Assicurato alla giustizia, dopo trent’anni di latitanza, il boss della criminalità organizzata, Matteo Messina Denaro
Per la costante, mai arrendevole, battaglia contro la mafia l’applauso agli inquirenti, agli investigatori ed agli agenti delle Forze dell’Ordine
Di Silvia De Cristofaro
Cosa salta all’attenzione quando all’improvviso si ascolta una notizia che ha dello straordinario perché è un elogio alla non arrendevolezza, al trionfo della legalità sul male delle ingiustizie? E’ il suono delle sirene spiegate che oggi, con l’arresto di Matteo Messina Denaro mafioso di Cosa nostra, boss latitante dal 1993, “ultimo padrino”, può considerarsi un inno di vittoria contro la mafia. Ed è il suono assordante che giunge dopo un silenzio trentennale che appartiene ad una squadra di uomini e donne delle forze dell’ordine che per anni ha svolto indagini ed investigazioni senza sosta, che ha inseguito piste e probabilmente senza tregua fino allo stremo dei propri limiti fisici e mentali. E che adesso a noi ed alle nostre generazioni future consegna un rappresentante della malavita che si è macchiato di crimini indicibili, che mai la nostra umanità potrà perdonare.
Matteo Messina Denaro, latitante dall’estate del 1993 ha dichiarato la sua identità, senza opporre resistenza, ai carabinieri del Ros che lo hanno fermato ed arrestato in una clinica di Palermo specializzata in cure oncologiche. Il mafioso di Castelvetrano, su cui da anni sono state effettuate ricerche ed investigazioni, è stato dunque finalmente consegnato alla giustizia grazie alla perseveranza di squadre investigative speciali che mai si sono arrese alla possibilità di una sua cattura. Trent’anni di latitanza culminati dall’arresto e dal trasferimento del boss mafioso in un carcere di massima sicurezza.
Vince la costanza, innanzitutto, quella di un’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido che ha permesso di ammanettare l’ultimo dei latitanti di mafia a distanza di trent’anni esatti dalla cattura del boss Antonio Riina. Messina Denaro era stato condannato all’ergastolo per diversi omicidi tra cui quello più drammatico di un bambino sequestrato, ucciso e sciolto nell’acido, figlio di Santino Di Matteo per costringerlo a ritrattare le sue dichiarazioni riguardo la strage di Capaci di cui lo stesso Messina era stato responsabile assieme a quella del luglio del ’92 contro il giudice Borsellino. Vent’anni di omicidi (il latitante aveva abbracciato la cosiddetta “strategia stragista”) all’interno dell’organizzazione mafiosa trapanese, venuti a galla nel 1996 con l’operazione “Omega” diretta dai carabinieri.
Ad abbattere quest’ultimo vergognoso tassello, le tecniche degli agenti delle forze dell’ordine che non hanno mollato la presa, lottando sempre, quotidianamente nei confronti del più grave male contro lo Stato ed in memoria di chi ha pagato con la vita la sua devozione verso di esso. Un lavoro di squadra, congiunto che attraverso pedinamenti, intercettazioni ha permesso quest’atto estremo di giustizia. Il Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri è un reparto che ,risalendo dal nucleo speciale di polizia giudiziaria, ha da sempre contrastato il terrorismo “interno”. Il metodo investigativo faceva la differenza: contro la criminalità organizzata viene messo su un piano caratterizzato da osservazioni, pedinamenti, intercettazioni per arrivare alla cattura dei membri più pericolosi di Cosa nostra. Il Ros, comandato dal generale Pasquale Angelosanto, è articolato nei reparti dell’ antiterrorismo, delle indagini telematiche, delle indagini tecniche, dei crimini violenti, Le sezioni anticrimine sono dislocate nelle diverse Procure distrettuali antimafia ed antiterrorismo.
Nel blitz contro Matteo Messina Denaro compare anche il Gis, Gruppo di intervento speciale, considerato un reparto d’èlite dell’Arma ed è classificato come Forza speciale delle Forze Armate Italiane. Le organizzazioni assicurano uno scambio di informazioni ed operazioni, all’interno di un comune programma anticrimine, con gli organi di Polizia nazionali ed esteri che grazie ai suoi gruppi investigativi sono in prima linea per quel che riguarda la ricerca e la cattura di grandi latitanti e con operazioni in contrasto col traffico d’armi, il narcotraffico ed i sequestri di persone.
L’articolo è dedicato all’esempio ed alla memoria di un uomo giovane, primo dirigente della Polizia e capo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo, responsabile assieme ai suoi uomini degli arresti dei boss Mimmo Raccuglia e Gianni Nicchi e delle indagini per tentare di arrestare Messina Denaro, che ha completamente dedicato la sua esistenza alla realizzazione di quel che lui stesso definiva un “cambiamento necessario” basato sulla resistenza come arma contro qualsiasi organizzazione malavitosa.
A Mario Bignone.
Silvia De Cristofaro
Vicecoordinatore Nazionale di redazione/Coordinatrice Centro Italia