
Le sfide della canzone d’autore: intervista a Max Manfredi
Il cantautore genovese che De André definì “il più bravo” racconta il presente e il futuro della canzone d’autore, tra difficoltà nell’emergere e marketing
Intervista a cura di Antonello Rivano
Nel panorama della musica d’autore italiana, Max Manfredi rappresenta una delle voci più raffinate e poetiche. Cantautore, scrittore e narratore, ha saputo coniugare tradizione e innovazione, creando un universo musicale denso di immagini, racconti e suggestioni letterarie.
Manfredi ha avuto anche un’importante collaborazione con Fabrizio De André. Nel 1994, De André ha partecipato al brano La fiera della Maddalena, incluso nell’album Max, affiancando Manfredi in un duetto memorabile. Successivamente, nel 1997, lo stesso De André ha definito Manfredi “il più bravo” tra i cantautori italiani, riconoscendone il talento e la profondità artistica.
Eppure, nonostante i riconoscimenti della critica e degli addetti ai lavori, il grande pubblico non sembra avergli mai tributato l’attenzione che meriterebbe. Lo abbiamo incontrato per parlare di canzone d’autore, delle difficoltà di emergere e di cosa devono aspettarsi i giovani che si apprestano a percorrere la strada del cantautore.
La canzone d’autore italiana ha avuto un’evoluzione importante dagli anni d’oro di De André, Guccini, Conte, De Gregori, solo per citarne alcuni. Quali sono, secondo te, le caratteristiche che distinguono oggi un cantautore rispetto a ieri?
I cantautori di ieri (con eccezioni fino agli anni ’90) avevano una produzione e una promozione notevoli e vendevano dischi. Quelli di oggi, a meno che non possano beneficiare di una forte propaganda mediatica, sono spesso dei “ronin”. Sono insieme artisti, manager e agenzie di booking di loro stessi. I dischi non vendono più, Spotify, come il delitto, non paga (o paga una miseria gli autori). L’etichetta li produce, ma non li segue assiduamente. Una volta fare un disco costava moltissimo, oggi chiunque lo può produrre con una spesa davvero minima. Ma le piccole etichette non lo finanziano. E, soprattutto, la promozione è costosissima e difficile, proibitiva per chi non abbia una major decisa a vendere il suo prodotto foraggiandolo con quintali di propaganda.
Se uniamo il fatto che chiunque può ascoltare i dischi gratis alla facilità con cui ci si può autoprodurre, otteniamo come risultato un’offerta che eccede mostruosamente la domanda. Non dimentichiamo che in Italia ci sono migliaia di cantautori o aspiranti tali.
Non ti ho risposto riguardo alle differenze estetiche, perché ovviamente le questioni economiche e pratiche sono primarie per qualsiasi analisi sensata di questi fenomeni. C’è però da aggiungere che, nella loro disperazione, i cantautori che, come me, hanno realizzato album privi di una promozione convincente dagli anni ’90 in poi, non hanno avuto vincoli espressivi. E infatti, quanto a risultati poetici e musicali, alcuni sono andati lontano. D’altra parte, non avendo agenzie di booking o manager funzionanti alle spalle, devono lavorare senza sosta per trovare serate che non sono sempre, ma spesso, sottopagate, se non gratuite.
La canzone d’autore, in passato, aveva anche una forte valenza sociale e politica. Pensi che oggi conservi ancora questo ruolo?
Eh! La cosiddetta canzone d’autore, una volta, aveva una forte componente identitaria, anche se ci si riconosceva in essa come diversi, alieni, eccezioni sociali, persino proletari. Ti parlo del periodo, tutto sommato dorato prima di risolversi in tragedia e immonda farsa, degli anni ’70. Tuttavia, i cantautori del decennio precedente si proponevano come antagonisti rispetto alla canzone vigente e abituale ai loro tempi.
Oggi i cantautori non cantano, in modo transitivo, le emergenze sociali. Oggi sono un’emergenza sociale. Ognuno, secondo la sua sensibilità, canta i suoi amori o i suoi attriti nei confronti della società. Spesso sono preziose testimonianze, ignote però al grande pubblico, insomma, alla maggioranza.
