S. Martino di Pegli
Saggio di Natale dei piccoli musicisti del corso di propedeutica musicale

18 dicembre ore 15.30 / 18.00, Pegli
Tradizionali Concertini natalizi itineranti per le vie di Pegli.
Nell’ambito della manifestazione verrà proposta una nuova inziativa:  “La musica è ecologica”; animazione musicale in ville e giardini di Pegli: Villa Doria, Piazza Bonavino e Giardini Peragallo.
Saranno lette poesie sull’ambiente, in particolare inerenti agli alberi e suonati brani ad hoc, per sensibilizzare i cittadini sull’importanza degli alberi per l’uomo e sul rispetto che gli dobbiamo riservare.

“Natale in Musica”
19 dicembre ore 17.00 – Teatro San Giovanni Battista, Via Domenico Oliva 5 – Sestri Ponente
Musiche, canti e coreografie, in collaborazione con l’Accademia della Fantasia Concerto a favore dell’Ospedale G. Gaslini di Genova

“Atmosfere di Natale in musica”
22 dicembre ore 15.30 / 17.30
Concerto presso la Casa di riposo “Residenza Casa Boetto” offerto agli ospiti della residenza.

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Coro Monti Liguiri: Appuntamenti Natale 2021

Il coro Monti Liguri, formazione a voci miste di Genova, pratica il canto di montagna e popolare, con incursioni in altri generi classici e moderni. Coro Monti Liguri di Genova Sestri, a voci miste con repertorio di prevalente ispirazione popolare e di montagna, fondato nel 1990.

Vi proponiamo uno dei concerti con i quali il coro MONTI LIGURI ritrova la propria armonia e vicinanza al pubblico, nel segno del Natale imminente. Ringraziamo la gentile ospitalità della Filarmonica Pegliese, che ci ha voluto accanto nei suoi auguri musicali al pubblico

Siete invitati ad un concerto di Natale pieno di energia e speranza, nel nome della rinascita ad una nuova vita artistica, dopo la sosta forzata di quasi due anni. Ascolterete un ricco programma di canti popolari e natalizi, per scambiarci gli auguri in armonia

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Associazioni & Comitati

Il Comitato Una Piazza Per Pegli scrive alla Civica Amministrazione, parte 2

Ricordate la lettera che abbiamo scritto qualche settimana fa al Comune di Genova per chiedere piccoli interventi di riqualificazione e abbellimento di Piazza Ponchielli, in vista di una sua rigenerazione più ampia e generosa? Dopo le aiuole con le palme, nelle quali abbiamo chiesto l’inserimento di essenze arbustive con cui ingentilirle, è la volta di un tema che ci sta molto a cuore: l’accessibilità al Parco di Villa Durazzo Pallavicini!

Ci è capitato più volte di vedere con i nostri occhi che turisti provenienti dai binari della stazione non sapessero dove andare, con la vista sul Parco ostruita dagli autobus e nessuna indicazione su come raggiungerlo. Ci siamo chiesti: come migliorare l’accessibilità alla nostra splendida Villa?

Idea! Oltre all’abbellimento delle aiuole, per portare in sicurezza al Parco i turisti che arrivano a Pegli in treno, perché non sfruttare nella sua interezza il marciapiede “a mattonelle” collocato sui lati nord ed est della piazza, liberandolo dalla cabina per fototessere e dalla cabina telefonica? Ma non solo! Il marciapiede andrebbe indicato da una cartellonistica ad hoc, da posizionare nell’atrio della stazione ferroviaria dove il turista possa capire subito che direzione prendere per entrare nella Villa.

Ricapitolando: “liberando” il marciapiede e segnalandolo in maniera adeguata, ecco che l’accessibilità a Villa Durazzo Pallavicini verrebbe migliorata in poche semplici mosse!

Comitato Una Piazza Per Pegli
foto e testo sono tratti dalla pagina FB del comitato https://www.facebook.com/unapiazzaperpegli/

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E pòule/Le parole

“Lerfe”

di Fiorenzo Toso

Mi viene chiesta qualche notizia sulla parola “lerfe”: in genovese, come è noto, sono le ‘labbra’, ma il singolare “lerfo” è poco usato.

