Gio. Mag 2nd, 2024

“Il brigante e il generale”: Carmine Pinto racconta una lotta dell’ottocento

La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola

Di Anna Maria Noia

Alto gradimento, giovedì 11 aprile scorso, per la presentazione del volume “Il brigante e il generale” – di Carmine Pinto. Il docente, ordinario di Storia Contemporanea all’università di Salerno, ha pubblicato – per i tipi di Editori Laterza – il saggio in questione, che verte su una disciplina a lui congeniale: la storia risorgimentale.

Si tratta di un professore autorevole e competente, esperto del periodo appunto risorgimentale. Un vanto e un onore è aver potuto incontrare tale insegnante, così preparato, che ha ricevuto riconoscimenti di livello nazionale. Il sottotitolo dell’opera è: “La guerra di Carmine Crocco e Emilio Pallavicini di Priola”.

Il testo “narra” del famoso brigante o bandito Carmine Crocco, in associazione al militare (un aristocratico sabaudo) Pallavicini. Uno “spaccone” e un soldato “di spada” a lottare tra loro, sullo sfondo delle vicende ottocentesche che hanno contribuito a creare l’Italia – come stato nazionale, tra gli altri Paesi di quel tempo.

Il mondo “feudale”, rappresentato proprio da Crocco, paladino anche di coloro che sostenevano l’ancien regime, contro il primo esercito nazionale – a cui faceva capo, invece, Pallavicini. Due epoche, quella del bandito e l’altra del militare, l’una contro l’altra “armate” – volendo citare Manzoni.

Pastore e delinquente Crocco; capobanda della post unità italiana (1861); antico “gentiluomo” (diciamo così) – invece – Emilio Pallavicini. Due modi diversi di intendere la questione meridionale e due opposti schieramenti “di vita”, per dire.

Il loro “duello” (anche metaforico e ideale) avviene – come per l’appunto esprime Pinto nel libro – sulle rive dell’Ofanto; nel nostro Sud. Attraverso il racconto delle “vite parallele” di Pinto, si snodano eventi ed episodi importanti, fondamentali, del Risorgimento. Luoghi, battaglie, perfino leggende del periodo post-unitario.

Sì, leggende, in quanto il bandito era considerato – tra braccianti incolti, ma non soltanto – alla stregua di un combattente, se non proprio di un “eroe”. E questo è stato spiegato, illustrato molto bene al termine della serata. Quando l’autore in persona ha dialogato e conversato col pubblico, nel rispondere a una domanda sull’aura appunto “leggendaria” (patriottica, di certo popolare) che, nel tempo, ha assunto la figura del bandito.

Secondo il professore, questo accade quando il passato assume una determinata “costruzione”: il passato diventa immateriale; diventa “invenzione”. Carmine Pinto ha citato anche “il risentimento”, che diventa strumento politico – quale “pregiudizio”, che “consola” gli avversari elettorali e ne “giustifica” le azioni. All’incontro erano presenti, tra gli altri: il vicesindaco di Mercato San Severino Enza Cavaliere; l’assessore Assunta Alfano; la professoressa Immacolata Pascale – docente di Lettere al liceo “Mancini” di Avellino; il professore Massimo Del Regno (insegna Lettere al “Virgilio”, a Mercato San Severino).

A moderare, l’archeologo Pietro Toro. Secondo le tesi dei relatori, occorre rivalutare le materie letterarie – le humanae litterae. Peculiare l’intervento di Del Regno, che ha snocciolato una carrellata di briganti “nel cinema”. Immortalati dalle cineprese. Brigante, ha detto Del Regno, deriva dal popolo dei “Britanni”, che combatterono contro le milizie romane. Ancora, il professore sanseverinese ha citato tre principali banditi – più noti nella storia: Fra Diavolo, al secolo: Michele Pezza, catturato a Baronissi (Salerno); Crocco; Musolino. Ma c’era anche Ninco Nanco – più volte citato durante il convegno. Musolino aveva un cognome simile al dittatore Mussolini.

Tra i vari film, le pellicole cinematografiche che hanno trattato della questione del banditismo (Del Regno invocava una serie di cineforum – da attuarsi nelle scuole), ricordiamo: “Il brigante di Tacca di Lupo”, diretto da Pietro Germi nel 1952; “Li chiamavano briganti!” – regia di Pasquale Squitieri, del 1999 – e tanti altri. Soprattutto tra gli anni ’50 e ’60.

Si è poi discusso di quelli che sono stati definiti, nel corso della convention, i “cartelli” dei briganti. Associazioni mafiose, costituite da attendenti; vice attendenti e gerarchie. Secondo Pinto, il fenomeno del brigantaggio è immemore; antichissimo. È un particolare argomento storico; nei saggi – poi – piuttosto che nei romanzi, “lo storico non deve farsi condizionare dal presente”. Ma attenersi alle fonti del tempo da descrivere.

Il volume è stato considerato uno scritto “eccellente”. Esso tratta del nazionalismo, italiano ma anche europeo. Inoltre, per l’autore, Crocco è esponente del vecchio mondo feudale – che finisce proprio con il risorgimento. Mentre “il generale” assume il compito di rivelare la modernità. È da leggere, tale opera, per conoscere un mondo e una società lontani – ma non tanto da non aver influenzato il tempo contemporaneo.

Al termine, la chiosa di Carmine Pinto – sull’identificazione e il consenso delle genti, che hanno visto il banditismo come un qualcosa di “mitico”, appartenente a un passato… “inventato”.

Un plauso al prof Pinto, sperando di averlo nuovamente come ospite a Mercato San Severino; la sua cultura – non accadem

ica, nel senso comune del termine, ma molto vasta e qualificata, variegata – sicuramente si riverserà su e in altre pubblicazioni. Ciascuna diversa, ognuna a sé – con svariate tecniche descrittive, a dimostrare la padronanza di questo insegnante, davvero sicuro di sé e dal piglio “intellettuale” diretto e affabulatorio.

Anna Maria Noia

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