Ven. Apr 19th, 2024

Luciano Tortorelli: la musica colta tra talento, tecnica e ricerca

Schivo, riservato e poco appariscente, Luciano Tortorelli ha un rapporto con la musica intimo e divulgativo. Tiene regolarmente concerti e masterclass, collaborando con personalità del panorama chitarristico internazionale. Si esibisce per i più importanti festival chitarristici senza mai negare il sostegno a prestigiosi enti musicali europei. Il suo percorso artistico, dopo il conservatorio, si è perfezionato presso l’Accademia Musicale Pescarese e l’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Ha studiato composizione a Roma con il maestro argentino Eduardo Ogando e continuato a perfezionarsi a Firenze con il chitarrista-compositore Alvaro Company che ne ha modellato il gusto e indirizzato le scelte tanto da trasferirgli significativamente la passione per la ricerca tecnico-espressiva. Gli studi universitari umanistici hanno contribuito a stimolare un’attività di ricerca didattica e musicologica che lo ha portato a collaborare con le più importanti riviste musicali di rilievo internazionale come “Revista Musical Catalana” (Spagna), Soundboard (USA), “Guitart”, “Guitart International”, “DotGuitar” (Italia), fino a curare la prima edizione moderna delle “Sonate op. 2” di Francesco Molino per la casa editrice tedesca Allegro-Zimmermann (Chanterelle-Verlag). La sua ultima pubblicazione discografica è un nuovo cd con un repertorio per chitarra sola che comprende sue elaborazioni da musiche di Astor Piazzola. È invece in preparazione una raccolta integrale delle sonate di Francesco Molino per chitarra sola con accompagnamento di violino prodotto per la Tactus Records. Suona una chitarra donatagli dal liutaio Jan Schneider e una “Elite” di Josè Ramirez III.

Maestro, qual è il percorso che secondo lei consente di ottenere oggi una seria formazione musicale?

«Per una seria formazione musicale il ruolo tradizionale del maestro è determinante. Modello di riferimento, guida per la tecnica, per la conoscenza della musica e dell’interpretazione, il maestro con alle spalle un’adeguata esperienza professionale è sempre una figura insostituibile che costruisce un percorso personalizzato per l’allievo seguendolo passo dopo passo nello sviluppo della sua personalità artistica. Un paese delle eccellenze come l’Italia non è di certo privo di grandi maestri. Abbiamo ancora scuole concertistiche di alto valore nonostante un’organizzazione statale farraginosa che fatica a valorizzarle. Il confronto con gli altri sistemi didattici del mondo è alquanto imbarazzante per il nostro paese. Ho tenuto diversi seminari e masterclass in Polonia, Finlandia, Russia, Repubblica Ceca. Le scuole statali di musica sono diffuse ovunque, anche in piccole cittadine. I corsi sono pomeridiani e vi si iscrivono allievi dai 5 ai 18 anni che frequentano al mattino gli studi ordinari presso i relativi istituti; ogni scuola gode di edificio autonomo e di dirigente, che spesso è un direttore d’orchestra o un compositore. Una realtà artistica statale che preserva la propria identità e la propria autonomia, promuovendo orchestre giovanili di prestigio e tutelando gli artisti del futuro».

Un pensiero alla didattica, quali sono i vantaggi e gli svantaggi del nuovo ordinamento scolastico musicale, licei e conservatori.

