Gio. Apr 25th, 2024

Pensieri Contemporanei: intervista a Erri De Luca

Nella mia percezione Erri De Luca è molto più di uno scrittore, poeta e sceneggiatore teatrale. Certamente autore immaginifico, scorza dura e sentire da visionario. Un napoletano con un nome americano forse storpiato nei registri di stato civile da Harry a Erri. Così si pronuncia, così si scrive.

Paradossalmente rappresenta un unicum anche nel percorso di vita. La militanza attiva in una sinistra definita un tempo extraparlamentare, poi uno scomodo ma intenso percorso di formazione che lo ha visto impegnato prima come operaio e muratore e, negli anni ’90, come volontario umanitario nel sanguinoso conflitto jugoslavo e in Africa. Inusuali gli studi da autodidatta di greco antico e yiddish, tanto proficui da togliersi lo sfizio di tradurre passi dall’antico testamento. Oggi è commentatore e documentarista sottile.

Quando gli ho proposto l’intervista ha immediatamente accettato, senza ma o se. È per questo motivo che lo ringrazio.

Partendo dai dati sull’astensionismo elettorale, e in particolare sul crollo diffuso del numero dei votanti tra 1° e 2° turno delle ultime consultazioni, si può affermare che la partecipazione politica “affascina” sempre meno?

«La partecipazione politica dal basso non manca quando si presenta una buona causa all’ordine del giorno. La risposta dei cittadini di Roma, Milano, Ventimiglia, che si sono prodigati con aiuti ai profughi accampati in stazione è risposta politica. Mentre la richiesta di consenso elettorale da parte di un personale imposto dall’alto e intercambiabile, lascia indifferenti».

Nell’immaginario collettivo si consolida la convinzione che i partiti siano concretamente in mano a grandi elettori. Secondo lei è vero? Perché e chi sono?

«I partiti scelgono i candidati da presentare e i cittadini si ritrovano davanti a liste di modesti funzionari, anche sfacciatamente corrotti in molti casi. Il Movimento 5 stelle tenta una pratica diversa e già solo questa basta a fargli guadagnare un solido consenso».

A suo giudizio, cos’è e quanto conta la credibilità in politica?

«Se intesa come onestà e rispetto delle regole, conta più della linea politica e delle bandiere».

La politica di governo sembra annaspare nel tentativo di dare risposte concrete ai bisogni reali dei cittadini. I numeri disegnano un paese frammentato e al collasso. Qual è il senso di “partito liquido” lanciato da Renzi in una fase in cui l’offerta politica non riesce a incontrare la domanda?

«Renzi gode di una maggioranza liquida, cioè sostenuta anche da opposizioni come Forza Italia. Questo partito sa di essere condannato a sparire alla prossima tornata elettorale e dunque cerca di far durare la legislatura più che può, favorendo il governo. Non condivido il giudizio di un paese al collasso. Non lo è neanche la Grecia che si trova in condizioni peggiori».

Se è vero che la fiducia nelle istituzioni abbia toccato il fondo a quali rischi si espone il paese?

«Le istituzioni da noi non hanno mai goduto di sincero rispetto. Mi preoccuperebbe di più il discredito della cellula famiglia, che invece tiene ancora bene e offre resistenza alle crisi».

Gli sbarramenti elettorali privano la rappresentanza parlamentare a molti milioni di votanti. Come si coniuga questo diritto negato con la necessita di governare? E, secondo lei, esiste una modalità alternativa?

«Credo che una soglia di sbarramento sia utile per non dover dipendere da maggioranze decise da chi prende un due percento».

Sostanziali e rapide trasformazioni culturali e tecnologiche farebbero pensare che in fondo non si stia peggio rispetto al secolo scorso. Eppure, tra la gente si coglie una diffusa sfiducia nel futuro. Come si spiega questa che sembra essere un’apparente contraddizione?

«L’Italia è un paese di anziani, dove la gioventù si trova in minoranza e subordinata a ritmi di ricambio ritardati. Questo dato di fatto, il deficit di nascite, rende il futuro un problema anziché un traguardo».

Nel quadro istituzionale attuale sembra difficile definire quanto il Sud conti nelle priorità dell’agenda politica di governo. Quali sono, secondo lei, i motivi e cosa si può fare per riportare la questione meridionale al centro della partita?

«Il Sud è maggioranza del mondo, abbraccia anche buona parte dell’emisfero nord, Italia, Spagna, Grecia incluse. Gli USA, oggi, sono a maggioranza ispanica. Il Sud è il presente e il futuro del pianeta».

Qual è il peso specifico delle attività politiche locali e in che modo possono influire sulle dinamiche delle strategie centrali?

«Bisogna scegliere cosa sia strategico. Per l’Italia non è certo strategico un altro tunnel Torino-Lione, che risparmierebbe meno di un’ora e con la linea esistente che viaggia vuota. Strategico È il nostro patrimonio culturale che è maggioranza di tutto quello detenuto al mondo. Strategico è il suolo e le sue risorse agricole: il nostro prodotto di maggiore esportazione è il vino. È strategico il paesaggio con le sue attrazioni turistiche. Stabilito che il ministero più dotato debba essere quello dell’agricoltura, della cultura, del turismo e non quello della difesa, il resto verrebbe da sé».

La felicità laica è un argomento politico? E perché?

«La felicità non si abbina a aggettivi, esiste o manca, laica o confessionale, monarchica o repubblicana. Nella Costituzione Americana la felicità è un diritto. Credo di più a un poeta che ha scritto “La felicità è un dovere”».

Francesco Paciello

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