
Orizzonti letterari N°5
Spazi aperti alla poesia e alla narrativa
Orizzonti Letterari è una rubrica dedicata alla scoperta e all’esplorazione della narrativa e della poesia. Attraverso racconti e versi, offre, oltre agli autori di Polis SA MAgazine, anche ai lettori uno spazio aperto alla creatività e alla riflessione, dove le parole si intrecciano per evocare emozioni e ispirare nuove prospettive
In questo numero:
- POESIA: La vita – di Nioletta Lamberti
Camminare tutta una vita – di Danila Olivieri - NARRATIVA: La terra e il mare – di Antonello Rivano
- DALLA REDAZIONE: Modalità di partecipazione
Poesia
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve” Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) in Il postino
La vita
Ero seduta ai piedi dell’albero della vita,
a meditare,
a pensare,
la vita, un destino, un sogno!
Mi alzo,
cammino,
continuo a meditare…
la vita, un destino, un sogno?
Proseguo lungo il sentiero della mia nostalgica esistenza,
rifletto,
mi fermo,
mi siedo sul sasso della speranza…
la vita, un destino, un sogno.
Mi alzo,
proseguo nel cammino della vita,
incontro un lupo solitario e generoso,
continuo…
la vita, un destino, un sogno.
Mi appoggio all’albero della tristezza.
La vita, un destino, un sogno…
Muovo i miei passi verso il lago della gratitudine,
mi bagno nelle sue acque…
la vita, un destino, un sogno…
Supero il muro dell’indifferenza,
incamminandomi verso una vita di speranza.
La vita, un destino, un sogno!
Nicoletta Lamberti (16/10/1995©Tutti i diritti riservati)
Camminare tutta una vita
Camminare tutta una vita
nell’arco azzurro d’un mattino
che si stempera nelle sfumature
verdeoro delle foglie,
camminare la gioia
d’un’estate tardiva
che ti lascia guardare
la tua vita dentro e fuori e di lato,
camminarla lungo il fiume fanciullo
che scorre tenerezze sulle rive,
sentire alfine l’invito dal cielo
a confondersi nelle scie…
Danila Olivieri (Inedita-©Tutti i diritti riservati)
Narrativa
“Va’ là fuori, trova una storia che ami e poi raccontala” Ron Howard
La terra e il mare
Terra o mare? Essere nati su un’isola significa appartenere ad entrambi, essere entrambi. Eppure, tra me e il mare, c’è sempre stato un amore sofferto, conflittuale, che non riesco a spiegare del tutto. Ho provato a solcarlo, a navigarlo, su navi e barche da pesca, convinto che prima o poi avrei trovato il modo di stabilire con lui un equilibrio. Eppure, ogni volta che mi avventuravo in quelle acque, sentivo che qualcosa non andava. Era come se il mare non volesse che mi allontanassi dall’isola, neppure per un istante. Un’attrazione, forse, ma anche una forza invisibile che mi respingeva, mi faceva sentire piccolo e fragile, in balia di un mondo che non riuscivo a comprendere completamente. Il mare, con la sua vastità, con la sua indifferenza, sembrava avvertirmi che non dovevo essere troppo lontano da casa, che l’isola era il mio posto, che qualsiasi viaggio oltre le sue acque era destinato a essere una sfida dolorosa, senza ritorno. E così, alla fine, ho capito che non mi rimaneva che parlarci, al mare. Ma solo con le sue onde, che sono come voci silenziose, sfuggenti, che si infrangono sulla battigia e scompaiono subito, senza lasciare traccia. Ogni onda, come un segreto, un pensiero che sfuma nell’immensità dell’orizzonte.
