Mahmud Darwish: la voce della perdita e della terra
“Siamo una patria di parole: diteci perciò di vivere.” Mahmud Darwish, poeta palestinese, (1941-2008)
Nelle “interviste impossibili” non cerchiamo la verità storica, ma la verità del dialogo. Immaginiamo di incontrare grandi personaggi del passato e di porre loro le domande del nostro tempo. Le risposte non sono riportate da manuali, ma ricostruite nello spirito dei loro scritti, delle loro idee, del loro stile.
È un esercizio di immaginazione e di ascolto: dare voce a chi non può più parlare, per capire meglio chi siamo oggi.
Mahmud Darwish: la voce della perdita e della terra
di Antonello Rivano
Mahmud Darwish (1941-2008) è considerato il più grande poeta palestinese contemporaneo. Esiliato dalla sua terra d’origine, ha trasformato la condizione dell’esilio, la memoria e l’identità in poesia universale. Le sue opere hanno dato voce al popolo palestinese e alla sua ricerca di pace e giustizia, intrecciando lirismo, politica e visione umana.
Lo incontro in un giardino che sembra sospeso tra due rive. Intorno, ulivi, pietre, e il silenzio rotto da echi di sirene lontane. Mahmud Darwish siede con un quaderno sulle ginocchia. La sua voce è lenta, come chi recita più al vento che a un interlocutore.
Mahmud, Gaza oggi è simbolo di distruzione, dolore, assedio. Che parole restano quando tutto sembra crollare?
Le parole non fermano i carri armati, ma sono l’ultima casa quando la casa brucia. La poesia non salva le vite, ma salva la memoria. Chi perde la parola, perde due volte: la terra e la voce.
In tanti dicono che la pace è impossibile, che questo conflitto non avrà mai fine. Lei che ha vissuto l’esilio, cosa risponderebbe?
La pace non è un dono, ma un cammino. Se non possiamo incontrarci sulla terra, incontriamoci nei sogni. Io scrivo perché immaginare un futuro diverso è già un atto di resistenza.
La sua poesia è sempre stata legata all’identità, alla patria, all’esilio. Che cos’è la patria per un palestinese oggi?
La patria non è solo confini e mappe. La patria è il pane che sforna mia madre, l’albero che non posso toccare, il nome che porto. La patria non è soltanto un luogo che perdi: è un luogo che ti abita dentro, anche quando sei lontano.
Cosa direbbe ai giovani palestinesi e israeliani che oggi crescono conoscendo solo guerra e paura?
Direi: ascoltate le vostre madri quando cantano, non i politici quando gridano. Nel pianto dei bambini non ci sono bandiere. La poesia è l’unica arma che non uccide: usatela per raccontarvi, non per ferirvi.
Il vento muove le pagine del suo quaderno. Darwish alza lo sguardo e sussurra: “Chi sogna non muore. Forse la pace nascerà prima nei versi, e solo dopo nelle strade.”
Antonello Rivano

