Sab. Apr 20th, 2024

Interviste: la cognizione del dolore nella penna di Paolo Zardi

Esiste un’insana alchimia che lega in modo indissolubile lo scrittore ai personaggi dei propri racconti. Una delle penne più autorevoli – a livello nazionale – in materia di racconti è Paolo Zardi, addirittura annoverato da molti critici come «miglior autore vivente di racconti in Italia». Ingegnere di professione, padovano e immerso nella quotidianità della propria famiglia che non citiamo in modo casuale. La famiglia e le sue dinamiche, infatti, sono il vero fulcro della narrazione di Zardi: le incomprensioni, i complicati rapporti padre-figlio, gli amori cannibalizzati e poi il «dolore quale elemento imprescindibile – come ha riferito Zardi – per l’evoluzione dei racconti: i personaggi soffrono per trovare delle risposte dentro di sé che gli consentano di non gettare la spugna, anche quando tutto sempre perduto»

Di questo e molto altro abbiamo discusso (in esclusiva) con Paolo Zardi, che il prossimo 4 marzo tornerà in provincia di Salerno per presentare il suo nuovo romanzo “XXI Secolo”, finalista al Premio Strega 2015.

Una piccola curiosità: leggendo i suoi racconti ci si imbatte in un certo rigore stilistico e di forma. Quanto credi possa influire il fatto di essere un ingegnere nella stesura dei suoi brani? «Le due cose vanno sostanzialmente di pari passo. Non so se venga prima una certa tensione alla forma e al rigore che mi ha portato a diventare ingegnere o viceversa. Sicuramente la mia naturale propensione verso le scienze e gli studi scientifici mi hanno spinto verso una maturazione differente: la scienza, infatti, è spesso fonte d’ispirazione per i miei racconti. Caso differente, invece, per “XXI Secolo” ma credo di poter affermare che la professione d’ingegnere abbia in qualche modo influito sul mio modo di scrivere e raccontare».

XXI Secolo è stato finalista al Premio Strega 2015. Si tratta di un romanzo estremamente attuale per le tematiche trattate. Quanto crede abbia modificato i rapporti sociali tra gli individui la crisi dell’Occidente di cui racconti?

«Sono convinto che una delle cause della crisi dell’Occidente sia rintracciabile proprio nella crisi tra le persone. La perdita di spazi comuni, opinioni condivise hanno fatto venire meno l’unico modo possibile di tenere insieme le persone. Pian piano si è dissolta la dimensione sociale, assottigliati i rapporti tra gli individui e ha preso il sopravvento l’individualità del soggetto. Lo sfrenato egoismo è figlio di questa malata società dei consumi».

Una delle peculiarità dei suoi racconti è legata all’analisi introspettiva a cui sottoponi i tuoi personaggi. Ne “Il giorno che diventammo umani” si può parlare di una sorta di studio sistematico dei rapporti interpersonali. In XXI secolo è ancora forte questa tua ricerca? E perché?

«Io sono particolarmente interessato alle dinamiche che si creano all’interno della famiglia poiché presentano – dal punto di vista drammaturgico – delle incredibili potenzialità. I legami familiari sono complessi, vivono mille sfaccettature e possono anche arrivare a consumarsi: frustrazione, perdita dei sogni, dolore sono le dinamiche che analizzo e da cui poi cerco di trarre spunti di riflessione. Per il titolo della precedente raccolta “Il giorno che diventammo umani”, avevo – per esempio – scelto “La Sacra Famiglia”, che ti dà un po’ il senso di questa ricerca. Anche in “XXI Secolo” c’è questa analisi, seppur differente, del nucleo familiare e delle tante difficoltà che quotidianamente incontra».

Che cos’è l’amore? Spesso i suoi personaggi se lo chiedono. Lei è riuscito a trovare una risposta a questa domanda?

«A me interessa sostanzialmente l’amore che mette tutto in subbuglio. Chi scrive, però, tende a ispirare domande piuttosto che fornire risposte. Lascio ai lettori la riflessione sui temi che man mano vengono fuori dai racconti. Da un punto di vista strettamente personale, sono felicemente sposato».

I suoi racconti, però, riescono a essere anche tremendamente dolorosi. È perché attraverso il dolore si riescono a raccontare sfaccettature che altrimenti non verrebbero alla luce?

«Da sempre la letteratura si è occupata di due grandi leve: amore e morte. Il dolore plasma inevitabilmente la vita dei personaggi, li costringe a porsi domande e a prendere coscienza di sé stessi. Nei miei racconti è un detonatore capace di tirar fuori la vera essenza delle persone che poi è ciò che accade nella vita di tutti i giorni. Lo scrittore non può essere buono con i propri personaggi: faccio capitare cose dolorose per spingerli a domande e a risposte personali che, però, non hanno la presunzione di essere universali».

Lei è un ingegnere di professione, che si è avvicinato alla scrittura nel 2006 come blogger. Cosa pensa delle digitalizzazione della letteratura? Pensa che in qualche modo, come in tanti affermano, possa ledere al principio in sé della scrittura?

«L’attività di scrittore è nata su blog e poi si evoluta. Scrivere su blog aiuta a un confronto immediato con il proprio pubblico e questo aiuta a scegliere la propria strada. Non credo, però, che la letteratura del futuro sarà quella dei blogger mentre ho qualche perplessità circa la sua digitalizzazione: in futuro il vero danno che potrà subire l’arte sarà dettato dall’inconsapevole incapacità di chi ne usufruisce di trovare quello che sta cercando. In pratica, la proposta sarà sempre più alta della domanda, aumentando il divario tra fruitori e “artisti”».

Lei partecipa attivamente sui social network. Come scrittore, immagina possano realmente diventare un nuovo veicolo di trasmissione per l’editoria? Che peso hanno per il successo di un libro?

«Io non mi sono mai occupato di social network e la mia presenza su facebook, a esempio, non ha fini promozionali. Ufficio stampa e la casa editrice NEO hanno saputo cogliere la potenzialità dei social: “XXI Secolo”, infatti, è stato molto spinto su facebook e dai blogger. Bisogna però saper padroneggiare il mezzo social poiché il rischio di rovinare un libro è sempre in agguato. Sono certo che nel futuro essi avranno un ruolo sempre più d’élite ma – come sempre – ci sarà chi sarà in grado di trarne il massimo profitto e chi, invece, no».

Carmine Vitale

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