
La solitudine dei numeri Covid
La grande solitudine che si nasconde dietro i numeri della pandemia.
Dietro i preoccupanti numeri della pandemia c’è una grande solitudine. La solitudine dei numeri covid: degli asintomatici, dei positivi, di coloro che, ricoverati nei reparti di terapia intensiva, lottano tra la vita e la morte.
Ma c’è anche la solitudine dei parenti e dei legami affettivi che rimangono isolati dai propri cari. I numeri vengono quotidianamente snocciolati dai media, inesorabilmente, e contestualmente vengono arginati da Dpcm che delimitano le azioni che potrebbero veicolare il virus. E’ corretto. La salute viene al primo posto. Guai abbassare la guardia.

Subito dietro la salute c’è l’economia e, contro il disagio, la sofferenza e il danno di chi si trova nel lavoro economicamente penalizzato da questa situazione, il governo e le regioni hanno messo in campo risorse e strategie almeno per arginare uno stato di fatto. Ma per l’aspetto psicologico e affettivo delle famiglie di persone con grave disabilità che cosa si sta facendo? Parlo della solitudine di familiari che non riescono più ad avere contatto con i propri cari ricoverati in strutture di lungoassistenza, case di cura e altro.
C’è una solitudine psicologica e affettiva che sta minando la salute dei caregivers e che non può essere alleviata dall’alfabetizzazione digitale con contatti da remoto, chat sugli smarphone e altro. Le associazioni dei familiari in tutta Italia si sono mobilitate per accogliere le istanze dei loro assistiti, raccogliere sollecitazioni, bisogni e cercare soluzioni che a tutt’oggi, dato anche l’aggravarsi della situazione, non si sono ancora trovate.
L’Istat stima in Italia oltre 4 milioni di persone con disabilità e non autosufficienti. La loro condizione è oltremodo difficile e ancora più compromessa in un periodo in cui il distanziamento sociale non permette di svolgere quelle attività di sostegno e di erogare quei servizi indispensabili per la qualità del loro stile di vita.
L’interruzione del contatto e della prossimità che il covid-19 ha introdotto nella nostra vita di relazione ha avuto influenze oltremodo negative in tutti quei contesti di cura dove, in nome della sicurezza della persona ricoverata, è stata negata o messa in pericolo quella vicinanza umana e affettiva di cui tutti abbiamo bisogno.
Siamo tutti consapevoli del periodo che viviamo e abbiamo a cuore la tutela della salute di tutti i cittadini, comprese le persone fragili e il loro ambito familiare. Il covid, però, oltre che un problema, può essere anche una risorsa perché ci costringe ad assumere nuove regole e a ripensare un nuovo apporto per coloro che sono prossimi ai loro cari e che con un apporto costante consentono di condividere e alleviare il loro quotidiano, contribuendo a ricostruirlo.

Nell’esperienza maturata all’interno della Casa dei Risvegli Luca De Nigris struttura postacuta dell’Azienda Usl di Bologna in convenzione con l’associazione Gli amici di Luca abbiamo sperimentato il patto di cura tra personale sanitario, non sanitario, familiari e mondo del volontariato. Si tratta di una alleanza terapeutica che nel sistema di cura comprende la famiglia e le permette di avere un ruolo nel periodo di convivenza con la malattia e nel percorso futuro degli esiti. Da qui e da questi modelli bisogna ripartire.
Cercando di mettere tutti in sicurezza. In Emilia Romagna nei prossimi giorni dovrebbero arrivare i tamponi antigenici rapidi che, somministrati anche ai familiari, potrebbero permettere loro, nelle case di cura, di entrare ed essere vicini ai loro cari.
Mi auguro davvero che sia così e che attraverso questi test sia permesso anche in altre regioni di superare questo scoglio che non permette quella sana vita di relazione e quell’equilibro psichico di cui si sente l’estremo bisogno, anche quando si ha a che fare con una persona fragile. Si è parlato tanto del ruolo delle cure palliative contro la solitudine nel morire, del morire soli senza affetti. Le associazioni che si occupano di gravi cerebrolesioni acquisite hanno sottolineato, nel percorso di vita, l’importanza dell’accompagnamento di una persona cara nel disagio di una malattia invalidante e nella disabilità a lungo termine. Oltre la paura, oltre le divisioni, c’è bisogno di fare rete e di partecipare a tavoli multidisciplinari dove clinici e associazioni, rappresentanti del governo ed enti locali possano trovare nuove formule urgenti e adeguate al periodo che stiamo vivendo. Per vivere distanti ma in contatto, vicini in sicurezza.
Fulvio De Nigris*
* Direttore centro Studi per la Ricerca sul Coma “Gli amici di Luca” nella “Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna”