50 Parole per raccontare e raccontarsi – Saverio Tommasi a Napoli
Saverio Tommasi giornalista di Fanpage presenta il suo ultimo libro “In fondo basta una parola”, un viaggio di parole attraverso l’animo umano.
Napoli 10 Giugno. Un pomeriggio di pioggia ed un incontro piacevole. Presso la Feltrinelli di Piazza dei Martiri a Napoli Saverio Tommasi, giornalista e reporter di Fanpage presenta il suo ultimo scritto, “In fondo basta una parola. Dopo Firenze, Bologna e Milano, una quarta tappa partenopea.
di Raffaella Grimaldi
<<Con le mie storie provo ad accendere dei lumini, che non sono dei lampioni, non sono delle vie immense. Provo ad accendere un po’ di lucine per far allargare la prospettiva>> – così inizia il suo racconto Saverio. Non è la prima volta che lo incontro.
Nel 2017 lo avevo intervistato al Modernissimo di Napoli. Era determinato, giovane ed entusiasta. A questi tre aggettivi aggiungerei, più consapevole e maturo. Cinque anni sono tanti e in questo lasso di tempo innumerevoli sono le inchieste che Saverio ha realizzato per Fanpage. Nell’anno della pandemia ha seguito le storie di chi ha avuto il covid e l’ha superato, di chi ha perso i propri cari, dei medici che hanno vissuto lontano dalle proprie famiglie per curare gli altri. Un anno che lo ha segnato e questi segni si notano sul suo volto. Non perde però la luce che gli brilla negli occhi e la voglia di continuare a raccontare storie.
<<Sono le storie che mi si appiccicano sulla pelle che mi fanno continuare a fare il mio lavoro>> – <<ed è bene che lì restino>> – mi racconta Saverio. Dopo la presentazione del suo libro giochiamo un po’ con le parole, come lui ha fatto in “” e come fa con i suoi spettatori. Gli chiedo tre parole per definire il suo metodo giornalistico.<<“Sfacciato” perché provo a porre questioni che possono sembrare provocazioni e lo sono, ma sono provocazioni rispetto alla banalità. Lo scopo è quello di far venire fuori gli argomenti. “Inciampato”, perché miei servizi sono spesso “inciampati”. Studio molto prima di ogni servizio, ma le risposte migliori sono quelle in cui inciampo, quelle inaspettate. “Scanzonato”, perché anche quando si parla di questioni atroci, inumane provo sempre a tenere un tono che non innalzi la serietà a valore, ma che provi a prendere per i fondelli l’inumano>>.
Proseguiamo poi la conversazione parlando di rischi. Durante i cortei dei no vax Saverio è stato aggredito, insultato e minacciato.
<<La paura non è una compagna di viaggio. Sono disposto a spingermi dove necessario >> mi risponde Saverio quando gli chiedo fin dove sia disposto ad inoltrarsi per portare a termine le sue inchieste.
Parliamo poi di come elaborare la sofferenza. Saverio non si tira indietro nel raccontare le storie più dure e lo fa in maniera viscerale. Come la storia di Sirio, bambino tetraplegico e delle cure amorevoli della madre. La storia di Anna e Tatiana le due sorelle sopravvissute al campo di concentramento al campo di Auschwitz.
La storia di come lavorano le ostetriche in Etiopia. <<Come fai ad elaborare e processare tutto questo dolore?>> – gli chiedo. <<Ci vuole tempo, ma alla fine il dolore, mi si appiccica addosso, resta nell’epidermide. Non sono bravo a mandarlo via, ma sono contento di non separarmi dalle storie che racconto>> Saverio dà molta importanza alle parole e alla comunicazione. Ed è quello che fa in “In fondo basta solo una parola”. <<Sono parole tratte dal mio disordine sentimentale>>.
50 parole recuperate dal suo vissuto, senza ordine cronologico che lo rimandano a diversi momenti della sua vita. Ed è così che i ricordi della sua gioventù si intrecciano alle sue esperienze più recenti, ai suoi vissuti o a quelli di altri.
Sono delle storie che talvolta cullano, talvolta consolano, altre volte sono dei tagli nella carne viva. Saverio, oltre che a cambiare il mondo con le sue parole, lo fa anche con le azioni. Da un anno è presidente e fondatore dell’Onlus Sheep. <<Il progetto nasce per recuperare la tradizione antica del ricamare a maglia>> – mi racconta Saverio. <<è un’antica tradizione della nonna ed aiuta ad usare il tempo in maniera diversa rispetto a come lo si fa ai nostri giorni>>. Saverio ribalta il senso dalla parola sheep, che in inglese significa pecora. Non un gruppo di persone che seguono la massa, ma un gruppo che fa la differenza.
Le coperte realizzate sono destinate ai senza tetto. In un anno sono state realizzate 587 coperte distribuite in 10 città italiane e in quattro regioni. L’anno prossimo il progetto continuerà e verranno destinate 3 borse lavoro a tre donne. Come ultimo argomento parliamo di linguaggio nella comunicazione politica odierna. Rivoluzione gentile è il mantra di Saverio Tommasi. <<Al momento non sembra che questa rivoluzione stia funzionando nel linguaggio politico odierno>> – mi racconta Tommasi. <<Dovremmo essere prima noi a far cambiare la bussola in base alla classe politica che scegliamo. Infine, pretendere che alcuni punti fermi siano rispettati>>.