È poi una questione di mode. Oggi le mode non sembrano incoronare la canzone d’autore, tranne in alcuni casi che hanno dietro un formidabile lavoro di marketing. È una di quelle situazioni in cui fare numero è più deleterio che vantaggioso!
Come vedi il futuro della canzone d’autore in Italia?
Affollato. Non tutti hanno idea di quanti ventenni e trentenni abbiano la velleità o la determinazione di fare musica, scrivere testi e cantare le proprie composizioni in pubblico. E siccome gli anni passano in un lampo, i ventenni diventano trentenni, i trentenni quarantenni, e si procede senza soluzione di continuità fino alla fine.
C’è da dire che quasi tutti hanno altri proventi o fanno anche altri mestieri. Io stesso svolgo attività contigue, soprattutto nella didattica. Come dicevo a trent’anni, il sogno di tutte le giovani promesse è di diventare delle vecchie mantenute!
Il futuro, non solo della canzone, ma della musica, dipende dai risultati delle nuove tecnologie. Sono finiti i tempi in cui si vedevano stupide pubblicità contro la pirateria! Adesso siamo un po’ tutti corsari. Ma come si sentirà e come si farà musica nei prossimi anni?
Già adesso le possibilità del “musicare” sono infinite. Ma il vero problema è culturale.
Quali sono, secondo te, i cantautori più interessanti oggi?
I cantautori (e le cantautrici) interessanti sono forse qualche centinaio, ma solo tra quelli che mi è capitato di ascoltare. Vero è che ne sento tanti, sia perché mi chiedono un giudizio confidenziale, sia perché faccio parte di qualche giuria. Non c’è, ripeto, un limite di età. Molti di loro sono miei amici di vecchia data.
Cosa consigli a un giovane che vuole intraprendere la strada del cantautore?
Smettere immediatamente. Se proprio non vuole smettere, considerare la propria situazione. Se è economicamente molto florida (se uno è milionario di suo o di famiglia), può “investire” quei cinquecentomila euro che gli crescono regalandosi una promozione privata.
Altrimenti conviene sempre affiancare alla propria attività di cantautore un qualche altro lavoro più redditizio. Capisco che, dovendo dannarsi in un call center o a fare il rider, tanto vale setacciare i circoli e i club e guadagnarsi lo stesso stipendio facendo qualcosa che piace.
Quali sono i motivi che impediscono a un cantautore di emergere e farsi conoscere dal grande pubblico, pur avendo qualità artistiche riconosciute dalla critica e un seguito di fan che continua ad apprezzare e supportare il suo lavoro? È solo una questione di visibilità e marketing o c’è qualcosa di più profondo nel rapporto tra un cantautore e il suo pubblico?
È principalmente una questione di marketing e, quindi, di potere contrattuale. Bisogna forare la maglia mediatica strategicamente e continuativamente.
Poi, certo, c’è il rapporto col pubblico. Ma se è lui che deve venirti a cercare, auguri.
Siccome parli di me nella domanda, o quantomeno anche di me, ti dirò: se anche fossi milionario, non saprei io per primo come ottenere una promozione eclatante. Data la mia età matura, se non senescente, non potrei certo vendermi come un emergente. D’altra parte, se si dà per scontato che sono una figura di grande spessore, uno si chiede: “Ma allora come mai non lo conoscevo?”, tanto la gente odia professare la propria ignoranza. E ama invece mitizzare, molto di più che fare esame di realtà.
La stampa, poi, contribuisce a intorbidare le acque. Aggiungiamo l’analfabetismo funzionale che ha stregato l’Italia negli ultimi trent’anni, come predicava Tullio De Mauro (che mi conobbe per caso e subito diventò mio estimatore).
Ho l’impressione che le leggi che regolano il riconoscimento di un artista siano fluide, variabili, soggette a un meccanismo di probabilità piuttosto che deterministiche. E per questo dico che “domani è un avverbio di vento, può sempre cambiare”.
(Foto di copertina ©Rossana Ghigo)
Antonello Rivano
Direttore di redazione/coordinatore nazionale Polis SA Magazine