Sab. Dic 7th, 2024

C’è musica e musica: intervista a Joe Petrosino

Nel panorama musicale del nostro territorio esistono gruppi che svolgono una convinta opera di divulgazione di progetti musicali inediti aventi radici nella storia della nostra tradizione popolare. L’elaborazione personale di questo materiale sonoro, crea una fusione di stili diversi che dà vita a nuova materia, capace di valorizzare, in contesti moderni, la nostra fantastica avventura musicale e la grande scuola musicale meridionale.

Per il terzo ciclo di “C’è musica e Musica” incontriamo Luca Petrosino, in arte Joe, anima centrale del progetto Rockammorra.

Come nasce il progetto Rockammorra?

«Da musicista vicino alla scena underground e con ascolti variegati dal blues al punk fino ad arrivare al reggae, mi avvicinai alla tammurriata grazie a un corso tenuto da Enrico e Serena Della Monica. Nel mio piccolo studio di produzione musicale cominciai a sperimentare con tammorra, chitarre, mandolino e computer, consapevole del fatto che la musica è una sola anche se ci ostiniamo a dividerla per generi. Il primo brano che finii fu “‘A Festa”, che racconta la storia del recupero della Festa di Montalbino, che ora si tiene il lunedì in albis di ogni anno. Poi scrissi “Vesuvius”, brano dedicato al vulcano e lo feci ascoltare a Franco Tiano una volta pronto. Non conoscevo Franco di persona, era la prima volta che parlavo con lui ma mi accolse con favore e quando ascoltò il brano rimase perplesso. Prese una audiocassetta e mi fece ascoltare la registrazione di un suo spettacolo ad Aversa al Teatro Nuovo agli inizi degli anni ‘80. Il brano che mi fece ascoltare era una versione della famosa “Alli Uno”: tammorra voce e chitarra elettrica. Allora mi disse che lui aveva intenzione di fare la stessa cosa che gli stavo proponendo io 20 anni dopo, ma a lui non glielo permisero i “puristi” della tradizione. Così, nel 2008, uscì il DVD “Vesuvius” che fu il nostro primo passo nel mondo della discografia musicale e che ci portò molta fortuna. Purtroppo Franco non riuscì a godersi questo successo perché dopo un po’ ci lasciò».

Come si può definire lo stile musicale che proponete?

«Se vogliamo, il genere è World-Rock, il nome del gruppo è stato scelto proprio per definire il nostro stile: Rockammorra, alias Rock-tammorra. La fusione dei suoni moderni con i suoni antichi, come concetto nulla di nuovo. Ma certo l’accostamento della musica popolare alla musica rock, a molti è sembrata all’inizio una contraddizione e per questo che ha fatto parlare».

Come è formato l’organico, chi sono gli elementi portanti? Una parentesi sugli strumenti e come vengono impiegati.

«Quest’anno dopo collaborazioni con molti musicisti, abbiamo raggiunto una formazione stabile. Dall’inizio ho avuto la collaborazione di China Aresu agli strumenti a corde, in particolare dal vivo usa un bouzuki irlandese che ha un suono molto simile alla mandola napoletana anche se un po’ più squillante. Inoltre, China è una bravissima ballerina e con il nostro batterista Angelo Gramaglia, condivide un percorso didattico di Musicoterapia con la loro scuola Artedo di Salerno. A parte questo, Angelo a mio parere è uno dei grandi batteristi e percussionisti che abbiamo in Campania. Augusto Siciliano, giovanissimo tam- burellista, è un elemento portante del nostro sound: oltre ai tamburi a cornice e alla sor- prendente voce dal sapore antico usa spesso il marranzano, detto anche scacciapensieri, per accompagnare ballate e canzoni. Al basso elettrico c’è Riccardo Di Stasi, pianista jazz di spessore e polistrumentista, nel nostro progetto è bassista, ma anche al cajon e melodica per i set più acustici. Inoltre è un bravissimo informatico e produttore musicale. Quest’an- no abbiamo trovato in Andrea Barone una pedina importante e probabilmente il tassello che mancava al nostro sound: riesce a essere un tastierista ma anche un buon manipolatore di suoni e ciò contribuisce a rendere il nostro sound più moderno, quasi elettronico. A parte la musica, ha pubblicato già due libri di poesie e ciò potrebbe aprire nuove strade dal punto di vista compositivo. E infine c’è il sottoscritto, il capobanda. La mia chitarra è una Strato 40° anniversario a cui sono molto legato. Così come sono legati ai suoni anni ’70 per cui non ho una grande pedaliera con effetti ultramoderni, il cuore del mio suono è il mio ampli Marshall JTM30 completamente valvolare. Quando avevo 14 anni non erano così diffusi i karaoke, quindi imparai a suonare la chitarra per cantare con i millenote».