Mi viene chiesta qualche notizia sulla parola “lerfe”: in genovese, come è noto, sono le ‘labbra’, ma il singolare “lerfo” è poco usato.. A dire il vero il termine non corrisponde in tutto e per tutto all’italiano, avendo una connotazione piuttosto negativa: si può dire di una persona che ha “e lerfe imböse”, ossia che ‘ha il broncio’, oppure che ha “e lerfe sciute”, ‘le labbra asciutte’ (e metaforicamente che non spiffera i segreti), si può anche parlare di “lerfo scciappou”, ed è il ‘labbro leporino’, ma guai ad esempio a dire a una ragazza che “a l’à de belle lerfe”: si correrebbe il rischio di rimediare un bel… “lerfon” (o “lerfâ”), che è, come noto, un ceffone dato sulla bocca.

La forma più “diplomatica” è allora il poco usato e insolito “lapri”, “labri”, probabilmente frutto della sovrapposizione della forma italiana sul più antico “lavre”. In ogni caso, la nostra voce compare nel sec. XVII, quando anche il plurale era prevalentemente maschile: “mette ri lerfi e ri sunaggi à muœggio”, dice il Capriata; tuttavia Giuliano Rossi, che scrive in genovese “basso”, ha anche la forma femminile “lerfe”, presente in testi provinciali come quelli del taggiasco Stefano Rossi (1637), circostanza che lascia pensare che il femminile plurale fosse in origine una forma prevalentemente popolare.

Oggi comunque il plurale maschile “lerfi” è ancora piuttosto diffuso nei dialetti liguri, soprattutto a Ponente, ma il femminile è decisamente maggioritario.

Il derivato “slerfa” viene a volte menzionato come una forma “tradizionale” per definire un pezzo di focaccia. Da quel che ho potuto appurare, le persone di una certa età hanno sempre detto semmai (e io personalmente concordo) “unna sleppa de fugassa”, e forte è l’impressione che questo “slerfa” sia nato piuttosto recentemente proprio dalla sovrapposizione di “lerfo” su “sleppa”. In ogni caso, poco male, anche il conio di un neologismo è in fondo il segnale della vitalità di una lingua.
fonte https://www.facebook.com/fiorenzo.toso

Prof.Fiorenzo Toso
linguista, accademico di linguistica e dialettologo italiano. Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Fiorenzo_Toso

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IL CIBO: cucina, tradizioni, territorio

Le patate di Montoggio 

La patate di Montoggio sono famose in Liguria e non solo. Lo sono da decenni, almeno per il passato più recente. Col Dopoguerra e la villeggiatura, chi risaliva i tornanti di Creto per trascorrere l’estate a Montoggio, tornava a casa col sacco di patate locali, talvolta più d’uno

di Sergio Rossi

Questa vocazione verso i pomi di terra, come li chiamavano ancora nei primi decenni dell’Ottocento, ha una storia piuttosto antica e documentata. Verso fine Settecento le patate si diffusero sulle montagne genovesi anche grazie all’azione efficace e lungimirante di Michele Dondero, parroco di Roccatagliata, un paesino che sta sulle alture della valle Fontanabuona ma assai prossimo ai villaggi della val Trebbia e dell’alta valle Scrivia.

 Il sacerdote cercò di convincere i suoi parrocchiani circa la bontà e la forte resa delle patate, ma ci vollero caparbietà e costanza per giungere al risultato sperato.

Su quei monti tanta gente viveva in un regime di povertà e denutrizione – è lui stesso a raccontarlo nelle sue cronache – ma nonostante quella condizione c’era una gran diffidenza verso un nuovo ortaggio venuto da chissà dove. Don Michele alla fine l’ebbe vinta ma ci volle qualche stagione per convincere i suoi conterranei a coltivare e mangiare le patate.

Siamo negli anni Ottanta del Settecento e circa un decennio più tardi, nel 1796, viene pubblicato lo studio del topografo Pellegrini che raccoglie, fra l’altro, i dati relativi alla produzione di patate in diversi paesi dell’Appennino genovese. Con 55.000 rubbi, cioè 440 quintaliMontoggio è il paese con la maggior produzione.

