Dante Alighieri. Il suo tempo, la modernità
Nell’ambito del settecentesimo anniversario dalla morte di Durante “Dante” Alighieri, l’Italia si prepara a vivere l’evento con tante iniziative.
Settecento anni di vita e di “Commedia”, analizzati in due recenti libri tra i tanti pubblicati sulla sua figura.
Di Anna Maria Noia
Nell’ambito del settecentesimo anniversario dalla morte di Durante “Dante” Alighieri, l’Italia si prepara a vivere l’evento con tante iniziative.
Il padre della lingua italiana non sarà “accantonato”, dai suoi “figlioli”. Siamo tutti grati al Sommo , per i messaggi (spesso accorati e struggenti) e le sferzate di dignità che ha voluto seminare in tutte le sue opere, ed ,in particolare, nella Commedia. Denominata dal coevo e conterraneo Giovanni Boccaccio “divina.
Tra le opere più recenti, dedicate all’ Alighieri, ricordiamo “A rivedere le stelle. Il poeta che inventò l’Italia” di Aldo Cazzullo , Mondadori; “L’Italia di Dante. Viaggio nel Paese della Commedia” , a cura di Giulio Ferroni, per i tipi de “La nave di Teseo”; “Dante”, di Alessandro Barbero, di Laterza editori.. Tra gli autori più versatili e appassionati del “ghibellin fuggiasco” – a detta del poeta Ugo Foscolo, sebbene Dante fosse un guelfo bianco – annoveriamo anche l’ingegnere aereonautico casalbuonese Michele Antonio Averardo, autore di un pregevole ed agile volumetto: “Le tre faville c’hanno i cori accesi. Superbia, invidia, cupidigia e gli altri vizi capitali nella Divina Commedia”; Pubblicato da una dinamica e giovane casa editrice di Mercato S. Severino , la “Paguro” di Michele Citro e dei suoi collaboratori.
Prefazione a cura della responsabile della società “Dante Alighieri”, comitato di Salerno: Pina Basile; docente presso UNISA. In realtà, questo libro è del 2019 – ma è sempre attuale e inserito nei contesti culturali ispirati al Sommo; consta di 144 pagine, dense di spiegazioni semplici e divulgative. Con delle tesi molto puntuali ed acute, riguardo i principali peccati capitali che per Dante sono: superbia, invidia ed avarizia.
Per Antonio Michele Averardo questa è la sua opera prima, l’autore si è sempre dimostrato appassionato delle tre cantiche dantesche; in particolare ha avuto la costanza di imparare a memoria gran parte dei canti della Divina.
Il pregevole volumetto di Averardo è molto ‘intenso’, tuttavia si tratta di un ‘opera matura ed affabulatoria. L’argomento è trattato con intelligenza, ironia e passione; ciò invoglia ed invita alla lettura anche i profani e i più… “refrattari” o meno amanti dei libri. All’interno prevale l’interessante tesi dell’ingegnere aereonautico Averardo, ricco di competenza e di versatile poliedricità. Lo esprime al meglio anche la linguista Pina Basile, nell’ambito della prefazione al testo. In evidenza, i tre peccati che secondo la visione dantesca “partoriscono” gli altri peccati capitali (mortali). Nel sonno della Fede, che il Sommo descrive nell’incipit della Commedia, (“mi ritrovai per una selva oscura, che la dritta via era smarrita”) il poeta fa la conoscenza delle tre fiere. Esse rappresentano queste prime tre “faville”, cioè i mali primigeni donde scaturiscono gli altri peccati
Nell’opera di Michele Antonio Averardo vi sono continui rimandi alla classicità ma anche alla modernità e tanta padronanza dell’argomento. Sotto la lente l’aspetto morale delle prime due Cantiche. Il linguaggio è molto sicuro; le fonti sono ben conosciute dall’autore – come non manca di notare (e di far notare) la Basile nella sua prefazione.
Un altro libro molto ben scritto, particolare, leggibilissimo (godibilissimo) e davvero interessante – sempre su Dante – è quello, molto più recente (ultimi mesi del 2020), di Aldo Cazzullo. Inviato ed editorialista de “Il Corriere della sera”. L’incalzante e profondo libro ha titolo: “A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia” – Mondadori.
Un’amena lettura, non c’è che dire. Un fresco ritratto dell’Italia e dell’Italianità, di come la poesia e lo struggimento dantesco abbiano poi ispirato altri capolavori del genio appunto italiano. Quindi largo alla “modernità” e alla “contemporaneità” del Guelfo Bianco – sia pur superbo e/o (forse) lussurioso – secondo alcuni studiosi. Nel volume di Cazzullo vi sono tante curiosità – inerenti a Dante. Anche oscenità: addentrandoci nei ventisette capitoli di “A riveder le stelle”, vediamo – seppur idealmente – “abbondare” (lato tutto umano del poeta) espressioni colorite (oltre alle invettive) quali: “E del cul facea trombetta” (riferito al diavolo Barbariccia, che scorreggiava); “unghie merdose”; “fare le fiche” (cioè agitare le dita in maniera beffardamente oscena – come Vanni Fucci, a mo’ di dito medio) e tante altre.
Cazzullo sottolinea, inoltre, il desiderio da parte delle anime – anche nell’Inferno (tranne pochissime eccezioni) e in Purgatorio – di farsi riconoscere e, soprattutto, ricordare nel mondo terreno. Le anime penitenti chiedono per loro un buon ricordo’ – nonostante i peccati. E Dante è d’accordo, glielo concede con la sua opera.
Per concludere Dante è, a ragione, considerato il padre della lingua italiana. Come abbiamo visto nel libro, egli è anche padre dell’orgoglio e della dignità italiani; in vista dell’Umanesimo e, poi, del Rinascimento. Nel ‘De vulgari eloquentia’ egli indicava il dialetto toscano come lingua nazionale. Si fece portabandiera di una patria unita. Secondo Dante l’Italiano doveva possedere le seguenti caratteristiche: essere aulico (adatto a tenere sermoni in Chiesa); essere cardinale (cioè cardine intorno al quale ruotano gli altri dialetti); curiale (degno di essere parlato nella Magna Curia imperiale o in un tribunale) ed infine doveva essere illustre ( cioè ‘illuminare’ chi ne faceva uso e ‘ illustrare’ l’Italia).
E adesso, usciamo e torniamo… a “riveder le stelle”.
Anna Maria Noia
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