Il repertorio su quali brani si basa?

«Abbiamo all’attivo due dischi, “Rockammorra” (2009, Essonamò Records) e “SUD tutto comincia da te” (2013, La mela Cotogna Edizioni), quindi ai concerti proponiamo i brani che più hanno segnato la nostra strada, come “Vesuvius”, “Basta ‘na canzone”, “Ciro e Giuvann”, “La differenza” (scritta con Marcello Colasurdo), “Libertà”, “‘O vino”. A questi brani intervalliamo brani della tradizione popolare e dei cantautori italiani che mi hanno più segnato, come De André, Gaetano, Daniele e altri. Sono arrangiamenti che seguono il nostro gusto e il nostro stile».

Quanto spazio occupa la musica, quanto i testi?

«La nostra musica ha le fondamenta in un grosso lavoro di songwriting e di scelte compositive. Cresciuto da piccolo con le canzoni di Battisti, Dalla, Degregori, Modugno, Celentano, Gaber, Jannacci, che mio padre ci suonava con la chitarra nelle sere d’estate, ho sempre dato molto rilievo ai testi. Mi piace sempre raccontare qualcosa della mia vita e di quello che succede fuori e dentro di me. Scrivo canzoni dall’adolescenza e ho portato questa passione fino alla maturità riuscendo quantomeno ad avere qualche piccola grande soddisfazione. Non nascondo una profonda passione per la musica strumentale e sono convinto che prima o poi avrò il coraggio di cimentarmi anche in questo genere».

Un’analisi essenziale del contenuto dei testi.

«Beh… è difficile che un autore sincero possa fare una buona analisi di un proprio testo. Almeno io non ne sarei capace. Credo che le canzoni siano impressioni in cui ognuno può comprendere ciò che vuole ed è anche un po’ questa la magia della musica. Per quanto riguarda il contenuto, specialmente nell’ultimo disco uscito in maggio l’anno scorso, è evidente una vena di protesta sarcastica contro il sistema capitalista che di continuo implode su se stesso provocando crisi economiche, guerre e crimini contro l’umanità. Il nostro punto di vista è quello della maggior parte degli uomini che lavorano onestamente per guadagnarsi il proprio benessere e che sono costretti ogni giorno a convivere con il mal di pancia provocato dalle ingiustizie, mancanza di meritocrazia, sfruttamento del lavoro e delle persone, abuso di potere e non solo. Sono anche costretti a pagare le tasse che alimentano questo sistema iniquo. Calandomi nella realtà, sono disilluso: è difficile che cambino le cose visto il peso delle forze in gioco, ma la storia ci ha insegnato che la massa popolare quando si muove non ha rivali e non mi tiro indietro nel creare movimento culturale e sociale. Anche con le canzoni».

A che cosa si ispira il progetto?

