
25 Aprile. Storia e Memoria, il valore della Public History
Il 25 aprile segna il momento del riscatto di un paese, che, pur avendo indossato la camicia nera, aveva saputo strapparsela di dosso
di Maria Rosaria Anna Onorato
Nel celebre discorso svolto in occasione della Conferenza di Pace di Parigi il 10 agosto del 1946, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi richiamò un passaggio degli accordi siglati a Potsdam da Gran Bretagna, URSS e USA (17 luglio-2 agosto 1945), in cui si faceva riferimento alla condotta dell’Italia nella fase conclusiva della guerra. In quel testo si affermava: «l’Italia ha liberato se stessa dal regime fascista». Il senso del 25 aprile è tutto qui. Segna il momento del riscatto di un paese, che, pur avendo indossato la camicia nera, aveva saputo strapparsela di dosso.
Il 25 aprile 1945 ha segnato la conclusione di una drammatica vicenda iniziata con il fascismo e, nello stesso tempo, ha rappresentato e rappresenta il punto di partenza del processo di costruzione della democrazia italiana. Il 25 aprile, com’è noto, è il giorno dedicato alla festa della liberazione. L’individuazione di quella data quale festività civile fu sancita per la prima volta dal decreto legislativo luogotenenziale del 22 aprile 1946, n. 185, firmato dal principe di Piemonte Umberto di Savoia, nella sua qualità di luogotenente del Regno d’Italia, che, al primo articolo, recitava: ‘a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale’.

Solo nel 1949 (con la legge del 27 maggio, n. 260) il 25 aprile entrò a far parte stabilmente del calendario civile nazionale.
«Aldo dice ventisei per uno». Con questa frase si apriva il telegramma inviato il 24 aprile dal Comando militare piemontese del CLNAI a tutti i comandi partigiani di zona. Indicava, con una frase in codice, il momento in cui avrebbe dovuto avere inizio l’insurrezione: all’una di notte del 26 aprile. In realtà, il giorno 24 Genova era già insorta e a Milano si registravano i primi scontri tra le forze partigiane e i fascisti repubblicani. L’insurrezione era stata preparata da tempo e dall’inizio del mese di aprile circolavano le istruzioni da osservare in quella circostanza: gli insorti avrebbero dovuto preservare edifici pubblici, infrastrutture, impianti produttivi, in vista della ricostruzione materiale del paese. La mattina del 25 aprile, dai microfoni di radio Milano libera, la voce di Sandro Pertini, del CLNAI, annunciò lo sciopero generale: Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e Torino, ponete i tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire!

Se il valore storico e simbolico di una data come il 25 aprile 1945 nel processo di formazione dell’Italia democratica è evidente, le sue celebrazioni sono state (e lo sono ancora oggi) oggetto di valutazioni politiche differenti.
Al di là di ogni valutazione politica e di ogni uso strumentale di quella pagina di storia, l’eredità più tangibile della Resistenza, che giunse a compimento con il 25 aprile 1945, risiede nella Costituzione repubblicana. In tutte le scelte dei nostri padri costituenti (finanche in quelle lessicali) emerge in modo lampante la volontà di segnare una definitiva discontinuità con il passato fascista.

Lo spiegò bene un giovane Aldo Moro intervenendo nella seduta dell’Assemblea costituente del 13 marzo 1947:
‘Non possiamo […] fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. […] Perché questa Costituzione oggi emerge da quella Resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della Resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale’.
Dalla storia alla canzone
‘Bella ciao’ uno dei canti popolari italiani più famosi al mondo, si è diffuso nel secondo dopoguerra e nel tempo è stato ripreso da una serie tv, passando per tanti movimenti di protesta. Di autore sconosciuto, ‘Bella ciao’ divenne l’inno del movimento partigiano italiano, anche se è diventata celebre e scelta come canto ufficiale soltanto dopo la Resistenza.
Le prime incisioni di “Bella Ciao” per come la conosciamo oggi, si devono a Sandra Mantovani e Fausto Amodei in Italia, e al cantautore francese di origine toscana Yves Montand. La prima volta è stata eseguita da Gaber, Maria Monti e Margot, nella trasmissione ‘Canzoniere minimo’ (1963. Fu poi pubblicata in 45 giri da Gaber nel 1965.

Tra le riedizioni più popolari in Italia ci sono quella del gruppo folk Modena City Ramblers e quella del gruppo ska Banda Bassotti. Una delle più popolari in Europa è, invece, quella eseguita dal musicista bosniaco Goran Bregović. Tra le ultime e più celebri rievocazioni del canto c’è certamente quella intonata dai protagonisti de ‘La casa di carta’, la serie di Netflix.
Concludiamo questa ‘ pillola’ di storia con le parole del Presidente dell’ ANPI di Milano, Roberto Cenati, che ha sottolineato come il 25 aprile “deve essere la festa di tutti, senza divisioni“ e che la lotta dei partigiani è “attuale così come lo è oggi la spinta a contrastare i nuovi nazionalismi, l’antisemitismo e la xenofobia. E’ una celebrazione che deve unire tutti gli italiani che credono nella libertà, nella democrazia e nei valori della Costituzione Repubblicana“.
Mentre scrivevo questo articolo ho appreso della morte di Milva, un’artista del nostro panorama musicale poco compresa. Sui social fioccano le rievocazioni delle sue esibizioni in RAI, tra le tante vi segnalo quella della ‘Canzonissima’ del 1971, in una trasmissione di musica leggera (Canzonissima era una gara tra cantanti), Milva presenta una versione di ‘Bella ciao’ come ‘canto delle mondine’. In quel contesto l’espressione “bella ciao” indicava, evidentemente la giovinezza che si perde e sfiorisce nel lavoro. Concludo con uno stralcio del testo interpretato da Milva nel 1971
‘Alla mattina appena alzata
o bella ciao bella ciao bella ciao, ciao, ciao
alla mattina appena alzata
in risaia mi tocca andar.
(…)Ma verrà un giorno che tutte quante
o bella ciao bella ciao bella ciao ciao ciao
ma verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà.»