Val d’Àveto Santo Stefano (30.000), Val Borbera Cabella (400), Cantalupo (700), Carrega (0), Grondona (170), 
Mongiardino (4.340), Roccaforte (5.000), Rocchetta (1890)

Valle Scrivia Busalla (4.000), Casella (7.000), Croce Fieschi (1.500), 
Isola del Cantone (800), Montoggio (55.000), Ronco (800), Savignone (8.000)

Valle Stura  e Val TrebbiaCampofreddo (2.500) Fascia (1.600), Fontanigorda (3.400),
 Gorreto (4.500), Montebruno (6.000), Ottone (5.800), Propata (800), 
Rondanina (800), Rovegno (6.000), Torriglia (4.500)

(I dati sono tratti dalla relazione del topografo Pellegrini (1796), citata in A. Sisto, I feudi imperiali del tortonese (secoli XI-XIX), Giappichelli, Torino 1956, pag. 176; in evidenza le produzioni di Montoggio e Santo Stefano d’Aveto.).

Questo dato rivela l’evidenza che Montoggio avesse almeno una generica vocazione territoriale favorevole alla produzione di patate, condizione che può averne incentivato la coltivazione e, di conseguenza, alimentato l’esperienza agronomica dei contadini locali. In altre parole, è probabile che gli agricoltori montoggini si fossero resi conto di quanto venissero bene le patate, rendendo di più del grano e del mais e costituendo un ottimo alimento.

Tanto per fornire un termine di paragone con le colture allora più popolari, cioè cereali e granturco, i dati di fine Settecento, relativi alle montagne genovesi, rivelano che“[…] da quella porzione di terreno, donde non potevano ricavare che uno stajo [24 litri] di altre derrate, ne uscivano 50 rubbi [400 kg] di pomi di terra; i quali a calcolo fatto equivalevano a 25 rubbi [200 kg] di granone.”. [Massimo Angelini, Le patate della tradizione rurale sull’Appennino ligure – Chiavari, 2008]. Forse questo dato fornisce la prova evidente della convenienza che, vinta la diffidenza, trovarono i contadini nel coltivare attivamente le patate

In ogni caso, qualunque sia la ragione per cui Montoggio conquistò quel primato, questa tradizione antica rimane tuttora viva, poiché le buone patate sono sempre coltivate dai produttori locali. Sui mercati genovesi, e non solo, la scritta “Patate di Montoggio” attrae sempre i compratori che riconoscono un prodotto storico di elevato valore qualitativo. Discorso a parte meritano le diverse varietà coltivate nel tempo.

Montoggio è famosa per le sue “Bianche”, riportate in auge da un paziente lavoro di ricerca e rivalutazione concreta da Massimo Angelini a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Alle “Bianche o Quarantine”, probabilmente erano affiancate anche altre varietà “antiche” soppiantate, almeno in parte, dalle nuove varietà introdotte nel Secondo Dopoguerra. Una fra tutte, forse la più diffusa fino a qualche decennio fa, era la Kennebec, localmente conosciuta come Kennedy, corruzione popolare del nome originale. In seguito, con l’aumentare delle varietà commerciali, ognuno decise di coltivare quelle che rendevano meglio o riscontravano il maggiore apprezzamento della clientela. Ciò che conta davvero per Montoggio, indipendentemente dalla varietà, è che a fornire una sorta di “Marchio di Qualità” ai tuberi locali, è sempre il nome “Patate di Montoggio”, che costituisce tuttora, per il consumatore finale, un elemento di attrattività e affidabilità, non una cosa da poco, di questi tempi.

Foto da http://www.ilcucinosofo.it/

Sergio Rossi

Sergio Rossi

 Si occupa di storie e culture del cibo e della cucina. E’ stato direttore del Conservatorio delle Cucine Mediterranee di Genova, ha creato e curato l’Archivio per la Storia dell’Alimentazione Giovanni Rebora e ideato e curato i testi del blog ilcucinosofo.it

Vive e lavora fra Genova e l’entroterra genovese, indagando la cultura gastronomica delle comunità e le produzioni alimentari tradizionali italiane. Collabora con quotidiani, riviste e reti televisive.

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Ponente d’oltremare

Comme innamoase de in paise, di so’ paisen e da so’ stoia
(incontro di un pegliese con i tabarchini)

Carloforte vista dal mare

di Enzo Dagnino

Per introdurre o raccontare della cittadina di Carloforte (ù Pàize come lo chiamano i Carlofortini) e della sua isola (uìsa) di San Pietro vorrei iniziare da quella che è stata la mia esperienza personale.