«Le ispirazioni sono tante e di riferimenti potrei farne un elenco lunghissimo. Ricordo di un viaggio nel Salento, una terra meravigliosa e capace di valorizzare la propria musica attraverso le proprie risorse paesaggistiche e viceversa, sebbene ora ci sia una grande polemica sulla eccessiva mercificazione. Lì ascoltai i Buena Vista Social Club che tra gli altri mi fecero venire la pelle d’oca e non solo. Mi aprirono la mente circa la potenza della musica popolare o meglio della musica del mondo, la World Music. In Italia abbiamo esponenti di spicco e la nostra musica, la musica napoletana è famosa in tutto il mondo, la scuola napoletana ha donato innumerevoli artisti da Bellini a Pino Daniele per citarne due. Senza presunzione, mi sento parte di questo movimento culturale che dall’Italia Meridionale ha raccolto frutti in tutto il mondo. Certo, il sound dei Rockammorra risente degli ascolti del rock’n’roll, dei Beatles e dei Rolling Stones, dei Nirvana e di Jimi Hendrix, dei Cream e di Santana, dei Yes degli Area, di Bob Marley, Subsonica, 99 Posse, Bluvertigo …Ed è per questo che siamo diversi, siamo la differenza rispetto a chi propone sempre la stessa musica».

Due parole sulla tammurriata sulla pizzica e le altre forme musicali della musica popolare del Sud.

«Il panorama della musica popolare dell’Italia meridionale gode di un momento favorevole, c’è una grande domanda di questo genere di musica ma anche una troppo larga offerta di gruppi di non professionisti che si cimentano prendendo spazio e risorse. Inoltre pare che i brani loro propongono siano sempre gli stessi e allora si riduce a un discorso di marketing in cui la scelta musicale c’entra poco. Per questo noi prendiamo le distanze e proponiamo anche e soprattutto le nostre canzoni. Grande stima per progetti musicali come i Kiepò che sanno rileggere la tradizione con eccellenza musicale e strumentista. La musica popolare è soprattutto quella delle feste che continuo a frequentare e che ho nel cuore perché è il momento in cui si ritrovano i compagni della tradizione, quelli che cascasse il mondo ogni anno li vedi lì. Soprattutto la festa di Montalbino il lunedì in albis e la veglia dei tammorrari per chiudere la festa della Madonna delle Galline. Non sono un devoto né un praticante, ma sono consapevole di quanto sia importante la preghiera per il bene della nostra anima. E in quelle circostanze cantare è pregare: magari fosse sempre così!».

Quali sono i luoghi in cui vi esibite e chi è il vostro pubblico?

«Per la maggior parte sono festival artistici e/o enogastronomici. Per il tour di presentazione del disco abbiamo suonato anche in locali di piccole dimensioni con il set acustico. Il nostro pubblico sta crescendo e ai nostri concerti troviamo spesso persone di una fascia d’età molto larga. Anche ragazzini e famiglie ma non solo. Certo questo mondo è pieno di difficoltà e non nascondo momenti di scoraggiamento, ma fino a ora poi è successo sempre qualcosa che ha soffiato sulla fiamma della passione regalandoci una soddisfazione».

Quali sono state le occasioni in cui avete riscontrato un particolare consenso di critica e di pubblico?

«A parte i grandi festival a cui abbiamo partecipato, come la Notte della Taranta, Umbria Folk Festival, MEI, Meeting del Mare per citarne alcuni, i concorsi che ci hanno visto protagonisti e a volte vincitori, come Botteghe d’Autore, Premio Deandrè, Note Scordate, per citarne altri, i concerti più belli sono quando si instaura con il pubblico un contatto positivo, in cui il nostro sudore è ripagato con il calore del pubblico. In quest’ultimo tour estivo ci tengo a segnalare il Meeting della Montagna, è stata una esperienza bellissima: abbiamo suonato immersi nella natura. Anche se ci sono tante scale da salire, il posto e l’organizzazione meritano e sono salite centinaia e centinaia di persone durante tutta la notte fino all’alba. Anche al Parco dei 5 Sensi di Sarno è stato uno spettacolo aprire e chiudere con una grande jam il concerto di Sandro Joyeaux, chitarrista one-man- band italo-francese».

Vincenzo Volpe

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