Tutti contro tutti
Cosa ha pensato la politica delle periferie? Come se le immaginava? Cosa pensava di farne?
Per un po’ ha funzionato il “a ciascuno il suo quartiere”, o meglio la sua periferia, adesso, complice il Covid19, sta saltando il tappo. Oggi le periferie urbane e le sacche di degrado, anche dei centri storici, sono i luoghi in cui la crisi sociale si salda. Bisognava rigenerare le città, tenere insieme tutte le complessità presenti: processi economici, abbassare il disagio sociale, migliori condizioni ambientali, alzare la qualità della vita degli abitanti di quei luoghi, investire per sostenere e valorizzare risorse culturali. Senza ciò sarebbe stato inesorabilmente declino fisico e sociale, e così è stato. Si è perso, nelle città, la percezione del tutt’uno. Non è ancora così nei piccoli luoghi, forse.
Come già ci aveva allertato Bergoglio, la gerarchia dello sguardo si è invertita: le periferie ormai precedono il centro, facendone una questione di vita o di morte. E’ cominciato quel processo di inversione e stiamo arrivando a un punto di post periferie.
Cosa ha pensato la politica delle periferie? Come se le immaginava? Cosa pensava di farne?
Avevamo tutto il tempo per muoverci e agire ed è in quelle che comunemente designiamo quali periferie che sono avvenuti i primi cambiamenti e non aver saputo coglierli è stato peccato mortale.
I disordini di questi giorni, questa sorta di disobbedienza civile, queste rivolte, che non sono rivoluzioni, non stanno portando che ad analisi superficiali e sottovalutazione degli incidenti stessi. Fra poco si perderanno anche le ragioni dei disordini, sarà un tutti contro tutti. Si continua a narrare con parametri vecchi (destra e sinistra, antagonisti e delinquenza) e non si riesce a capire che il fenomeno è altamente e pericolosamente variegato: le seconde e terze generazioni di immigrati (in attesa perenne dello ius soli), la sacca dei problemi economici e del mercato del lavoro irrisolti, il lavoro nero che si blocca, gli Enti che non riescono a dare risposte adeguate, la mancanza di certezza delle regole e di parametri da seguire, e poi potrei elencarne mille altre di ragioni.
E sbaglia chi pensa che scoppi il Sud, anche questa è una certezza che non c’è più.
Il tema è sempre lo stesso: non abbiamo una classe dirigente all’altezza della contemporaneità e soprattutto vive fuori dalla realtà.
Non vi sono altre soluzioni che prepararsi a un processo complesso che passa attraverso percorsi di conflitto e discontinuità con il passato, per costruire una nuova classi dirigente e tutti, ma proprio tutti, dobbiamo auspicarci che non sia frutto di violenze di alcun genere.
Non avrei mai voluto affermare che alcuni lo avevano già detto e previsto, ma si cambia tutti e quindi lo si fa.
Mimmo Oliva
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