Come molti ero a conoscenza di una enclave che viveva in terra di sardegna e dove era parlato il genovese e sempre come moltissimi, genovesi e non, non mi ero mai posto il problema di conoscerne storia e motivazioni.

Eravamo nel 2001, un sabato mattina, e leggendo la rivista mensile del Touring Club sono stato incuriosito da un articolo su Carloforte dove, oltre alla attrattive paesaggistiche, veniva descritta un po’ della controversa storia che è stata vissuta dai tabarchini.  Come è mia abitudine, poca riflessione e tanto slancio, ho preso riferimento di due hotel  e ho prenotato sia camera che traghetto, logicamente senza chiedere nulla a mia moglie ma ponendola davanti al fatto compiuto e dire no significava rimetterci la caparra (sèmmu zèneixi o no).

Facendola breve, siamo sbarcati nel porto di Carloforte e il nostro primo incontro è stato con dei bimbi che giocavano e tra cui c’era una bimbetta di quattro o cinque anni con un braccio al collo e mia moglie prontamente le dice “piccola cosa ti sei fatta?” e lei altrettanto prontamente le risponde “ehh … màu sun ruttu”.   Queste parole sono bastate, dette da una bimba, a farci aprire il cuore a un mondo nuovo, ad incontrare e voler conoscere una realtà che solo vivendola con i tabarchini può riappacificarci con l’amore per le tradizioni e per la propria storia (bella o brutta che sia stata) che in questa terra si respira.

Da quel primo viaggio ne sono seguiti molti e ogni volta mi hanno portato conoscenze e amicizie che mai avrei pensato di vivere perché leggendone e ascoltandone la storia e le vicissitudini si resta stupiti di come questo popolo (perché questo è un popolo con una sua identità ben precisa) sia riuscito a mantenere inalterato il suo modo di vivere e le sua tradizioni nonostante le avventure che ha vissuto.

Non sto a fare tutta la storia che ha vissuto dalla partenza da pegli nel 1542 sino all’insediamento in Sardegna nelle isole di San Pietro e Sant’Antioco perché altri ne hanno parlato e ne parleranno abbondantemente anche in occasione degli incontri per il riconoscimento UNESCO di questa “epopea” ma vorrei evidenziare alcuni fatti che dimostrano l’unicità di questo popolo. 

Partenza da Pegli nel 1542

Sicuramente hanno conservato nel loro DNA quel qualcosa di ligure che è dovuto all’ambiente, aspro e duro da lavorare e conquistare, ma che gli ha permesso di superare tutte le traversie che hanno incontrato.

Vorrei solo ricordare, perché questa è una cosa di cui poco si parla, quello che hanno rappresentato i tabarchini nello sviluppo sociale a cavallo tra l’ottocento e il novecento per quello che concerne i diritti dei lavoratori in Sardegna.  Infatti a Carloforte sono nate e cresciute le prime  Società Operaie di Mutuo Soccorso; ad esempio nel 1907 (prima in Italia) è stata costituita la Società delle Operaie Cattoliche di Sant’Anna composta da sole donne occupate nella lavorazione del tonno (inscatolamento).

Nel pensiero comune si legano, solitamente, i tabarchini alla pesca del corallo e del tonno per passare poi alla saline ma si parla molto poco di cosa hanno rappresentato le miniere del Sulcis nell’economia e nella vita di queste genti.

Mancando strade e mezzi per il trasporto del minerale via terra le società minerarie caricavano il materiale, dopo la sua estrazione, sulle “bilancelle” (piccole-medie imbarcazioni costiere molto simili al nostro leudo) per stivarlo a Carloforte e imbarcarlo poi sui bastimenti a vapore).        

        

Si trattava di minerale di piombo chiamato “galanza”per cui i marinai addetti al suo trasporto erano detti “galanzieri”; si consideri che nel 1869 si arrivò al trasporto di oltre 800.000 quintali di minerale che veniva imbarcato e poi sbarcato, a spalla,  in coffe da 40-80 Kg.  I galanzieri venivano pagati a tonnellata: nel 1870 mediamente 6,25 lire a tonnellata da dividere in 11 parti, per un equipaggio di sette uomini, di cui 3,5 lire all’armatore, 1,5 al proprietario del battello e il resto diviso tra i 6 marinai.

