“L’Italia è una Repubblica fondata… sull’aperitivo”
Seid, Saman, Camilla: cinquantasei anni in tutto, morti per motivi diversi, ma sicuramente in tutte e tre i casi qualcosa non ha funzionato.
Un suicidio, un delitto orrendo, un errore di valutazione. Nulla sembra accomunare la scomparsa prematura di questi tre ragazzi, ma è veramente così?
DI Antonello Rivano
Nei primi i due casi, diversi ma tragicamente simili, c’è la violenza della stupidità umana.
Per Seid si è trattato di una violenza non fisica, ma non per questo meno terribile: quella del razzismo, che non sempre è chiaramente attribuibile, palese, individuabile, ma mina e corrode le coscienze.
Saman, è stata invece vittima di un conflitto identitario, la sua occidentalizzazione che diventa colpa. Possiamo dire che Saman, diciott’anni, è stata dichiarata, dalla sua stesa famiglia: Colpevole di integrazione. Ma chi doveva cogliere i segnali, che sicuramente erano presenti, di queste due vittime “annunciate”?
Camilla è morta perché si è fidata, si è fidata di un vaccino discusso, si è fidata di chi lo ha somministrato, di chi ha deciso di fare un openday vaccinale per i giovani liguri, si è fidata di chi, contradicendo quanto detto poco tempo prima, ha dato l’ok ad AstraZeneca anche per i ragazzi. Probabilmente si è anche fidata di chi doveva valutare la sua patologia, incompatibile con gli effetti collaterali di AstraZeneca.
Una corsa a vaccinarsi, da parte dei giovani, che lo hanno fatto soprattutto per poter tornare a divertirsi e gioire, e proprio per questo andava ancor di più presa ogni precauzione perché non si trasformasse in dolore, ma erano molte le dosi di AstraZeneca ancora da smaltire, le tante che i “grandi” stanno rifiutando.
Mentre scriviamo c’è un rimbalzo di responsabilità tra Genova e Roma, ancora una volta è palese il fallimento dell’aver decentrato la Sanità, facendo in modo che le Regioni vadano sempre in ordine sparso anche su materie dove è in gioco la vita degli individui.
Alla fine dietro tutto c’è un mondo troppo intento a correre per badare ai particolari, anche se questi si chiamano razzismo, integrazione o negligenza sanitaria, un mondo in cui i giovani sono troppo spesso capro espiatorio della disattenzione e della cupidigia degli adulti.
Ma oltre a queste morti, a queste “vittime sacrificali”, ci sono altre cose che che preoccupano.
Fa paura, e allo stesso tempo fa pensare quella frase che è comparsa sulle testate liguri, subito dopo la notte dei festeggiamenti per la Liguria in Zona Bianca: “Abbiamo lottato per la libertà…come i nostri nonni”. Pure se contestualizzate, queste parole, sono state riportate come dette da ragazzi. Sono parole che sui social hanno fatto discutere, anche sul fatto se siano state veramente dette.
Forse dovremo partire dal contesto: Il countdown che Regione Liguria ha organizzato a Genova, Piazza De Ferrari, una sorta di festa di Capodanno Pandemico dove chi dovrebbe far rispettare le norme anticovid, ancora in vigore, in primis il divieto di assembramenti, era invece su un palco, sotto il quale quelle regole venivano infrante.
Ed ecco che anziché indignarci di quelle parole, “abbiamo lottato per la libertà, come i nostri nonni”, dovremmo cercare invece di capire perché si possa arrivare anche al solo pensarle. Forse è il concetto di “libertà” che non abbiamo saputo insegnare ai nostri ragazzi, così come quello di “razzismo” e “integrazione”. Qualcosa si è rotto, guastato, manca una coscienza storica e sociale.
Abbiamo lasciato credere che essere liberi significasse poter farsi un aperitivo, partecipare alla Movida, magari tirando pietre contro le forze dell’ordine, cosi come è accaduto a Genova quella stessa notte. Libertà non può solo voler dire avere un bicchiere in mano.
Qualcosa si è rotto, spezzato, nelle famiglie, nelle scuole. Noi “grandi”, anziché dare esempio di maturità, abbiamo pensato che era più semplice adattarci alla “civiltà” dell’aperitivo, aggrapparci alla “sindrome di Peter pan”, allontanarci dal nostro naturale ruolo di educatori.
Ed ecco che per “ripartire” si dà il segnale che si debba ricominciare di notte, spendendo ben sessanta mila euro pubblici per una “festa” che in realtà violava le norme anticovid.
Così il leader dell’opposizione del Consiglio Regionale della Liguria Ferruccio Sansa, sul suo profilo FB:… nella stessa settimana la Regione ha stanziato altri 60mila euro per la campagna pubblicitaria ReStart. In pratica un modo per fare propaganda a Toti&Company anche sfruttando la fine delle misure restrittive sulla pandemia. Fino alla grande festa in piazza De Ferrari, realizzata con risorse pubbliche, con Toti sul palco. COSI’ PERFINO LA GIOIA DEI RAGAZZI VIENE STRUMENTALIZZATA PER PORTARE CONSENSO A CHI COMANDA”.
I “ragazzi” che tanto abbiamo criticato in questa lunga Pandemia, che è ben al di là dall’essere finita, sono alla fine strumenti, e bersaglio, di propaganda elettorale e commerciale, perché essere “liberi di farsi un aperitivo e vivere la Movida”, significa alla fine “consumare” far girare soldi: ancora una volta il “dio danaro”, ancora una volta il “prostrarsi” a una economia fragile, basata su falsi bisogni e ancor più falsi, se non inesistenti, valori.
Ecco, forse ai ragazzi andava invece ricordato che si ripartiva ma non c’era nulla da festeggiare, che c’erano state 128.000vittime, che non avevano lottato per nessuna fantomatica libertà, né tantomeno avevano fatto i sacrifici dei loro nonni.
Andava magari ricordato loro che è bello poter stare assieme in un bar, ma lo è altrettanto impegnarsi perché non ci siano più Seid, e che le Saman vanno protette anche dalla nostra “civile” società. Andava loro ricordato che le lotte vere le devono fare per i loro diritti, perché l’Italia ritorni ad essere fondata “sul lavoro” e non più “sull’aperitivo”, un lavoro tutelato e non più sottopagato, che ritorni ad essere “nobiltà” e non “accettazione e sfruttamento”.
Dobbiamo noi “grandi” spiegare loro che un altro mondo è possibile, e , se proprio dovranno combattere per ottenerlo, dovremo dargli le armi adatte per farlo, attraverso la creazione di valori, l’insegnamento e gli esempi, eliminando quella frattura generazionale che sta minando le basi della nostra società.
Antonello Rivano
Direttore di redazione/coordinatore nazionale Polis SA Magazine
Infornazioni sull’autore