«Ho sempre sperato, sin dall’apertura delle scuole medie a indirizzo musicale, che un successivo accordo tra i vari ministeri dell’istruzione europei ci conducesse verso un adeguamento del nostro sistema didattico-musicale. La mera soluzione, alquanto economica, di istituire corsi di strumento musicale nelle scuole medie, ha portato senza dubbio dei vantaggi, se rapportati al nulla preesistente, ma al prezzo di un “ibridismo” che di certo non fa bene alla musica. Tutto ciò a causa di un’atavica noncuranza verso i delicati problemi dell’istruzione artistica nel nostro paese. Mentre la Polonia poteva vantarsi di un primo ministro come il pianista compositore Paderewski, così come la Repubblica Ceca e la Germania hanno costantemente beneficiato della presenza politica di artisti di chiara fama, in Italia alcuni anni dopo dovevamo accontentarci degli “elementi di musica e canto corale” introdotti nel magistrale con la riforma Gentile. A oggi, con il nuovo ordinamento scolastico italiano, che dovrebbe favorire un percorso unitario tra licei musicali e conservatori, ci ritroviamo ancora tra diverse contraddizioni. I Conservatori vedono con scetticismo l’istituzione dei Licei Musicali proponendo corsi pre-accademici, mentre sussiste una totale assenza di formazione musicale nella fascia d’età più determinante. Non vi sono in Italia corsi di strumento musicale nelle scuole elementari! Se a ciò si aggiunge che le ore dedicate allo strumento musicale in Conservatorio sono limitate, che i maestri, nonostante siano ottimi professionisti, faticano non poco per risolvere problemi posturali e preparazioni pregresse inadeguate, che migliaia sono i musicisti laureati e disoccupati, ci rendiamo conto che il sistema didattico-musicale in Italia è come una piramide capovolta con il vertice rivolto verso il basso. In tutti gli altri paesi d’Europa abbiamo una grande diffusione di scuole di musica, un bacino d’utenza enorme che man mano con le dovute selezioni va a snellirsi verso i Conservatori e infine verso le Accademie, come una piramide che poggia sulla base. In cima soltanto pochi talenti dediti al concertismo, nel mezzo i bravi docenti e alla base il pubblico preparato ai concerti. Meno laureati disoccupati, più diffusione della musica colta, più selezione e più qualità. In ogni caso l’Italia è pur sempre il paese delle eccellenze e direi anche delle eccezioni per cui in alcuni casi isolati, faccio l’esempio del Liceo Musicale di Salerno, si sono create delle realtà molto positive e promettenti. Permane tuttavia il rischio e il disagio di innestare in un normale ambito scolastico liceale un percorso di studi dagli equilibri molto delicati come quello musicale».

Ci sono risorse alternative all’istruzione pubblica?

«In Italia le lauree accademiche di primo e secondo livello sono rilasciate esclusivamente da istituzioni pubbliche (AFAM) e soltanto la laurea accademica di primo livello è riconosciuta come equipollente alla laurea universitaria di primo livello. Negli USA, in Gran Bretagna, in Francia, etc., esistono molte realtà private di grande prestigio che offrono titoli riconosciuti nel resto del mondo. Ciò non sussiste nel nostro Paese, dove abbiamo innumerevoli accademie musicali private di alta formazione musicale che non possono rilasciare titoli di studio con valore legale. Ne consegue che tali istituzioni vengono frequentate sempre dopo o parallelamente agli studi statali. In ogni caso l’unica alternativa valida all’istruzione pubblica per uno studente italiano consiste nella fuga verso conservatori o accademie all’estero. Considerato l’alto tasso di disoccupazione e un contesto culturale che nel nostro paese umilia di anno in anno la professione del musicista, risulta comprensibile quanto sia utile per un giovane talento conseguire un titolo oltre frontiera che consenta opportunità lavorative nel resto del mondo».

Cosa si può fare concretamente per avvicinare il pubblico ai concerti di chitarra classica?

«Ricordo l’entusiasmo di un mio allievo che ritornava da una festa tra amici. Nel bel mezzo della confusione gli chiesero di suonare qualcosa con la sua chitarra. Aveva il timore di proporre Tarrega, Barrios, Brouwer, eppure quando iniziò a suonare la festa si trasformò in un vero e proprio concerto. Mi disse meravigliato: “Maestro, i miei amici non avevano mai ascoltato la chitarra classica e non credevano fosse così bella”. Ecco, la soluzione è la semplice diffusione. Da bambino vedevo documentari sulla chitarra o su Segovia prodotti dalla Rai che restituivano il giusto valore al nostro strumento. Oggi i media italiani ignorano del tutto la chitarra classica mentre in Germania o in Polonia i canali nazionali trasmettono ancora concerti o documentari dedicati alle sei corde. Dalle nostre parti si cerca affannosamente di proporre concerti con un repertorio che avvicini il pubblico, ma non credo assolutamente in questo genere di iniziative che spesso scadono nel ridicolo. Sarebbe come tentare di ridipingere un muro infetto da muffa. Molto meglio educare il pubblico e cercare di avvicinarlo alla chitarra classica proponendo soprattutto grandi musicisti, capaci di coinvolgere appassionati, professionisti e semplici ascoltatori».

Ci esprime un pensiero personale sull’interpretazione e l’esecuzione?