Era evidente che un simile lavoro, duro e mal retribuito, sfociasse nella nascita di movimenti di protesta che culminarono nella strage di Buggerru dove alcuni manifestanti furono uccisi dalle forza dell’ordine.

In quegli anni si distinse la figura di Giuseppe Cavallera che fece nascere a Carloforte il Movimento Socialista in difesa dei Lavoratori.  I Carlofortini per riconoscenza gli hanno dedicato il teatro del paese e lo hanno mantenuto integro nelle strutture e arredamenti originali.

Con la fine dell’attività estrattiva nel Sulcis, con la riduzione della pesca e lavorazione del tonno, con la chiusura delle saline il tabarchino non si è arreso a piangersi addosso ma rimboccandosi le maniche ha intrapreso la via a lui più familiare diventando un navigante famoso in tutto il mondo e facendo sorgere a  Carloforte,un comune di 6.000 anima e proprio negli ex magazzini della galanza,  uno dei maggiori Istituti Nautici d’Italia.

E’ doveroso ricordare come, invece, i Calasettani si siano dedicati maggiormente all’agricoltura ed in particolare alla viticoltura coltivando e vinificando il Carignano.  A metà ottocento Vittorio Angius scriveva “L e vigne sono 150, ed in esse sono piantate 1.500.00 viti, che nell’anno producono 1.000.000 di litri di vini eccellenti …. Che sostengosi con li migliori del Campidano”.

Non ho parlato delle bellezze naturali delle “nostre isole” e del cibo tradizionale, connubio ligure-tabarchino, ma ho voluto, e spero di esserci riuscito, dare un’immagine di questo popolo che che è sempre pronto ad accogliere gli ospiti (se poi provenienti da Genova e soprattutto da Pegli non si ha idea di cosa sia capace) sempre con il sorriso sulle labbra, con il cuore aperto e …. magari con qualche “mugugno” …. d’amore in sottofondo che ne certifica le RAIXE (radici).
Enzo Dagnino

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L’angolo della poesia

Pegli per me (di A.Rivano)

Pegli per me

Un giorno mi chiederanno
“cosa è Pegli per te ?”
È una magia adagiata sul
mare, risponderò
Una fiaba raccontata
a un bambino.
Un luogo fatato a cui
fanno guardia i monti.
É un gigante con i piedi nell’
acqua e la testa persa tra nuvole.
È colei che mi ha stregato,
fatto suo.
Richiamato da altre terre,
lontane.
È la bellezza che mi ha fatto
innamorare.
È colei che mi donato
Il suo cuore, é colei a cui
ho donato il mio cuore.

Antonello

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Romanzo a puntate


La forma della felicità”

2.Il figlio del mare

 Pietro aveva il viso brunito dal sole, segnato dai giorni passati per il mare e ricoperto da una barba candida. I capelli dello stesso colore, un tempo biondi, lunghi sin quasi sulle spalle e leggermente arricciati, uscivano dall’eterno berretto di lana calcato sin sulla fronte. Seppure avanti con gli anni il suo fisico aveva conservato la sua prestanza, alto e robusto con un portamento che lo faceva sembrare un antico guerriero; non sembrava neppure appartenere alla stessa gente che popolava l’isola, e probabilmente così era.

Il suo rapporto con l’isola era sempre stato conflittuale: tanta voglia di andare via e allo stesso tempo la voglia irrefrenabile di farvi ritorno.

    Raccontavano che era stato trovato sulla riva del mare da un pescatore del posto, un fagottino che faceva sentire la sua voce al di sopra dello stridio dei gabbiani, avvolto in una coperta di lana, sotto un vecchio gozzo capovolto. Non si era mai saputo di chi fosse figlio: per gli isolani era “Il figlio del mare”.

  All’anagrafe, lo chiamarono come l’apostolo pescatore che la leggenda voleva esser naufragato, dopo una tempesta, su quel pezzetto di terra in mezzo al mare; il santo che all’isola dava il nome e ne era patrono. Così ebbe un nome che era anche il suo destino: Pietro, come l’isola e il pescatore che la proteggeva. Sul mare, dunque, avrebbe passato gran parte della sua vita.

  Dall’uomo che lo aveva trovato, e dalla moglie di questi era stato adottato e allevato con infinito amore, unico figlio e come tale considerato un dono del cielo, o meglio del mare, la grande distesa di acqua salata che dava a loro di che vivere e li deliziava con la sua selvaggia bellezza.

