Sab. Apr 20th, 2024

Ritorna più che mai attuale l’appello, accolto e rilanciato da 150 professionisti del cinema e dello spettacolo, che Pupi Avati rivolse alla RAI già dal marzo del 2020

In un momento in cui si discute, con cinema e teatri chiusi a causa della pandemia, se allestire il Festival di Sanremo con o senza pubblico, torna alla mente la lettera, pubblicata su LA STAMPA lo scorso mese di marzo, che Pupi Avati indirizzò alla RAI.

L’appello convinse il mondo del cinema e dello spettacolo a scendere in campo compatto per richiedere un cambio di passo nella programmazione delle tv di Stato. 

L’appello dei centocinquanta

Oltre 150 professionisti del settore, inviarono al Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, al Presidente della Camera Roberto Fico e al Ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini, una missiva in cui richiedevano «la sensibilizzazione sul ruolo del Servizio Pubblico Televisivo nell’emergenza Covid-19: «Riteniamo – scrivevano  i firmatari della lettera inviata dall’Associazione Nazionale Autori cinematografici – che il servizio pubblico televisivo, uno dei più efficaci strumenti di comunicazione nelle mani dello Stato, possa essere ancor più opportunamente utilizzato per far sentire la sua vicinanza ai cittadini in questo difficile frangente». L’ideale sarebbe tato, secondo gli autori del documento, ottenere una sorta di «moratoria alle logiche dell’audience e delle inserzioni pubblicitarie» per modificare e adeguare i palinsesti sulle tre reti generaliste «in modo da dare al Paese l’opportunità di affrontare i disagi di questa Quaresima di quarantena con una più consistente, valida e selezionata offerta di cultura». ​ (fonte: LA STAMPA)

-Alberto Manzi-Non è mai troppo tardi (1960/1968)-

Dopo quasi un anno, e alla luce dei fatti, è evidente che nulla di tutto questo è stato preso in considerazione, né tantomeno fatto.


Questi appelli sono stati rivolti a quella stessa RAI che, in un tempo oramai lontano, propose una DAD ante litteram con il maestro Alberto Manzi e il suo “Non è mai troppo tardi”, rendendosi protagonista dell’alfabetizzazione del Paese e della sua unità linguistica. Quella RAI che, in tempi così complicati culturalmente e socialmente, il sabato sera, ci propina ora “Pacchi” con 300.000 euro da guadagnare solo grazie al cosiddetto “Fattore C”.
Ma forse il “pacco” più grosso è quello che viene rifilato a chi per questa offerta è “costretto” a pagare 100 euro l’anno.

-Affari Tuoi Viva Gli Sposi (2021)


La lettera di Pupi Avati

E piango e rido davanti alla televisione come piangono e ridono i vecchi, che è poi come piangono e ridono i bambini, cercando di fare in modo che mia moglie non se ne accorga. Fra i tanti che se ne sono andati un mio amico, Bruno Longhi, grande clarinettista milanese, che il coronavirus ha portato via senza tener conto della sua bravura, di come suonava Memories of you, meglio di Benny Goodman. E’ il primo periodo della mia vita in cui anziché abbracciare vorrei essere abbracciato. Mi manca persino quella specie di bacio notturno con il quale auguro la buonanotte a mia moglie e che lei giustamente mi ha vietato. Dormo di più la mattina, nel silenzio profondo, cimiteriale di una città morta, appartengo anagraficamente alla categoria di quelli più svelti a morire. Ma in questo sterminato silenzio, che è sacro e misterioso e che ci fa comprendere la nostra pochezza, la nostra vigliaccheria, ci commuove la consapevolezza dei tanti che stanno mettendo a repentaglio le loro vite per salvarci. questo stesso silenzio sarebbe opportuno per i tanti che destituiti di ogni competenza specifica continuano a sproloquiare saltapicchiando da un programma all’altro privi di ogni pudore, di ogni senso del limite. Coloro che con tanta solerzia, con tanta supponenza, ci hanno accompagnato nel corso degli ultimi decenni appartengono al Prima del Coronavirus, quando era possibile il cazzeggio. Ora, se usciremo da questa esperienza, dovremo farne tesoro, dovremo trovare un senso a quello che è accaduto, soccorrendo le tante famiglie di chi ha pagato con la vita, aiutando a superare le difficoltà enormi, spesso insormontabili, nelle quali si troveranno i più, impegnandoci tutti a sostituire il dire con il fare, come accadde dopo la liberazione.

Quello che provo somiglia a quando al cinematografo negli anni cinquanta si rompeva la pellicola e accadeva che venivi scaraventato fuori da quella storia che era stata capace di sottrarti allo squallore del tuo quotidiano. Rottura accolta da un boato di delusione simultaneo all’accensione improvvisa di luci fastidiose. Me ne restavo seduto, stretto in me stesso, cercando di tenermi dentro il film, “dimmi quando ricomincia “dicevo a mia madre tenendo gli occhi chiusi e pregando perché quelli su in cabina si sbrigassero a riattaccare la pellicola. Perché fossi restituito al più presto a quel magico altrove. Ecco questo tempo che sto vivendo che non somiglia a niente, è un pezzo della mia vita che vivo con gli occhi chiusi, in attesa di poterli riaprire. E quel mondo che si sta allontanando, che non tornerà più ad esserci, che non piaceva a nessuno, del quale tutti si lamentavano, eppure temo che di quel mondo proveremo una crescente nostalgia.

E allora mi chiedo perché in questo tempo sospeso, fra il reale e l’irreale, come in assenza di gravità, i media e soprattutto la televisione e soprattutto la Rai, in un momento in cui il Dio Mercato al quale dobbiamo la generale acquiescenza all’Auditel, non approfitti di questa tregua sabbatica di settimane, di mesi, per sconvolgere totalmente i suoi palinsesti dando al paese l’opportunità di crescere culturalmente. Perché non si sconvolgono i palinsesti programmando finalmente i grandi film, i grandi concerti di musica classica, di jazz, di pop, i documentari sulla vita e le opere dei grandi pittori, dei grandi scultori, dei grandi architettila lettura dei testi dei grandi scrittori, la prosa, la poesia, la danza, insomma perché non diamo la possibilità a milioni di utenti di scoprire che c’è altro, al di là dello sterile cicaleccio dei salotti frequentati da vip o dai soliti opinionisti. Perché non proporre quel tipo di programmazione che fa rizzare i capelli ai pubblicitari! Perché non approfittiamo di questa così speciale opportunità per provare a far crescere culturalmente il paese stravolgendo davvero i vecchi parametricontando sull’effetto terapeutico della bellezza? Il mio appello va al presidente, al direttore generale, al Consiglio di amministrazione della Rai affinché mettano mano a un progetto così ambizioso e tuttavia così economico. Progetto che ci faccia trovare, quando in cabina finalmente saranno stati in grado di aggiustare la pellicola, migliori, più consapevoli di come eravamo quando all’improvviso si interruppe la proiezione. E potremo allora riaprire gli occhi.

Pupi Avati

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La redazione di PSA Magazine

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