«La domanda pone in essere una distinzione tra interpretazione ed “esecuzione”, termine che non ho mai amato per vari motivi, ma soprattutto perché mi ricorda un plotone schierato per una pena capitale. In effetti l’interpretazione richiede per sua natura un artista in grado di mediare il messaggio espresso dall’autore al punto da immedesimarsi empaticamente nell’opera stessa. Raramente l’interprete riesce a muoversi in primo piano donando all’opera una personalità artistica che possa sorprendere positivamente lo stesso autore: il caso di Andrés Segovia. Interpretare significa “sentire”. In una società consumistica e ultra tecnologica costruita da strumenti comunicativi sempre più virtuali, con una distinzione tra il vero e il falso sempre più relativa, il “sentire”, come atto di spiritualità, di conoscenza e di autenticità, appare abbastanza arduo. Molto più facile approfittare di suggestioni offerte da “esecuzioni” sportive che alimentano subdoli sentimenti di onnipotenza. Credo che tutto ciò presto finirà e mi auguro che il tanto atteso “spiritualismo” dei primi del novecento trovi un nuovo spazio in un futuro prossimo. Viaggiando e verificando personalmente anche il pubblico di una città come Londra posso affermare con ottimismo che la gente è stanca di “esecuzioni” superficiali, ha sete di “sentire”, di vivere realmente la propria di vita, di ritrovare in un concerto dal vivo quelle emozioni naturali che fin quando l’uomo continuerà a esistere non scompariranno mai».

Oltre al talento c’è lo strumento, quali devono essere i requisiti di una buona chitarra classica da concerto?

«Recentemente ero a casa del famoso costruttore di chitarre Jeffrey Elliott, nel centro di Portland, Oregon, USA. Avevo iniziato ad accordare una sua chitarra appena terminata. Jeffrey voleva darmi un diapason. Io risposi: “Jeff, non ne ho bisogno perché la tua chitarra mi offre un diapason perfetto”. In effetti con meraviglia dello stesso Jeffrey riuscii ad accordare la chitarra seguendo le vibrazioni della cassa armonica. Questo per me è l’elemento predominante di una buona chitarra. Ne consegue che ogni nota della tastiera, relativamente ai limiti fisico-acustici, possieda una grande ricchezza di armonici. Non credo negli esperimenti ingegneristici. Credo invece nell’orecchio musicale del liutaio e nella sua capacità di plasmare e accordare il legno immaginandone i timbri e i colori. Per risultati del genere occorre tanta esperienza e soprattutto talento. Jeffrey mi raccontava dell’incoraggiamento e dei consigli ricevuti da Julian Bream, il quale gli diceva: “Ascolta sempre il tuo istinto”. Altri requisiti importanti, tra i tanti, sono: un assetto ottimale della tastiera e una selezione di legni di buona qualità. Ho discusso sulla scelta dei legni con Masaki Sakurai, il liutaio di Kohno, il quale si mostrava preoccupato per i cambiamenti climatici e le conseguenze che si potranno avere in un prossimo futuro. Nel frattempo la gamma dei legni si è ampliata e innumerevoli sono le sperimentazioni in atto. Il liutaio Jan Schneider mi ha regalato una chitarra con cedro canadese e palissandro Madagascar, da molti considerato simile al brasiliano anche per questioni di latitudine, e credo sia un’ottima alternativa anche per una generosa proiezione del suono».

Può farci il punto sulla liuteria italiana e internazionale?

«Ultimamente, la liuteria italiana offre davvero chitarre di grande qualità senza nulla invidiare alla liuteria internazionale. Inutile elencare i nomi dei liutai italiani che stimo, ma tra tutti spiccano coloro che seguono i percorsi tradizionali dedicandosi soprattutto alla ricerca di bel suono, colori e timbri che caratterizzano la vera identità della chitarra. Tra le centinaia di liutai che ho incontrato da tutte le parti del mondo, Italia compresa, ho notato un’ostinata ricerca di potenza, spesso a scapito delle qualità sonore. Gli esperimenti a tal proposito sono conosciuti da tutti e non risulta se non in rare eccezioni che si sia raggiunto un giusto equilibrio tra potenza e qualità di suono. Credo che la soluzione più ovvia per un chitarrista sia possedere più strumenti. Nel caso di concerti con orchestra e musica da camera, molto meglio suonare uno strumento potente con minori qualità timbriche anziché utilizzare l’amplificazione. Dovendo fare il punto sulla liuteria italiana e internazionale direi che l’era di internet e dei voli low-cost ha consentito uno scambio di informazioni tale da uniformare le conoscenze della liuteria su tutto il pianeta. Non me ne vorranno i liutai italiani ma devo dire che sono gli unici, anche se non tutti, a conservare una goffa gelosia di metodi segreti e formule magiche. In altri paesi come gli USA la filosofia dello “sharing” si è rivelata molto più vincente e conveniente per tutti».

Vincenzo Volpe

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