
Ragionando su stupidità e denaro
Riflessioni sui pericolosi intrecci tra stupidità e dinamiche economiche
Di Massimo Bramante
In tempi oscuri e difficili come gli attuali, può forse essere di qualche utilità proporre alcune rapide riflessioni sui possibili e pericolosi rapporti tra stupidità, denaro ed economia.
Partiamo da lontano. L’illustre scrittore mitteleuropeo Robert Musil nella primavera del 1937, poco prima della sua fuga in Svizzera dal nazismo, tenne a Vienna, su invito della Federazione Austriaca del Lavoro, una vibrante conferenza che verrà in seguito pubblicata con l’ardito titolo “Discorso sulla stupidità”. È un testo breve e bellissimo.
Da anni il grande scrittore austriaco stava lavorando a quel fondamentale (e incompiuto) monumento della letteratura del ‘900 che è “L’uomo senza qualità”. Già lì si rintraccia un passaggio assai significativo in tema di rapporti tra stupidità e denaro: la stupidità è propria della natura umana, tanto quanto il desiderio di possedere denaro. Annota Ulrich, il personaggio principale del romanzo: “Ci sono migliaia di professioni in cui gli uomini si consumano; lì è concentrata la loro intelligenza. Ma se si chiede loro semplicemente ciò che è umano e a tutti comune, non restano che tre cose: la stupidità, il denaro e tutt’al più qualche reminiscenza di religione…”.
La stupidità – sostiene Musil/Ulrich – è universale e saldamente incollata alla natura di uomini e donne, quanto il denaro: umano desiderarlo, umano utilizzarlo per accrescere il benessere proprio (e altrui), umano e meritevole crearlo attraverso il lavoro. Ma il colto e raffinato scrittore austriaco è pessimista; conclude il suo discorso sulla stupidità con le parole: “Il regno della saggezza è una regione desertica e in genere schivata dagli uomini”. Parole – a nostro avviso – di disarmante attualità.
Anche il fine filosofo Fernando Savater, nel suo “Dizionario filosofico”, dedica un interessante capitolo alla stupidità e ci comunica, con rammarico: “Ora sto dando sempre più importanza alla stupidità”. Riprendendo quindi un notissimo aforisma di Anatole France, Savater invita a riflettere come lo stupido sia in realtà peggiore del cattivo, perché quest’ultimo talvolta riposa, mentre il primo non si riposa mai. Ma Savater si mostra ancora più sottile e penetrante nella sua analisi: “La caratteristica dello stupido è la passione di intervenire, di correggere, di aiutare chi non chiede il suo aiuto, di curare chi gode di qualche cosa che lo stupido considera una malattia”. E conclude icasticamente: “…per questo bisogna dare alla stupidità tutta la sua importanza”.
Seguendo la saggia indicazione di Savater consideriamo un aspetto non trascurabile dell’uso possibile del nostro denaro: come investire i risparmi in un immobile, un’obbligazione societaria, un titolo di stato?
Il nostro investimento può rivelarsi al tempo stesso una mossa azzeccata economicamente o una stupidità imperdonabile, non solo oggettivamente (acquisto le azioni di una società che è sul punto di fallire, affido i miei risparmi ad un promotore finanziario che è un noto imbroglione, etc.) ma anche – questo punto è cruciale – soggettivamente, ad esempio se ci limitiamo a “trascurare” ciò che in quel momento fanno altri investitori.
Riflettiamo sull’esempio che fa lo psicologo (ed attento studioso dei fenomeni finanziari) Paolo Legrenzi nel volume “Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze”. Scrive Legrenzi: “Poniamo che voi compriate qualcosa che è oggettivamente conveniente rispetto a quella che è stata la media storica del suo valore. La vostra scelta si rivelerà una sciocchezza, oppure no, in funzione di quello che faranno tutti gli altri investitori. Se una maggioranza condivide la vostra scelta il valore salirà, se invece si tratta di un’esigua minoranza scenderà. In virtù di questo meccanismo basato sull’autoalimentarsi delle aspettative reciproche, il valore dei beni oscilla molto, molto più di quanto non vi aspettereste in base a ragioni obiettive”.
In soldoni: una nostra scelta in campo economico può rivelarsi una sciocchezza, una stupidità, non perché lo è oggettivamente, ma perché sono gli altri a trasformarla, con il loro comportamento, in sciocchezza.
Cosa fanno gli altri, come la pensano, soprattutto se detengono il potere, dunque conta e non poco. Ecco che la stupidità – rubo l’espressione al teologo luterano Dietrich Bonhoeffer – “sembra essere un problema più sociologico che psicologico”. Si ha l’impressione che “in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali”. Quasi una legge economico/sociologica sotterranea e misteriosa per cui, ad esempio, il potere di chi governa “stupidamente” rischia di provocare un inesorabile “instupidimento” in chi è governato. Soprattutto una legge presente in questi nostri tempi oscuri e difficili.
Perché l’Economia, capirne il reale funzionamento non è mai cosa facile, richiede studio approfondito, applicazione. Ha avvertito l’economista Clara E. Mattei in un accattivante testo dal titolo di per sé esplicativo “L’economia è politica”: “Gli economisti di professione, la televisione, i social, i giornali perpetuano quotidianamente l’accettazione e la diffusione di narrazioni che mascherano il funzionamento del nostro sistema economico invece di spiegarlo”. È vero: l’Economia deve sempre essere spiegata e va inoltre sottolineato che essa è sempre “politica”.
Un ottimo strumento per uscire dall’imperante stupidità in Economia potrebbe/dovrebbe essere quello, appunto, di (ri)mettersi a studiarla. Vale per ognuno di noi ed ancor più per chi detiene oggi il potere.
Cosa c’è, ad esempio, di più stupido, economicamente, che spendere male le risorse finanziarie, tecnicamente PIL, prodotte con tanta difficoltà, con tanto lavoro, nel nostro Paese?
(Foto di Niek Verlaan da Pixabay)