Gio. Ott 23rd, 2025

OL-Orizzonti Letterari N°9

Rubrica di narrativa e poesia

In questo numero:


Poesia

“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve” Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) in Il postino

SIAMO DIVENTATI GRANDI

Niente sembrava impossibile
Tutto si poteva inventare
Sorridevamo senza un motivo
Non contemplavamo l’ipotesi della resa
Poi siamo diventati grandi
Abbiamo dovuto imparare a camminare
A restare in piedi nel buio
A scaricare la colpa sulle illusioni
A tenere tra le mani le parole intraducibili
Di un destino assurdo
Siamo diventati grandi senza chiudere gli occhi
Ci siamo messi in fila con le nostre ombre
E non ci siamo fatti ingannare
Da chi diceva che è tutto un gioco
Ma qualcuno ha catturato gli attimi
In cui niente sembrava impossibile?
Qualcuno ci ricorderà di quando
Avevamo ancora il gusto di sbagliare?

Sara Piccardo – Inedita ©Tutti i diritti riservati

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Poesia in dialetto

Scrivere in dialetto è dare voce al silenzio delle radici.” Anonimo

MAISTROLE 

Pò ch’u me porle u mò àua,
intantu ch’ u franze in scî scöggi.

U me dixe de ‘mpràize pasè,
d’ antighe gente, de novi perse.

A munte putente a só vuxe,
à cuntome de ómmi, de vitte pigè.

U me travólge u só racuntu,
cumme in’ unda ch’ a nu cunusce ostàculi.

U me porle de preghée, de brasse,
de muen, îsè versu u sé.

De speranze infrante, de dónne, mamme e
figgi lascè.

Pò ch’ u rugisce, cun raggia,
imputente, cuntra u só destin.

U l’è stancu àua, u l’acarésse u scöggiu
pe cunsulòiau, chiede perdun.

U maistrole, u ventu, u l’acögge
piciñe stizze de mò, e ue
lasce cazze, cumme lògrime sè.

MAESTRALE

Sembra parlarmi il mare ora, intanto che frange sugli scogli./Mi dice di imprese passate, di antiche gente e navi perse./Sale potente la sua voce, a narrarmi di uomini, di vite prese./Mi travolge il suo racconto, come un’ onda che non conosce ostacoli./Mi parla di preghiere, di braccia, di mani, alzate verso il cielo./Di speranze infrante, di donne, mamme e figli lasciati./ Sembra che ruggisca, con rabbia, impotente, contro  il suo destino./È stanco ora, accarezza lo scoglio, per consolarlo, chiedere perdono./Il Maestrale, il vento, raccoglie piccole gocce di mare, e le lascia cadere, come lacrime salate.

Antonello Rivano – @Tutti i diritti riservati
Opera terza classificata nella sezione Poesia nella parlate liguri al Premio letterario internazionale “Carlo Bo – Giovanni Descalzo” 2025 di Sestri Levante – Premiazione 18/10/2025

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Narrativa

Va’ là fuori, trova una storia che ami e poi raccontala” Ron Howard

L’ODORE DEL GESSO

Ogni scuola ha un suono e un odore che non si dimenticano.
Quella di via Manzoni sapeva di gesso, di legno vecchio e merenda al cioccolato. Era una piccola scuola di quartiere, con le finestre che si affacciavano su un cortile dove l’erba cresceva solo a chiazze e il cancello cigolava ogni volta che qualcuno lo spingeva con troppa forza.

Marta ci entrava ogni mattina con lo zaino più grande di lei e una timidezza che si notava anche da lontano. La mamma la salutava dal portone, poi correva al lavoro; lei restava a guardarla per un secondo, finché la figura spariva dietro l’angolo. Allora si voltava e respirava piano: l’odore del gesso la accoglieva, come se le dicesse che lì dentro, per qualche ora, tutto sarebbe andato bene.

In classe c’era sempre un brusio costante: sedie che strisciavano, quaderni che si aprivano, voci che si accavallavano. E poi la maestra Clara — capelli raccolti, sguardo severo e buono insieme — che entrava puntuale come un orologio.
«Buongiorno, bambini!»
«Buoongiorno, maestra!» rispondevano in coro, qualcuno più convinto, qualcuno con ancora il sonno negli occhi.

Marta amava il momento in cui la maestra scriveva alla lavagna. Le lettere si formavano lente, precise, e la polvere bianca scendeva come una piccola neve. In quelle righe dritte e sicure lei vedeva qualcosa di bello, di definitivo.
A casa, quando provava a imitarle, le venivano storte. Ma la maestra diceva che ogni mano ha la sua calligrafia, come ogni voce il suo timbro. E a Marta quella frase restò dentro, anche quando la scuola finì e cominciarono gli anni più difficili — quelli in cui capire chi si è diventa più importante del capire cosa si sa.

La quinta arrivò troppo in fretta.
L’ultimo giorno, la maestra li fece uscire uno per volta, stringendo la mano a ciascuno.
«Ricordati di essere curiosa», disse a Marta. «La curiosità è il modo migliore per restare vivi.»
Marta annuì, stringendo forte quel consiglio come un biglietto da tenere in tasca.

Anni dopo, tornando nel quartiere, si fermò davanti al portone chiuso della vecchia scuola. Le finestre erano state ridipinte, il cancello cambiato. Eppure, nell’aria, le parve di sentire di nuovo quell’odore di gesso, sottile e persistente come un ricordo che non vuole svanire.

Non sapeva spiegare perché, ma provò un senso di gratitudine improvvisa.
Per le mattine fredde, per le mani impolverate, per le lavagne cancellate e riscritte mille volte.
Per tutto ciò che, senza saperlo, l’aveva insegnata a guardare il mondo con occhi attenti — e a non smettere mai di cercare risposte.

Lia Contini

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