  Abitavano in una piccola, ma decorosa e piacevole, costruzione, bianca di calce e con il tetto a spiovente unico, la porta e le due finestre di un verde acceso che s’intonava con la vegetazione che la circondava. Una delle case che i carlofortini avevano costruito negli appezzamenti fuori dal paese e che si affacciava su una spiaggetta dove un pontile di legno faceva da attracco per la barca da pesca. Sul retro, un bel pezzo di terreno forniva alla famiglia i prodotti della terra: i coloni liguri avevano sempre dato una grande importanza al terreno per coltivare. In effetti, l’isola

di San Pietro poteva sembrare una riviera ligure in miniatura, con il paese sul mare, le colline alle spalle e terreni che erano stati suddivisi tra le varie famiglie.

  L’infanzia di Pietro era stata un continuo immergersi nella natura incontaminata di quel posto: a pesca con il padre, l’orto che la madre gli aveva insegnato a coltivare, le lunghe passeggiate in mezzo alla macchia mediterranea. Amava l’isola, gioiello verde incastonato nell’azzurro di un mare che poteva assumere tutti i colori della vita: purpureo all’alba; smeraldo nelle giornate di bonaccia; grigio, e spruzzato dalla bianca spuma delle onde, quando era in burrasca; oro puro al tramonto; nero e tenebroso nelle notti prive di luna.

  Ma quell’amore non gli bastava, una smania lo divorava dentro, la voglia di solcare il mare nella sua interezza, conoscere terre lontane, altra gente, altri popoli, altre culture, seguendo il destino scritto nel suo nome. Amava leggere di avventure e di antiche civiltà, era attratto da tutto quello che era diverso, insolito e misterioso. Quando ebbe compiuto sedici anni, si mise sulle spalle un sacco con pochi indumenti dentro e partì. A nulla valsero le lacrime della madre e i discorsi del padre: lui doveva andare verso il suo domani che non poteva essere lì. Così s’imbarcò come mozzo su una nave da carico che andava verso l’oceano Pacifico, quando era poco più di un bambino, ma già con una corporatura che metteva soggezione anche agli uomini fatti.

  Così crebbe, visse, conobbe il mondo e l’amore, lontano dalla sua isola. Ebbe tante donne Pietro, come ci s’immagina sia per ogni marinaio, donne di ogni etnia e colore, ma il suo unico grande amore fu una ragazza polinesiana il cui nome, Hani, significava “la ragazza che accudisce al sole”; e del sole aveva preso il calore e la bellezza, un corpo flessuoso che aveva un che di regale, un viso sempre illuminato dal sorriso, splendidi occhi neri come la notte con riflessi che sembravano stelle.

  Un grande amore consumato tra palmeti e in riva al mare, un grande amore che risvegliò la gelosia di un giovane del villaggio, una discussione tra due uomini innamorati della stessa donna che degenerò in rissa. Pietro era un gigante biondo, i lunghi capelli e la barba folta lo facevano sembrare una specie di guerriero nordico; anche l’altro non era da meno, ma il pugno che lo colse alla tempia fu fatale: cadde per non più rialzarsi.

   Venne riconosciuta la legittima difesa; i presenti testimoniarono che era stata la vittima a iniziare la lite e a colpire per prima, ma a Pietro non poteva bastare. Aveva ucciso un uomo, nulla poteva valere più della vita di una persona. Quell’amore sporcato dal sangue finì, e il rimorso per l’omicidio, seppur involontario, lo accompagnò per tutta la vita. Tonio fu tra quelli che testimoniarono a favore del carlofortino, era il nostromo della nave su cui entrambi erano imbarcati. Fu da subito amicizia, i due divennero inseparabili e finito quel viaggio, durante il quale il Tonio apprese della morte della moglie, tornarono entrambi a Pegli. Del resto “il figlio del mare”non aveva più altra famiglia se non quella di Tonio. Cosi come era accaduto a Tonio per la moglie, infatti, anche Pietro era stato colto dalla notizia della morte dei genitori mentre si trovava in terre lontane. La madre era deceduta da pochi giorni quando il marito l’aveva seguita: non aveva retto alla solitudine e al dolore per la scomparsa della donna tanto amata.