Con la terra, invece, è tutto diverso. La terra non mi fa mai stare male, non mi fa paura. La terra è lì, salda, concreta, e parlo con lei ogni giorno. O meglio, parlo con le sue piante, con gli alberi che crescono e si piegano al ritmo delle stagioni. Ne ho uno, che è più di un amico, un albero di fichi che mi accompagna da sempre. È un vecchio compagno, un saggio che ha visto passare intere generazioni. Più di cent’anni di vita, un guardiano silenzioso che mi ha sempre fatto sentire a casa. Da bambino ci giocavo sotto la sua ombra, gli raccontavo i miei segreti, e ogni anno, puntualmente, mi donava i suoi frutti, dolci e generosi. Le sue radici affondano nella terra, in quella terra che conosco bene. Con le piante è tutto più semplice. Sono meno loquaci delle onde del mare, ma più sagge, più stabili. Non cambiano mai, non sono mai inafferrabili. Le piante hanno qualcosa di più profondo, di più silenzioso, ma anche di più affidabile. Non ti lasciano mai davvero, ti accompagnano per tutta la vita, crescono insieme a te, diventano parte di te. La terra l’ho lavorata sin da piccolo, anche solo per imitare mio padre, che passava le giornate nei campi. L’ho vista, la fatica. L’ho sentita sulla pelle, quella fatica che si fa con le mani. A volte, da grande, mi ci sono spezzato la schiena, piegato sotto il peso delle cose che la terra mi chiedeva. So cosa significa lavorare, sudare, ma anche perdere tutto con una grandinata che distrugge i frutti di un anno intero. Conosco il valore del sudore, quello dei calli sulle mani. Anche se non è stato poi il mio mestiere, quei ricordi di fatica sono rimasti con me. Ora, molte di quelle cose sono solo ricordi, ricordi belli che mi tengono compagnia nelle lunghe serate d’inverno, quando il freddo ti costringe a restare vicino al fuoco e a pensare a ciò che è stato.
Le mani che guardo ora, mentre scrivo queste parole, sono diverse. Più morbide, più eleganti, più adatte alla vita moderna che ormai è la mia, anche se sono più vecchie. Hanno conosciuto tanto, queste mani. Hanno lavorato nei campi e nei libri, hanno sfogliato pagine di storia e di poesia, si sono giunte in preghiera, hanno dato carezze, hanno stretto mani di amici, senza mai fare del male a nessuno. Le mie mani sono grandi, e talvolta pesanti, ma sono sempre state leggere come piume verso gli altri. Quando ti prendi cura degli altri, quando li abbracci, quando li accudisci, le mani diventano strumenti di gentilezza, di amore. Le mani… le mani dovrebbero guardarci, quelle mani, quando compiamo l’ultimo viaggio. Dovrebbero scrutare ciò che abbiamo fatto nella vita, per capire chi siamo stati davvero, oltre le parole e le apparenze.
E così, la terra e il mare, dicevo. Quando finisce uno e inizia l’altro? La terra, lo sai, lo vedi. Specie su un’isola, la terra è visibile, è tangibile. La vedi dove inizia, dove finisce, e anche se ci sono luoghi dove la terra sembra fondersi con l’acqua, dove le rive si bagnano e la sabbia diventa bagnata di mare, la terra resta salda, lì, ferma. Ma il mare… il mare è un’altra cosa. Dove inizia il mare? E dove finisce il mare? Hanno cercato di dividerlo, gli uomini, di darne un nome a ogni sua parte, ma ogni frammento, ogni angolo del mare, contiene anche l’acqua che proviene dalle altre parti. Dove si toccano le acque, le acque si fondono, e non sai più quale sia l’una, quale l’altra. Il mare si rifiuta di avere confini. Anche sulla spiaggia, quando pensi che il mare finisca su quella linea, subito dopo la risacca, l’acqua lo supera, lo inva, oppure finisce prima, come se volesse sfidare la tua percezione. Del mare non ti puoi fidare, non ti devi fidare mai. È un’entità che non ama le definizioni, non accetta le etichette. Il mare ti inganna, ti conquista, ti fa sentire parte di un tutto, ma poi, senza preavviso, ti rimanda indietro, come se non ti avesse mai voluto. Ma non importa. Forse è proprio questo che mi lega a lui.
Antonello Rivano (©Tutti i diritti riservati)
Tutti i numeri già pubblicati di Orizzonti letterari [CLICCA QUÌ]