Mar. Dic 3rd, 2024

“Chi sono i viaggiatori?”: Sicilia, storie di viaggi e cultura. Mohammed e l’ultimo “ciliegino”

Chi sono i migranti, i veri viaggiatori? Me lo sono chiesta più volte. E non riuscendo ad approcciarmi alle loro questioni con il giusto atteggiamento distaccato di chi scrive, e avendoli vissuti e incrociati in giro per il mondo, ho deciso di raccontare semplicemente le loro umili storie. Non sono testimonianze di riscatto o di sofferenza forzata. È la loro esperienza di vita, che un giorno ha incrociato me, in una banale giornata in un qualsiasi posto. Noi, perfetti sconosciuti in terra straniera.

“Chi sono i Viaggiatori?” vi racconterà ogni mese un aneddoto, una piccola storia che trova riscontro nella cronaca moderna. Vi accompagnerà in un breve viaggio per il solo gusto – ambizioso – di farvi sentire parte di esso.

Mohammed sta raccogliendo l’ultimo ciliegino della stagione. Le serre a breve saranno smontate, il nylon sarà conservato e la terra nuovamente arata per prepararsi alla nuova semina. È il lavoro più antico, più umile e, al tempo stesso, signorile del mondo. Quello del contadino. E Mohammed a Pachino – una cittadina di poco più di 22.000 abitanti della provincia di Siracusa in Sicilia, conosciuta in tutto il mondo per la produzione di pomodoro doc – ha intrapreso questo mestiere quasi 7 anni fa. Quando insieme a parenti, amici e compagni è partito da Tunisi ed è sbarcato nel porto di Portopalo di Capopassero. Un viaggio fortunato, il suo: è arrivato sano e salvo. Era estate, e sulle spiagge della costa mediterranea bagnanti e turisti osservavano pescherecci dai colori vivaci avvicinarsi sempre più alle sponde di Siciliane. Barche un tempo dedite alla pesca, si sono trasformate all’occorrenza in agglomerati di sogni trasportati come carri di bestiame. Di quel viaggio Mohammed non ne vuole parlare. La sua nuova vita ora è fatta di levate alle 3 di notte per recarsi al lavoro e di lunghe passeggiate. Di soste al bar della piazza e file alla macelleria musulmana. Lavora per e con Salvatore, siciliano doc, coltivatore e produttore di pomodoro. Insieme ad altri agricoltori portano avanti l’economia di un territorio basato sulle attività agreste. Attività che molti giovani d’oggi non vogliono più intraprendere e che senza la forza lavoro di queste persone molto probabilmente non avrebbero visto un’altra alba nascere.

Non ha ricordi della sua vecchia vita. La sua esistenza appartiene e vive a tre isolati dalla Chiesa Madre. Venti anni fa Pachino era completamente diversa. Il turismo non aveva ancora invaso i bellissimi scenari paesaggistici selvaggi e tropicali, la domenica si andava a messa e la piazza era dei paesani. Questo è ciò che si sente dire spesso per le salite e di- scese della città: “La piazza prima era nostra, ora non più.” “Si sono presi il nostro lavoro e i nostri negozi”. Dove prima Carmelo serviva caffè dalle sette del mattino ora c’è Aamir. Anche lui prepara caffè, ma lo fa solo per la sua “gente”. Le ostilità nate da ciò che viene considerata un’invasione non ha permesso alla vecchia guardia di pensare alla comparsa delle diversità come ricchezze acquisite. Sono pochi i giovani rimasti a inseguire le orme e le attività dei loro padri, le teste chinate sotto le serre appartengono a corpi tunisini, marocchini, libanesi. Da due anni anche i supermercati, le gastronomie si sono specializzate e diversificate. Ma c’è anche chi prende posizioni scostanti da questi comportamenti ostili, e cerca in qualche modo di aiutare il processo di integrazione mediante attività lavorative e ludiche.

L’anatomia di un territorio non è mai stata la stessa da quando la terra ha fatto la sua comparsa nel sistema solare. Turchi, ebrei e cristiani in Sicilia hanno costruito una grande civiltà e hanno lasciato una ricca eredità storica che ora appartiene ai Siciliani e ai nuovi immigrati, che ogni anno sbarcano sulle nostre coste e lasciano tracce. Come quelle ammassate sulle rocce alte del porto di Portopalo. Un cimitero di navi, le cui stive e i cui ponti hanno accolto storie di esseri umani, e ora giacciono lì a ricordare il loro passaggio.

Come in un’altra qualsiasi città italiana, l’immigrazione ha cambiato l’aspetto culturale e urbano di Pachino. Non solo i bar, gli alimentari, il lavoro, ma una nuova realtà che si dipinge di colori diversi, tanti sono quelli delle etnie che abitano il suolo. Multiculturalismo, tradizioni e innovazioni coesistono all’ombra di quei barconi colorati e danno vita a una nuova Cultura. Laddove è bene ricordare che il termine Cultura deriva dal verbo latino colere, “coltivare”: coltivare il cambiamento della società, modificare e arricchire le proprie conoscenze, e dopo la fine dell’estate rimboccarsi le maniche e preparare la terra prima dell’arrivo di una nuova staggiuni.

Fedora Alessia Occhipinti

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