Sab. Apr 27th, 2024

Crisi Russia – Ucraina: intervista a Orazio Gnerre

Prima di iniziare a parlare della crisi russo-ucraina, parlerei dell’implosione dell’Urss. La stampa occidentale presentò il crollo del muro di Berlino come l’inizio di una nuova epoca di pace e benessere. Invece non è stato così. Come mai secondo te, l’Urss implose così velocemente e come mai siamo “arrivati al punto di rimpiangerla”, di rimpiangere la stabilità politica e la pace che i due blocchi contrapposti avevano garantito almeno all’Europa.

«La menzogna che ci è stata propinata dopo la fine della contrapposizione bipolare è stata quella della “fine della storia” (the End of History, secondo Francis Fukuyama), come la fine di ogni conflittualità a livello internazionale e il cedimento di ogni elemento di sovranità detenuto da Stati, Nazioni e Popoli verso l’Occidente, inteso ambivalentemente sia come forza geopolitica egemone che come assoluta autorità morale. Questa è indiscutibilmente la farsa che abbiamo visto crollare con l’apertura di uno scenario ben più tetro di quello della Guerra Fredda, con annesso pericolo di devastazione mondiale e con uno stillicidio di vittime che si perpetua di giorno in giorno senza soluzione di continuità, e che ci induce a pensare che oggi è in atto una guerra ben peggiore. Questa guerra è totale nei suoi mezzi e ideologica nei suoi fini, quindi si tratta di un’ennesima guerra mondiale, come lo fu anche a nostro avviso la stessa Guerra Fredda. Se l’Unione Sovietica è implosa questo è avvenuto a causa di due problemi sostanziali, di cui uno di natura esogena e uno di natura endogena. Il primo è da ravvisare negli elementi revisionisti che hanno assunto il potere con Gorbaciov. Sebbene l’opera di revisione dell’edificazione della statalità sovietica fosse già stata intrapresa da Krusciov, l’azione di Gorbaciov è stata effettivamente determinante nello smantellamento di un sistema decennale, e questa è avvenuta a causa della palese influenza che determinati ambienti e idee extra-nazionali esercitarono su di lui. La seconda causa invece è da attribuirsi all’orientamento internazionale dell’Unione Sovietica che, per affermare una sua supremazia nel campo anti-capitalista, si è vista scivolar via e sottrarre fondamentali alleanze, come quella della Jugoslavia, della Cina, dell’Albania e dei nazional-comunismi comunque interni al Patto di Varsavia. È in questo senso che, pur potendo rimpiangere (o meno) il crollo dell’Unione Sovietica, questo ha dato la possibilità ai Paesi del Secondo Mondo usciti parzialmente sconfitti dalla Guerra Fredda di evolvere una concezione dei rapporti internazionali verso una prospettiva multipolare, fondata cioè sul presupposto dell’incommensurabilità delle civiltà e sulla necessità di stabilire un equilibrio tra di esse di natura geopolitica che permetta la resistenza delle differenze contro un unico nemico mondiale, che è l’Occidentalismo armato della forza delle armi e del capitalismo finanziario. In questo senso, come dicevamo, la guerra oggi è autenticamente ideologica».

Quali differenze etniche, culturali, linguistiche, religiose ci sono tra un russo e un ucraino?

«Bisogna partire dal presupposto che l’ucraino rappresenta una difficile opera di costruzione storica, edificata su una complessa sovrapposizione di diverse etnie e culture, e questo perché l’Ucraina stessa rimane un Paese costruito artificialmente, che cerca oggi di creare una propria identità nazionale. Quando parliamo di ucraini, parliamo contemporaneamente di russi e polacchi, o entrambe le cose insieme, senza dimenticare le minoranze etniche che hanno caratterizzato la storia della regione come, a esempio, quella ebraica».

Periodicamente in Ucraina ci sono delle “rivoluzioni colorate”, tutte puntualmente fallite fino all’ultima, chi finanzia queste “rivoluzioni” e per quali scopi?

