Mar. Lug 8th, 2025

Alle origini dello scarto. La Chiesa e il lento allontanamento dalle periferie

Dalla centralità del Vangelo alla marginalità storica: come la Chiesa ha perso il contatto con gli ultimi, e perché papa Francesco ha sentito il bisogno di ricucire.

Francesco: la Chiesa e le periferie – 1

di Teo Galante Oliva


Questa serie, di sei articoli che costituiscono il saggio di Galante Teo Oliva tratto dal libro Il centro si guarda meglio dalla periferia (Polis SA Edizioni, 2017), riflette sul magistero di Papa Francesco e sulla sua visione di una Chiesa vicina alle periferie, sia geografiche che esistenziali. I testi affrontano temi cruciali come l’educazione, la famiglia, il consumismo e l’individualismo, interrogandosi sul ruolo della Chiesa nel rispondere alle sfide sociali e morali contemporanee. La proposta di una Chiesa povera per i poveri emerge come risposta a un mondo segnato dalla superficialità e dall’omologazione. Se questo aspetto della marginalità e di cura agli ultimi è presente nel DNA del cattolicesimo, perché il pontefice, subito dopo l’elezione, ha sentito la necessità di un riavvicinamento con le periferie? E soprattutto perché e quando si è avuto questo allontanamento?
(Foto di copertina elaborata a partire da immagine di www.vaticannews)

La Redazione


Alle origini dello scarto. La Chiesa e il lento allontanamento dalle periferie

di Teo Galante Oliva

Il pontificato di papa Francesco ha avuto inizio nel 2013 ed è stato da subito visto come l’inizio di un’epoca nuova e totalmente “rivoluzionaria” per la Chiesa cattolica e, quindi, per i cattolici, con la sempre più frequente sottolineatura dell’eccezionalità del suo Magistero e della discontinuità sto rica sia con il predecessore che con le “stanze ecclesiastiche”. Questa idea, alimentata certamente anche dagli organi di informazione in generale, non sempre – però – è risultata veritiera. Uno degli argomenti più discussi e più rilanciati dai media, e non solo, è certamente quello delle “periferie”, argo mento che con papa Francesco ha trovato nuovo impulso. Il pontefice, sia ben chiaro, non ha introdotto, ma ha re-introdotto il concetto di periferia all’interno del mondo cattolico, rivestendolo di un nuovo significato, con idee e un concetto insito all’interno del Cristianesimo sin dalle origini.

Gesù nacque in Israele, territorio periferico rispetto ai grandi imperi. Israele periferia dell’Egitto e in seguito periferia dell’Impero Roma no. Nacque a Betlemme in Giudea, certamente non il centro di Israele. Ma, addirittura, i primi cristiani furono costretti a vivere nelle catacombe, peri ferie sottostanti le città, lontani dal “potere” delle città stesse. In un certo senso, Gesù portava in sé la periferia. Ma allora se questo aspetto della marginalità e di cura per gli ultimi è presente nel DNA del cattolicesimo, perché il papa, subito dopo l’elezione, ha sentito la necessità di un riavvicinamento alle periferie? E, soprattutto, perché e quando si è avuto l’allontanamento?

Da sempre la Chiesa cattolica, in diverse forme e modalità, è stata presente nelle periferie del mondo e della civiltà. Pensiamo ai missionari, oppure ai tanti ordini religiosi come i Gesuiti, da cui – peraltro – proviene il pontefice, i Carmelitani, i Francescani, i Domenicani e tanti altri ancora. L’elenco 27 sarebbe troppo lungo per citarli tutti. Tratto comune era, ed è, quello di de dicarsi all’altro e, soprattutto, agli ultimi. Citiamo l’ordine degli Scolopi che si era fatto carico dell’istruzione dei ciechi e sordi, considerati gli “scarti” della società. Ma bisogna dire anche che, in quel periodo storico (Medioevo e prima modernità), la Chiesa ha rappresentato il centro della vita spiritua le, politica e civile. Ciò si evidenzia anche in termini urbanistici: nei centri storici era presente la chiesa e la stessa risultava il motore della città, che – in un certo senso – riusciva a “influenzare” e a farsi carico di ciò che non era centrale, portandoselo a sé, regolando così gli aspetti della vita sociale.

La rottura di questo sistema si ebbe con la Rivoluzione Francese, madre di tutte le rivoluzioni europee, scoppiata nel 1789: essa decretò la fine della modernità e l’entrata del mondo nella contemporaneità. La Rivoluzione francese portò a una fortissima accelerazione il processo di secolarizzazione, già in atto da qualche tempo in Francia, culminando nella “simbolica” secolarizzazione della cattedrale di Notre Dame nel 1793, tempio che, dopo esser stata depredata di tutti i metalli preziosi e distrutta parzialmente, fu intitolata alla Dea Ragione. Quell’atto di sfregio nei confronti del cattolice simo segnava la sconfitta della Chiesa a Parigi, una delle città più importanti del mondo cattolico.

Tanto che nemmeno la fine della Rivoluzione Francese portò al recupero della centralità della Chiesa e della religione cattolica nel la società parigina e francese. La Restaurazione, poi, fu un totale fallimento, provocando essa una doppia sconfitta per il mondo cattolico. Da una parte la Chiesa veniva sempre più identificata con il potere sovrano, tanto ostile e avverso al popolo che sempre più si concentrava al di fuori del centro della città, e dall’altra la Chiesa iniziò a chiudersi all’interno dei “palazzi”, nel centro delle città, non riuscendo più come in passato a influenzare l’intera urbe.

È il momento di rottura: la Chiesa, che per secoli era stata al centro della società, inizia a perdere lentamente potere e “consensi”. La rottura cresce e si amplifica con l’avvento della Rivoluzione Industriale e la nascita del ceto proletario. Si tratta di una rivoluzione che così come quella francese, ribalta il modo di vivere e di pensare del mondo occidentale. In Francia, Germania, Belgio, Inghilterra in un primo momento, e poi nel resto dell’Europa occidentale, il cambiamento del sistema di produzio ne porta alla creazione di nuove zone residenziali, esterne al centro cittadino, nate solamente per fornire manodopera alle industrie che nascevano nelle periferie delle città.

Gli esodi dalle campagne verso la città porta a uno svuotamento delle zone rurali, lì dove la chiesa cattolica era più radicata, 28 e alla creazione di periferie in cui lo spirito di classe e la cultura socialista iniziano a diffondersi. Periferie che, comunque, nella maggior parte dei casi sono prive di servizi e dove il soggetto porta avanti la propria vita nel più totale anonimato. Quelle periferie sono le antenate di quelle attuali, ma con una differenza: quelle, rispetto a oggi, si confrontavano con il centro ed erano portatrici di ideali diversi di quelli del “centro”. Oggi non più. Se le periferie tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo sono in continuo mutamento, il centro della città assume sempre più l’aspetto del potere e la Chiesa resta nel luogo del potere. Il centro diventa borghese, la periferia proletaria.

La Chiesa non riesce a influenzare più nulla e anche la costruzione delle parrocchie nei sobborghi delle città non sortisce l’effetto sperato: non si è di fronte a luoghi vivi, ma a una sorta di “avamposti” della cristianità. L’idea di influenzare la periferia dal centro non funziona. Sia ben chia ro che in molte metropoli la Chiesa e le parrocchie nelle periferie saranno presenti, ma non più con la centralità e la forza che le ha contraddistinte nei secoli precedenti: è stata un’azione continua in bilico tra restaurazione e dislocazione nei mondi periferici.
[Continua…]

Galante Teo Oliva

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