  . Tonio doveva rientrare per accudire i due figli, Nicola e Jolanda, rimasti soli, e anche Pietro, il marinaio, l’avventuriero, era stanco dei lunghi mesi di navigazione.

Entrambi avevano trovato nell’altro un punto fermo su cui fare affidamento. Pietro sarebbe diventato il marinaio della “Speranza” e al tempo stesso un membro della famiglia, in un certo senso era stato ancora una volta adottato.

***

   Pietro amava cucinare, Tonio e i ragazzi lo lasciavano fare volentieri. Preparava spesso una zuppa di pesce che ti riconciliava con la vita, -alla carlofortina- diceva lui: capponi e scorfani che venivano uniti a nozze con polpi o seppie, contornati da bocconi e arselle in un sugo in cui aglio, prezzemolo, pomodori e olive si armonizzavano con un accenno di peperoncino. Durante quei pranzi Pietro abbondava con il vino.

  Il vino scioglieva la lingua e lui raccontava. Seduti attorno al tavolo Tonio, Nicola e Jolanda restavano in silenzio ad ascoltare la storia di quell’amore finito male e di altre, belle o tristi che fossero. Solcando i mari aveva potuto conoscere di persona molte cose di cui aveva letto, e vivere avventure simili a quelle dei suoi eroi. Raccontava di uragani apocalittici, pirati e donne affascinanti ma pericolose, mille ostacoli che aveva affrontato con coraggio e sprezzo del pericolo. Dotato di una dialettica e una fantasia non comuni, coinvolgeva Tonio e i ragazzi nelle sue avventure; insieme a lui si ritrovavano a solcare quei mari, a combattere pirati e conoscere splendide ragazze dalla pelle color ebano.

 Era difficile capire dove finiva la realtà e iniziava la fantasia. Un giorno, per meglio detergersi il sudore, si era tolto il berretto di lana che aveva sempre in testa, estate e inverno, sotto l’acqua o sotto il sole più cocente. Solo allora Nicola e Jolanda poterono vedere la cicatrice, una sottile linea chiara che gli attraversava tutta la fronte.

  Pietro alzò gli occhi, verdi come l’acqua di quel mare che era stato tutta la sua vita, e incontrò il loro sguardo curioso.

-Pirati- disse quasi sussurrando -avevano abbordato la nave sulla quale ero imbarcato come mozzo, uno dei miei primi imbarchi, stavo lottando contro due di loro e un altro mi ha preso alle spalle. Una volta immobilizzato mi hanno colpito sulla fronte con il piatto di una lama.

  I due rimasero affascinati da quell’ennesimo racconto, Tonio dovette invece a stento trattenere il sorriso che stava affiorando sulle sue labbra; sapeva benissimo che quella cicatrice il suo amico se l’era procurata in ben altro modo: una notte in cui aveva alzato un po’ troppo il gomito era rientrato sulla sua barca da pesca per dormirci, ma si era dimenticato che il boccaporto che portava alla cuccetta era ben più basso di lui e vi aveva sbattuto contro la fronte, con l’impeto di chi non vedeva l’ora di potersi mettere in orizzontale.

   Pietro di solito concludeva i sui racconti con tanto di filosofia, forse ispirato dal buon vino.

-Un’isola- disse un giorno – Ogni uomo è un’isola, e la vita è il mare che circonda quell‘isola e la unisce alle altre. Tutti siamo soli ma allo stesso tempo collegati agli altri, parti e porti di un unico mare.

Dopo una lunga pausa riprese – Un’isola, ogni uomo dovrebbe avere un’isola cui tornare, un posto in cui sentirsi in pace con se stesso, dove riporre i suoi segreti e i suoi dolori, ricordare le gioie e dare un senso all’ultimo suo viaggio. Voglio tornare a San Pietro, sapete un tempo ha avuto altri nomi. Gli antichi l’hanno chiamata prima Enosim, poi i greci Hyeracon, e i romani Accipitrum Insula. Tutti nomi che significano: Isola degli sparvieri. Io li ho visti volare, alti sopra le scogliere a picco sul mare, maestosi e liberi. Liberi come ogni uomo dovrebbe essere.
CONTINUA…
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leggi i capitoli già pubblicati:
1.La promessa

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IL FOTORACCONTO

Un Carillon a Pegli

(foto di Enzo Dagnino)

Lungomare di Pegli lunedi 6 dicembre 2021

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