
Viviana Miele: «Attraverso la musica combatto la dispersione»
‘ViVi’ si racconta tra musica, radici e sperimentazione. Un viaggio sonoro nell’identità
[Di Stefano Pignataro]
Da non poco tempo è emerso il talento musicale, l’estro ed il talento di Viviana Miele, nota al pubblico come VIVI. Recentemente l’artista, originaria di Lioni (AV), ha partecipato alla sedicesima edizione di Music for Change con il suo nuovo brano Casa, composizione che esplora il tema dell’appartenenza alla propria “terra”, in un contesto storico come il nostro caratterizzato dal sempre più “senza”.
Il suo brano è incentrato sul rapporto con la terra natia. Lei ha avuto diverse esperienze artistiche e professionali all’estero, ma il tornare alle origini è un atto “catartico”…
Sì, è stata necessaria una riconnessione con la terra. Sono stata a Bologna per motivi di studio e poi anche a Parigi, dove ho lavorato come attrice. Ho vissuto anche a Napoli e a Milano. Ad un certo punto il “richiamo della foresta” è stato molto forte. Il tutto è collegato con la ricerca della propria identità. È necessario, certo, andare altrove per sperimentare usi e costumi del mondo, ma è fondamentale ritrovarsi, soprattutto in questo periodo di smaterializzazione digitale in cui si è ovunque ed in nessun luogo. Non è facile ritrovarsi.
Lei è anche una studiosa, dottoranda di Digital Humanities presso l’Università “Tor Vergata” di Roma…
Da artista e da studiosa sento molto la responsabilità di sperimentare nuove forme di espressione, anche tecnologiche, in quella che è stata già definita la “quarta rivoluzione industriale”. Ma occorre aggirare il pericolo di perdersi. Questa insidia è considerevole, soprattutto per le nuove generazioni. Con i nuovi mezzi di comunicazione si è ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo. Attraverso la musica cerco il dialogo e la relazione con l’altro, proprio per combattere la dispersione.
In questo ti ha aiutato molto il ritorno nella tua Irpinia?
Certamente. L’Irpinia è molto ispirante. Con i suoi boschi, le sue colline, i suoi castelli come quelli di Gesualdo e Bisaccia, la Valle d’Ansanto e Rocca San Felice… I suoi abitanti sono degli eroi che si sono rialzati dopo la sciagura del terremoto e le tantissime difficoltà collegate a quell’evento. Il popolo irpino non si arrende mai, è molto tenace. La determinazione è un grande valore che mi è stato trasmesso. Cerco sempre di prendere il buono che questa terra di combattenti mi può offrire. Attingo molto da questi luoghi, che hanno in sé una sofferenza intrinseca dovuta ai fatti storici che si sono verificati. Ne esco con grande gratitudine e poi, ripeto, i paesaggi irpini sono molto ispiranti per la loro brutale bellezza.

La musica di ViVi è etnica o meditativa?
Direi entrambe. Meditativa, in quanto per una completa fruizione di essa è utile la meditazione e l’interiorizzazione. Etnica, per le scelte musicali, come lo shruti box, strumento aerofono indiano molto suggestivo, che consente di giungere quasi a uno stato di ascetismo che tocca gli elementi vitali. Non tutti sono pronti alla meditazione, ma per me è fondamentale: mi è preziosa per ripartire verso nuovi obiettivi e verso nuove mete. Credo che la musica sia anche introspezione, elaborazione e restituzione di un mondo interiore che va riconosciuto e condiviso con chi ha piacere di compiere questo tipo di viaggio.
Con la mia precedente canzone Come acqua danzante mi immergevo nell’elemento “Acqua”, che è vita, forza, femminilità e, secondo Grazia Di Michele, “fertilità”. Ora con Casa, in qualche modo, vi è un ritorno alla “Terra”. Casa parte da un ricordo di infanzia, quando, nel post-terremoto, vivevamo nei prefabbricati, immagine per me ancora molto viva e poetica, che mi ritorna in mente con grande amore. Ricordo quella “casetta” nel villaggio che era stato donato dal giornale La Stampa a tutta la comunità lionese. Da queste gocce che cadono dal tetto bucato vengono elaborate immagini, suggestioni, emozioni, la dimensione dell’esistere e dell’avere un posto a cui ritornare.
Casa è quello spazio atemporale dove si può sempre tornare.
Con Come acqua danzante hai vinto il Premio della critica “Mia Martini”; cosa pensi che abbia colpito di più la prestigiosa Commissione dedicata all’artista, di cui a giorni cadrà il trentennale dalla morte?
Sicuramente ha colpito la proposta che ho voluto portare in scena: si tratta di un esperimento di cantautorato, ma credo sia piaciuta anche la modalità con cui ho presentato questa canzone. Un brano molto particolare, credo: oltre alla base strumentale con gli archi – che apprezzo moltissimo – ho cantato accompagnandomi con strumenti etnici dal vivo, che hanno conferito un carattere di unicità e di originalità. Credo che questo abbia impressionato la Commissione Artistica presieduta da Maurizio Fabrizio. Il Maestro Franco Fasano, al momento della premiazione, mi ha detto: “Su questo palcoscenico ogni anno arrivano giovani, arrivano sogni. Tu hai saputo creare un’atmosfera particolare, utilizzando anche i tuoi ‘aggeggi’. Quest’anno il premio della critica non potevamo che conferirlo a te”.
Stefano Pignataro