Mer. Feb 19th, 2025

Trump: il presidente che voleva essere “l’invitto”

Ritratto di Donald Jhon Trump, 45° presidente degli Stati Uniti d’America, l’uscente che non voleva uscire.

di Raffaella Grimaldi

Un bambino ferito che non accetta la sconfitta tenta in tutti i modi di cambiare l’esito del gioco. Strepita, sbraita, mette il broncio, e tenta di far valere le sue ragioni con i “ma e perché”, con i “se e però”. Così, pazienti, i compagni di gioco rievocano gli ultimi passaggi, li analizzano, li studiano, li riguardano al rallentatore, insieme. Scacco matto, game over, ritenta, sarai più fortunato. È così che, infine, dinnanzi ai fatti, anche il bambino più riottoso e contestatore china il capo e accetta la sconfitta. Triste e mesto, ancora con il broncio, si rintana nel suo silenzio e nella sua dignità di infante scontento e sconfitto.

È così che l’animo umano generalmente funziona, fin da quando, il bambino si avventura nella socialità e inizia a sfidare i suoi compagni in gioco. È così che, bene o male, funzioniamo tutti. Tutti tranne uno. Tutti tranne lui: Donald Jhon Trump, 45° presidente degli Stati Uniti d’America, finalmente, presidente uscente.

Era il 3 novembre 2020 quando si sono svolte le 59e elezioni presidenziali negli Stati Uniti e il popolo statunitense è stato chiamato ad eleggere il suo nuovo presidente. A contendersi la carica il candidato repubblicano, Donald Trump e il democratico Joe Biden. Dopo un vantaggio iniziale di Trump, Biden recupera terreno negli Stati chiave, come Michigan, Wisconsin e Midwest (stato che nel 2016 portò Trump alla Casa Bianca), dopo l’inizio del conteggio dei voti per posta. Già qui, il caro Trump, inizia ad esprimere il suo malcontento. Proseguendo con lo spoglio, Stato dopo stato, scheda dopo scheda, i numeri si configurano a favore di Biden. La partita è ancora in sospeso, e fino ai risultati provenienti dagli ultimi Stati è imprudente pronunciarsi. Infine, il responso, l’amara verità che il tycoon fatica a digerire: Biden viene eletto presidente.

Donald Trump "presidente uscente" e Joe Biden "presidente eletto"
-Donald Trump “presidente uscente” e Joe Biden “presidente eletto”(wegather.it)-

Biden intasca la vittoria ottenendo il consenso di 306 grandi elettori contro i 232 a favore di Trump, con una percentuale del 56,9% contro i 41,3%. 81 283 485 con esattezza voti per Biden, mentre 74 223 744 per Trump, con uno scarto di poco più di 7 milioni.

Cosa fa generalmente un candidato sconfitto? Mette su un discorso di commiato, tira le somme, ringrazia i sostenitori ed esce di scena. E per uscire di scena Trump avrebbe dovuto letteralmente fare le valige e lasciare la Casa Bianca, per far spazio al suo successore.

E invece no. È qui che finisce lo show ed inizia il dramma shakespeariano (come riporta la stampa). “Sono state le elezioni più truccate mai viste, una frode assoluta” –“Abbiamo moltissime prove sul fatto che sia stata la più grande frode elettorale della storia americana” – le prime pesanti accuse al sistema elettorale che Trump scaglia adirato, incapace di accettare la sconfitta, e deciso a scovare gli ipotetici misfatti.

Trump non solo non accetta di aver perso, ma inizia la sua battaglia contro eventuali brogli elettorali, gettando ombre sulla regolarità degli spogli nei diversi Stati. Da subito l’annuncio che si sarebbe passati a vie legali per recuperare i voti rubati. Crea il mito della stolen Election e accusa gli avversari di Frode.

Tra riconteggi e conteggi bloccati Trump tenta di sovvertire l’esito delle elezioni. Niente da fare. La storia tramanda che raramente, in tutti i casi, un secondo conteggio ha cambiato l’esito di un’elezione, e che per farlo sono necessari migliaia di voti, non poche centinaia.

-La mappa della vittoria di Biden-
-La mappa della vittoria di Biden-

Il sistema elettorale americano, nella sua complessità, ha dei punti fermi e delle scadenze da rispettare. Tic toc, il tempo scorre. Trump non vacilla e mantiene salda la sua posizione di eroe tragico al quale è stata ingiustamente sottratta la vittoria, continuando ad indossare le vesti tragiche di King Lear.

