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23 novembre 1980 ore 19:34:52 “FATE PRESTO”

Una data e un orario indimenticabili: domenica 23 novembre 1980 ore 19:34:52. FATE PRESTO gridava in prima pagina “Il Mattino” il 26 novembre

Colpiscono ancor oggi le parole “FATE PRESTO” sulla prima pagina del “Mattino” di Napoli del 26 novembre, da sempre primo quotidiano dell’Italia meridionale, sul tragico e devastante terremoto del 1980.

di Nicoletta Lamberti

Una scossa di terremoto di magnitudo 6,9, e pari al decimo grado della Scala Mercalli, che durò novanta secondi, sconvolse il Meridione d’Italia, in particolare, in modo violento e brutale la Campania e la Basilicata riducendo in macerie e radendo al suolo interi paesi dell’Irpinia e della Lucania e uccidendo intere famiglie, generazioni, giovani, vecchi, bambini. 2914 morti, 8848 feriti e oltre 280 mila sfollati.

La ricostruzione post – terremoto del 1980 è stata uno dei maggiori scandali italiani, oggetto di una delle più grandi speculazioni avvenute in Italia, come accertato successivamente da innumerevoli inchieste da parte della magistratura. Dopo aver speso oltre 66 miliardi di euro, all’attualità numerose opere e infrastrutture non sono state ancora completate. Inoltre, inizialmente nel 1980 i comuni interessati erano 36, poi con un decreto di Forlani 280, ma anno dopo anno si moltiplicarono divenendo 687.

Parole, arte e musica si ispirarono al terremoto del 1980.

Rabbia e sconforto trapelò dalle parole dell’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Dopo aver visitato i luoghi del disastro il 25 novembre 1980 Pertini parlò, accorato, il giorno dopo alla nazione a reti unificate sui “sepolti vivi”e sui superstiti scioccati ed impotenti di fronte all’immane catastrofe. Pertini gridò denunciando i ritardi dei soccorsi (che arrivarono solo dopo cinque giorni).

“Il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”.Dopo il discorso di Pertini da tutta l’Italia si mobilitò un gran numero di volontari per portare aiuto nelle zone terremotate della Campania e della Basilicata.

Indimenticabile il poetico articolo di Alberto Moravia “Ho visto morire il Sud” pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 7 dicembre 1980: “In cima alla montagna, però, in luogo del solito giuoco di domino ordinato e intatto delle case di un paese, vedo come un’accozzaglia di nidi di vespa sfranti e sfondati, un grigio di polvere disciolta tra il quale emergono intelaiature in disordine dello stesso colore grigio polveroso.”(“Ho visto morire il Sud” di Alberto Moravia – Settimanale “L’Espresso” del 7 dicembre 1980)

Anche gli artisti contemporanei si mobilitarono e nel 1984 Lucio Amelio allestì alla Reggia di Caserta l’esposizione “Terrae Motus” (oggi, una straordinaria Collezione Permanente alla Reggia di Caserta) con oltre settanta opere d’arte sul sisma del 1980, tra cui “Fate Presto” di Andy Warhol, “Senza titolo” di Keith Haring, “West-Go Ho (Glut)” di Robert Rauschenberg, Miquel Barcelò, Joseph Beuys, Tony Cragg, Jannis Kounellis, Robert Mapplethorpe, Mario Merz, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Julian Schnabel, Emilio Vedova.

Su quel maledetto terremoto Pino Daniele compose il brano “E’ Sempe Sera”,pubblicato nel 1981 nell’album Vai Mò. La traccia dura esattamente quanto la scossa della sera del 23 novembre 1980:
Chisst’anno nun se po’ scurdà  avuote ‘e gira è sempe sera  ma c’amma fà’ pe’ avè nu poco ‘e bene e sempe ‘ncuollo a voglia ‘e dà’ ma i’mo’ nun ‘ngarro cchiù ma i’mo’ nun’ngarro cchiù a sunà…”  

“Ora perché questo fatale e incredibile ritardo? Che cosa ha impedito che l’urgenza della situazione giungesse fino al cuore di chi poteva provvedere? La risposta a questa domanda sembra dover essere purtroppo la seguente: è evidente che l’inerzia ha un fondo diciamo così storico-religioso. La storia è ormai storia di una lenta ma inarrestabile degradazione; dal canto suo la religione o se si preferisce la religiosità, cioè il fatto di sentirsi legati insieme (tale è il significato della parola) non tiene più, i suoi legami si sono allentati, disfatti.” (“Ho visto morire il Sud” di Alberto Moravia – Settimanale “L’Espresso” del 7 dicembre 1980)

Profetiche e attuali le parole di Moravia nell’anno 2020 nel contesto della pandemia da coronavirus!