«Quella della rivoluzione colorata è una meccanica collaudata, e più volte adoperata non solo nel settore post-sovietico. Pensiamo a esempio ai casi di quella che nessuno più oggi si sogna di chiamare “Primavera Araba”. La strategia è semplice, e funziona sempre grossomodo alla stessa maniera: ingenti finanziamenti e direttive chiare per la formazione di gruppi di dissenso (che, a qualsiasi latitudine del globo, parlano sempre la stessa “lingua”), organizzazione di manifestazioni di piazza gonfiate ad arte dai media occidentali, e successivo passaggio alla fase “calda”, con la provocazione delle forze di polizia e del governo, la creazione di martiri, addirittura l’uso di tecniche criminali come l’infiltrazione di mercenari esterni e l’utilizzo di cecchini per sparare sulla folla e alzare il livello dello scontro (a Maidan c’erano entrambe le cose). Se la “rivoluzione” serve solo a far tornare un governo entro certi limiti, solitamente non si procede alla fase calda. Ma se l’intento programmatico è quello della creazione del caos, si verificano casi come quello ucraino. O come quelli venezuelano e cinese, sedati prontamente dalle forze armate».

Credi che se Viktor Janukovyc fosse rimasto al suo posto, oggi sarebbe tutto diverso in Ucraina?

«Certamente il Partito delle Regioni e il suo rappresentante erano anelli deboli di quello che si sta affermando come il sistema regionale eurasiatico (Comunità Economica Eurasiatica). Essi rappresentavano per certi versi gli interessi russi sull’Ucraina, ma per altri unicamente loro stessi e una classe di oligarchi. Non è assolutamente nostra intenzione difenderli. Ma la strada intrapresa dall’ultranazionalismo ucraino (perché la “rivoluzione” del Maidan è stata praticamente fatta dai settori radicali, e non dalle elites liberali) è quella della svendita dell’interesse nazionale all’Occidente. In questo senso il Maidan non è stata una rivolta contro la corruzione, ma un vero e proprio atto di guerra intenzionale nei confronti della Russia. Non possiamo prevedere esattamente cosa sarebbe successo oggi se il vecchio Governo fosse rimasto in piedi. Probabilmente sarebbe stato sostituito attraverso libere elezioni, e non da una giunta non legittimata al soldo degli Stati Uniti. A ogni modo, in quel caso, l’Ucraina avrebbe continuato il suo processo di avvicinamento all’Unione Eurasiatica. Un concreto passo avanti verso il mondo multipolare».

La Russia ha annesso la Crimea, in che modo tale mossa è collegata con la crisi in Siria?

«Come abbiamo già detto, sono tutti scenari di un unico conflitto mondiale. Comunque, gli interessi diretti che la Federazione Russa ha sulla Crimea, come sulla Siria, sono di natura geostrategica. Questo non vuol dire che non siano frutto innanzitutto della solidarietà multipolare con il popolo siriano e il suo presidente o del sentimento nazionale di Putin e della ricerca dell’unità panrussa. Chiaramente, però, l’intento strategico è quello di preservare un porto militare nel mondiale. Comunque gli interessi diretti che la Federazione Russa ha sulla Crimea, come sulla Siria, sono di natura geostrategica. Questo non vuol dire che non siano frutto innanzitutto della solidarietà multipolare con il Popolo siriano e il suo Presidente o del sentimento nazionale di Putin e della ricerca dell’unità panrussa. Chiaramente, però, l’intento strategico è quello di preservare un porto militare. La percezione che i Russi hanno del continuo avanza- mento della Nato verso il cuore dell’Eurasia a nostro avviso coincide con il motivo per la quale questa non è stata sciolta con la fine della contrapposizione bipolare. L’intento degli Stati Uniti sul nostro continente può essere compreso solo alla luce del problema geopolitico, e i Russi hanno una visione chiara della questione. Halford Mackinder nel XIX secolo affermava che chi avesse detenuto il potere sull’Heartland, pressappoco lo spazio geografico che coincide con l’area di integrazione regionale russa-eurasiatica, avrebbe vinto la sfida geopolitica, detenendo il potere mondiale. Ora, sebbene sia chiaro che la Federazione Russa, proponendo insieme alla Cina e al Brasile (per esempio) un ordine multipolare e decentrato, non abbia velleità di conquista globale, l’appropriazione dell’Heartland rimane per gli Stati Uniti, eredi dell’imperialismo anglosassone, l’obiettivo finale di questa partita giocata sulla scacchiera dell’orbe terrestre. La Nato è quindi lo strumento di penetrazione continentale stanziato sulla testa di ponte europea per l’accerchiamento e lo stritolamento della Federazione Russa e del suo progetto di integrazione regionale».