L’8 dicembre è stato il termine ultimo per i riconteggi, per risolvere eventuali controversie, per le cause nei tribunali e per l’eventuale ricorso alla Corte Suprema.

 Il 14 dicembre è il giorno dedicato al collegio elettorale formato da 538 grandi elettori. Ogni candidato, Stato per Stato, ha scelto quali grandi elettori dovranno rappresentarlo nel collegio. I grandi elettori riuniti in questa data votano per il candidato che li ha scelti. I grandi elettori che tradiscono il candidato che li ha scelti vengono chiamati “elettori infedeli” (caso raro).

Il 14 dicembre 2020 i grandi elettori confermano l’elezione di Joe Biden.

Il 3 gennaio, invece, è la data di insediamento del Congresso.

Ci avviciniamo ai fatti più recenti, a quella che è stata definita la pagina più buia della storia della democrazia americana. “Un tentativo di insurrezione”, secondo Biden, un voler sovvertire e scavalcare tutti i capisaldi della democrazia statunitense, intaccare nel profondo il sistema, in barba ai principi della costituzione e ai padri fondatori.

-Assalto al congresso (rsi ch)-

Del resto Trump verrà ricordato dalla storia per questo. Tinte cupe hanno configurato il suo ritratto nel corso degli anni. Da business man sull’orlo del tracollo finanziario a show man di successo a presidente della più grande potenza mondiale. Forse ciò che gli riesce meglio sono proprio gli show, le sue manfrine, i discorsi della retorica sensazionalistica dello “Huge, Best, Fantastic”(immenso, migliore, fantastico), gli slogan (Make America Great Again – rendiamo l’America di nuovo grande). Un presidente che prende alla leggera temi importanti, che ridicolizza una pandemia, che fa parlare di sé per come ha creato una sua “presidenza privata” (dall’omonimo titolo di Giovanni Borgognone). Le tinte fosche con le quali viene molto spesso ritratto si trasformano in veri e propri insulti provenienti addirittura dalla sfera familiare: “sociopatico, pericoloso e bugiardo” le accuse rivolte da sua nipote, la psicologa Mary L. Trump, nel suo libro “Too Much and Never Enough, How My Family Created The World’s Most Dangerous Man”(Troppo e mai abbastanza, come la mia famiglia ha creato l’uomo più pericoloso del mondo).

Direi che intorno alla sua figura si è configurata col tempo, una vera e propria letteratura. La stampa italiana degli ultimi giorni si è sbizzarrita con titoli ed “epiteti” a lui dedicati, tutti appellativi che hanno centrato il cuore narcisista del presidente e il suo ego che cerca adorazione e proseliti. “Narcisista impunito che si crede onnipotente”, titolo della Repubblica dell’8 gennaio, nell’articolo di Gabriele Romagnoli, e ancora “narcisista che si credeva un profeta”,” sindrome nel narcisismo maligno”, riferimenti al “mondo parallelo del trumpismo nutrito di folli teorie cospirative e di cultura della violenza” (Il corriere della sera, ed. del 7 gennaio, da “L’ora buia delle armi” di Giuseppe Sarcina).

In molti, inoltre, avevano previsto una reazione poco felice, per usare un eufemismo, nell’eventualità della sconfitta di Trump. Gartner aveva predetto che “avrebbe fatto molto male all’America, e consapevolmente”.

E questo male è arrivato il pomeriggio del 6 gennaio 2020, data che resterà nella storia, come l’ora buia dell’America. Un golpe alla democrazia americana, un tentativo di mandare in cortocircuito il sistema, o meglio un cortocircuito di cervelli fomentato dai discorsi di Trump, tentativo sfociato in episodio di violenza.

Il 6 gennaio che segue le elezioni presidenziali il Congresso degli Stati Uniti d’America, riunito nella storica sede di Capitol Hill, è chiamato a ratificare l’elezione del nuovo presidente, garantendo la validità dei voti dei grandi elettori. Ed è proprio in questo frangente, che il 6 gennaio scorso, sostenitori di Trump, giunti da diversi Stati, hanno iniziato ad occupare i prati intorno a sud della Casa Bianca in segno di protesta. Scopo era quello di bloccare la ratifica della nomina di Biden a presidente.

