Dom. Set 15th, 2024

Gli spazi virtuali e le pecche che li adombrano

Usiamo i social, i nostri spazi virtuali, come se avessimo bisogno di ricordare a noi stessi si essere malinconicamente o gioiosamente in vita

La ruota del tempo divora, nella sua corsa, il grano delle ore e noi siamo la farina del nostro sacco. Ci ritroviamo e ci perdiamo nel nostro tempo interiore, e in quello storico, che fa da impalcatura alle nostre esistenze, allocate in spazi geografici ben delineati.

 Siamo antropologicamente, il risultato di più fattori che interagiscono fra loro.

  Al nostro tempo e nei nostri spazi, noi forniamo un contributo “umano”, agendo, pensando, producendo.

Con noi ci sono gli altri ed insieme viviamo il contesto della nostra epoca.

In siffatta dimensione umana ed esistenziale, però, siamo immuni, rispetto al virus (che ci divora nel mondo reale e quotidiano), nella realtà virtuale dei social.

 Qui le categorie spazio-temporali, pur rimanendo oggettivamente integre, subiscono influenze emozionali che, in qualche misura, le deformano, le curvano, assoggettandole al marasma del sentire umano.

Avviene, a mio parere, quello che accade con i colori che nella realtà non esistono, ma sono frutto della luce e partoriti dal lavoro delle connessioni neuronali del nostro cervello.

Molto spesso, gli utenti di questi spazi virtuali, desumano dal mondo circostante gli elementi (fatti di cronaca, eventi, notizie politiche che alimentano dibattiti o prese di posizione) per elaborare le proprie idee o per delineare uno stato d’animo particolare.

 Con qualche forzatura, se correliamo i dati oggettivi a quelli soggettivi (la res extensa e la res cogitans di Cartesio), potremmo dire che attribuiamo, come fa la luce, il colore che vogliamo a ciò che interpretiamo.

Allora abbiamo modo di leggere post di varia natura e di diverso livello culturale che, a loro volta, ingenerano commenti avrebbero bisogno di un tempo di lettura molto lungo.

 Invece, raccolti e analizzati da specialisti, potrebbero aiutarci a capire meglio ciò che siamo e darci la misura del grado di umanità e civiltà di cui è espressione il nostro tempo.

Spazi virtuali-Facebook
Spazi virtuali-Facebook

Sarebbe interessante capire quali siano le tipologie umane prevalenti, visto le truppe variegate che guerreggiano in rete.

Post urticanti, violenti, volgari, moltiplicatori di altri post orientati dallo stesso livore di fondo, fomentatori di pessimi istinti.  

Sottrarsi alla melma è difficile, meno male che affiorano anche spaccati diversi: ragionamenti pacati, lucide e profonde analisi, pensieri intrisi di poesia; non mancano spaccati di vita di privata, autocelebrazioni e parole che riguardano solo e semplicemente il proprio    “ombelico”.

Ovviamente, vediamo scorrere sotto i nostri occhi anche immagini di ogni genere, prive di post. Si tratta di foto riferite: alla natura, agli animali, ai monumenti, ai beni artistici, ai paesaggi urbani o rurali.

Spazi virtuali-Instagram
Spazi virtuali-Instagram

 Non mancano foto di pietanze varie o di tavole imbandite con o senza commensali.  

 Foto pertinenti eventi o che rilanciano episodi di cronaca; foto che mettono in evidenza carenze di ogni tipo, in relazione al degrado urbano o all’inciviltà dei cittadini. Foto di catastrofi naturali.

Foto puramente narcisistiche, che mostrano volti e corpi di ogni tipo.

 Foto di memoria (eventi storici del passato o afferenti alla sfera personale. Foto che suggellano momenti importanti). Nell’ultimo caso l’elenco sarebbe piuttosto lungo.

Le diverse tipologie di foto, rappresentano anch’esse uno spaccato del nostro tempo. Il virtuale ed il reale, in osmosi fra loro, celebrano riti nuovi, inesistenti in altre epoche.

Consentono, forse, di mettere in atto un processo euristico, dal quale cui ricavare dati interpretativi in più ambiti disciplinari, per cercare di comprendere i modelli sociali ed antropologici attuali.

Sappiamo   che il nostro è un tempo in cui la “liquidità” predomina, e che l’accelerarsi del degrado morale e civile, sono elementi corrosivi della società.

A queste più che sommarie considerazioni, si può assommarne un’altra che si lega alla vorace indigestione dei post che si mettono in rete. Il post di oggi “mangia” quello di ieri.

In siffatto ciclo, continuo ed incessante, si avverte il bisogno irrinunciabile di introdurre, giorno dopo giorno, addirittura più volte nello stesso giorno, un pensiero o una foto, snocciolando brandelli di vita che ci appartengono, ma che vogliamo siano pubblici. 

Si innesca, per forza di cose, una sorte di “consumismo” dell’essere; un consumismo che induce a vedere “scaduto” un post, considerandolo al pari di un prodotto da supermercato.

Ciò che si posta un giorno, si sa già che soccombe rispetto al post del giorno successivo. Tutto scorre, dunque. E l’essere è immerso in un fluido scorrere, rimanendo nel vasto arcipelago, un’isola in cerca di ponti. Suggestioni repentine nella routine quotidiana, che sottraggono dall’anonimato.

In questa perenne corsa emerge il bisogno di una affermazione che induce a evadere dal limbo del proprio io o della propria solitudine. Spesso ci si illude di sconfinare nel mondo degli altri, concedendo un frammento del nostro mondo

Spazi virtuali-Twitter
Spazi virtuali-Twitter

E’ come se si avesse bisogno di ricordare a sé stessi che si è malinconicamente o gioiosamente in vita. Gli altri sono la nostra ciambella di salvataggio, così come noi lo siamo per loro.

Navighiamo in rete sulla stessa gigantesca scialuppa, vivendo nella evanescenza dell’istante che desideriamo fermare, soppiantandolo con quelli a divenire.

Quali sono le spinte emotive che ci impongono di essere presenti oggi, domani come lo siamo stati ieri e l’altro ieri ancora, nella realtà simil-reale?

Qual è il “filo” che ci lega ai “fili” degli altri?

 E nella ragnatela dei rapporti virtuali che intessiamo, dove ci conduce il nostro filo personale?

Una matassa, una tela da costruire e disfare, come faceva Penelope, pensando di smarcarci dalle insidie che il vuoto ci addita, dentro e fuori di noi, forse è questo che andiamo a costruire; forse questo è il senso predominante di voler abitare anche   in questi paralleli ambiti di cui disponiamo.

E questo può correlarsi con un ultimo non trascurabile dato: la conta dei “like”

Più se ne contano, più si rafforza in modo effimero, il senso di sé, convinti di colmare quel vuoto a cui si è accennato prima.

Viceversa, senza ottenere riscontri, potrebbe aumentare il rischio di un disagio interiore, appannaggio di eventuali fragilità.

 Poi ci sono (e non vanno trascurati) i cosiddetti “guardoni”, ossia gli utenti che sanno tutto di tutti e non si palesano mai, in nessun modo.

 Come li vogliamo considerare? Osservatori silenziosi della “giungla” o cacciatori di prede? Fra prede e cacciatori, chi si salva, allora?

Pina Esposito

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