Tornando all’Ucraina, le regioni orientali, si sono opposte al colpo di stato di Kiev e non intendono rinunciare alla lingua russa, Putin ufficialmente è fuori da questo conflitto, ma la stampa occidentale, scrive tutt’altro.

«Ci sono due modi di considerare la questione. Putin è fuori dal conflitto nel senso stretto del termine. Egli non interviene direttamente per salvare la pace internazionale. Un intervento diretto della Russia scatenerebbe con ogni probabilità una risposta immediata dell’Europa e della Nato. Da questo punto di vista Putin procede con una strategia di grande equilibrio. Dall’altro lato, negare che Putin non si stia adoperando in ogni modo per la regione del Donbass e la sua popolazione, per le Repubbliche Popolari e la loro autonomia, sarebbe un’immensa menzogna. Chiedete agli abitanti del Donbass cosa pensano di Putin, e sentirete le parole di maggiore gratitudine che un cittadino possa pronunciare nei confronti dei suoi leader politici».

Sei stato uno dei primi italiani ad andare a Doneck nella cosiddetta Repubblica Popolare di Doneck, cosa ti ha colpito maggiormente di questa tua esperienza?

«Come ripeto da giugno a questa parte, quello che abbiamo avuto modo di constatare con maggiore stupore nel Donbass è questo sentimento di unità popolare che si è trasformato subito in una vera rivoluzione. Non una rivolta da teppisti per come il Maidan è stato, ma una sollevazione popolare a difesa della propria storia, della propria cultura e, non ultimo, della propria esistenza come popolo. Il popolo della “Nuova Russia” è un popolo degno di essere chiamato tale. Quando un popolo sparisce nell’apatia generale, molto probabilmente anche gli spiriti dei suoi antenati non avrebbero più preso le sue difese. Ma quando insorge in nome di una storia secolare e con tale veemenza, non ci sarà macchinazione internazionale capace di spazzarlo via dalle pagine della storia».

Quanto la Repubblica è autonoma e quanto è influenzata dalla Russia?

«Quello che la Nuova Russia vuole è solo l’indipendenza. Se possibile, anche l’unità con la Madrepatria, ma l’obiettivo primario rimane l’indipendenza. La Nuova Russia è nell’interesse dei Novorussi, prima ancora che della Russia o di Putin. Per questo è la volontà popolare dei suoi rappresentanti più eroici a tracciare il solco della rivoluzione».

Secondo te, come si esce da questa crisi?

«Volendo immaginare una soluzione ideale, la strada corretta da seguire a nostro avviso sarebbe procedere all’edificazione della nuova Ucraina su basi di decentramento politico e massima autonomia territoriale. L’Ucraina avrebbe la possibilità, nell’epoca della dimostrazione comprovata dell’esaurimento storico della forma politica dello Stato nazionale, di diventare un modello di differente costruzione statuale. In tal modo, essa diverrebbe di nuovo ciò che una frontiera dovrebbe essere. Non un luogo ove innalzare muri, ma dove permettere l’incontro tra i Popoli. La natura dell’Ucraina (il cui nome significa letteralmente “sul confine”) è esattamente questa. Noi tutti teniamo davvero all’esistenza di una specificità ucraina, e riteniamo che questa possa essere garantita solo perseguendo la sua natura autentica, il suo dasein. Il futuro dell’Ucraina ora è nelle mani di un’élite senza scrupoli, né verso l’umanità né tantomeno verso il proprio Popolo. Il primo passo da fare sarebbe sicuramente la cacciata di questi criminali dai luoghi del potere dove sono stati insediati da quella subdola forza, che è l’imperialismo occidentale, che ora punta la sua lama al cuore della Russia».

Vincenzo D’Amico

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