Tale protesta è stata preceduta dalla contestazione del voto dell’Arizona da parte di un gruppo di repubblicani guidati dal texano Ted Cruz. Alle spalle di tutto ciò la campagna di delegittimazione delle istituzioni federali da parte dello stesso Trump, il quale la mattina del 6, con un discorso infervorato, ha mosso accuse e fatto nomi di chi stava ostacolando la sua lotta per ribaltare le votazioni. Poi, il silenzio. Trump ha lasciato che i suoi sostenitori facessero il resto assaltando la sede del Congresso e bloccando la riunione in corso.

I QAnon, i Boogaloo e i Proud Boys, alcuni dei gruppi della milizia di trumpiani che ha assaltato il Congresso. Si tratta di estremisti e suprematisti che credono in teorie complottiste, alcuni di origini neonaziste e altri organizzati come veri gruppi armati.

Ed è così che il mondo ha assisto a scena mai viste prime: la folla di manifestanti che sfonda la flebile barriera di difesa del Congresso, assalta le guardie, rompe vetri, scardina porte e si infiltra nello storico edificio. Ciò che è accaduto dentro ancora più deplorevole: il volersi prendere gioco delle istituzioni saccheggiando e depredando le diverse sale storiche e il farsi ridicoli selfie nel mentre. Spaventati e attoniti i parlamentari, tutti, fortunatamente messi prontamente in sicurezza. 

Un tentativo di ribaltare le sorti dell’America e interrompere il corso della democrazia che definirei becero, violento e poco colto. Il voler prendersi beffa delle istituzioni con gesti degni dei peggiori film comici. Al quadro di bassezza, purtroppo si aggiungono il vandalismo e la violenza nella quale si è sfociati. 5 le persone che hanno perso la vita nell’assalto, 13 i feriti e 52 gli arresti.

Scene assurde, dunque, ai limiti dell’inverosimile. Davvero un “branco” di persone, fomentate dai discorsi maniacali di un folle, pensava di poter sovvertire l’esito delle elezioni e impedire al sistema democratico di funzionare correttamente?  Le scene dell’assalto al Campidoglio alle quali il mondo ha assistito il 6 gennaio hanno dell’assurdo e dell’inverosimile. Azioni da non riproporre nemmeno nel peggior degli action movies.

-Twitter “cancella” l’account di Donald Trump (Avvenire)-

Purtroppo è realtà. È ciò che è successo e la storia deve prenderne atto. Bisogna prendere atto che il delirio di onnipotenza di uno uomo, la sua retorica, il suo amore per una comunicazione social a suon di tweet hanno fomentato migliaia di persone e incanalate nella forma peggiore di protesta.

Trump è riuscito ad instillare il dubbio, a creare una spaccatura reale nell’elettorato americano, facendo leva sulle mancanze e debolezza di un’America talmente eterogena in cui ci sarà sempre una fascia di popolazione insoddisfatta e che non si sente rappresentata dai vertici del momento. Pesante l’eredità lasciata a Biden, con una bella crepa da risanare.

E proprio i canali che Trump ama tanto, hanno deciso di chiudergli le porte, o meglio la bocca e gli account. Sia Twitter, che Facebook che Youtube, in seguito ai fatti del 6, hanno bloccato gli account di Trump, per permetter una pacifica transizione verso una nuova presidenza.

L’assalto a Capitol Hill è stato interrotto grazie allo spiegamento della Guarda Nazionale voluto da Mike Pence, il vice di Trump che già in precedenza si era distaccato dalle posizioni del presidente uscente.

L’atto vandalico è stato condannato e criticato da i leader di tutto il mondo, dai vertici delle istituzioni Ue dagli ex presidenti Usa, ancora in vita.

I lavori al Congresso sono ripresi dopo ore di interruzione. La macchina democratica ha ripreso a lavorare e Biden confermato il 46° Presidente eletto.

Nella lotta tra il bene e il male, il bene, alla fine ha vinto, scavalcando la hybris (tracotanza) di un uomo che ha dimostrato di non conoscere tale differenza, che nei suoi giochi di potere desiderava di restare per sempre l’invitto, il non sconfitto.

Raffaella Grimaldi

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