Stefano Ventura – nel libro “Storia di una ricostruzione. L’Irpinia dopo il terremoto”, edito da Rubettino – racconta una lunga storia che parte dal 23 novembre 1980 arrivando fino ad oggi, quarant’anni dopo, sottolineando come nel nostro paese la classe politica, gli imprenditori senza scrupoli e le organizzazioni criminali sfruttino le situazioni d’emergenza, la c.d. “economia della catastrofe”.

Il famoso scrittore partenopeo, Maurizio De Giovanni, a TG2 DOSSIER DEL 21/11/2020 “23/11/1980, quando il Sud tremò”colpisce con le sue parole sul terremoto del 1980 e sulle attuali condizioni del nostro Mezzogiorno d’Italia, vituperato, sottosviluppato, ma pieno di eccellenze, da dove tutti fuggono, emigrano, scappano!

“In realtà la terra non ha mai smesso di tremare qui! La terra ha tremato …  allora, ha cominciato a tremare allora e non ha mai smesso di tremare e vivere con la terra che ti trema sotto è un po’ la caratteristica di questo nostro pezzo di Paese. Il Meridione d’Italia è la regione più povera d’Europa con prodotto interno lordo inferiore a quello greco dove prospera tutto quello che di negativo può prosperare. Siamo stati lasciati soli per molto tempo e la terra ha cominciato a tremare e quando siamo stati lasciati soli non ha mai smesso completamente di tremare la terra qui!”

L’analogia con l’attuale emergenza sanitaria del Coronavirus è d’obbligo! Ma l’Italia, oggi, è diversa, peggiorata, sprofondata in un forte degrado culturale. In un Paese come l’Italia – nel quale pochissime persone leggono, ma c’è chi si lamenta che sono chiusi i musei, i teatri e i cinema – assistiamo alla tragedia della pandemia al tempo dei social network pervasi da una violenza verbale inaudita associata ad una grande mancanza di umanità e di cultura.

Politici e imprenditori “sciacalli” speculeranno a man bassa sulle situazioni di emergenza, le mafie approfitteranno di questa ennesima tragedia per acquisire proprietà, gestioni e quanto più possibile tenuto conto della loro ingente liquidità. Meravigliano, però, i comportamenti scorretti della c.d. “povera gente” comune che usufruisce in molti casi, in modo fraudolento, dei numerosi sussidi, tra cui il famoso reddito di cittadinanza, a danno dello Stato che è costituito da “NOI” stessi, cittadini!

Lucida ed attenta l’analisi sulle infiltrazioni mafiose nel mondo della politica, dell’economia e della finanza, sulle speculazioni a danno delle imprese, impoverite dalla pandemia, e sulle organizzazioni criminali mafiose nel libro di Nicola Gratteri (Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta e vive sotto scorta dall’aprile del 1989) e Antonio Nicaso (nato in provincia di Reggio Calabria, oggi vive in Canada. Giornalista, scrittore e studioso dei fenomeni criminali di tipo mafioso Insegna storia delle organizzazioni criminali all’Università di Middlebury, in Vermont (Usa).

In Ossigeno illegale. Come le mafie approfitteranno dell’emergenza Covid-19 per radicarsi nel territorio italiano”, pubblicato dal 17/11/2020 da Mondadori, Nicola Gratteri e Antonio Nicaso osservano che «Le mafie sono sempre state considerate un problema di ordine pubblico, da contrastare con manette e sentenze» e che «Purtroppo, sono ben altro e andrebbero combattute anche sul piano culturale, sociale ed economico.»

Nel contesto attuale dell’emergenza economico – sanitaria creata dalla pandemia da Covid-19 si prevede che in Italia, ma non solo, le mafie, uniche “aziende” a non aver risentito minimamente della crisi  e ad avere “ossigeno illegale”“che altera le regole del mercato e stravolge i principi della democrazia” saccheggeranno imprese ed imprenditori e “qualsiasi risorsa calpestando ogni cosa, anche la pietà” infiltrandosi “nelle tante increspature dell’economia legale e soprattutto della politica”.

Alberto Moravia scrisse “Ho visto morire il Sud” Non credo che il Sud sia morto. Io credo che il Sud sia lasciato a terra … moribondo, ma il Sud non muore, non può morire, è portatore di una cultura, di una forza, di una voglia e, di una peculiarità di vita che non c’è da nessun’altra parte. Questo Paese … del Sud non può fare a meno, questo è certo!” Maurizio De Giovanni, a TG2 DOSSIER DEL 21/11/2020 “23/11/1980, quando il Sud tremò”

Nicoletta Lamberti
Vice Coordinatore nazionale Polis SA magazine Coordinatrice Redazioni

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