Sanità sotto assedio: quando chi cura diventa bersaglio
Le aggressioni al personale sanitario sono il segno di una crisi sociale più ampia, una frattura nel tessuto della nostra comunità
IN PUNTA DI PENNA
Gli editoriali del Direttore di Redazione Antonello Rivano
– La penna è la lingua dell’anima (Miguel de Cervantes)-
C’è un silenzio che precede ogni atto di violenza, una crepa sottile ma profonda che si insinua tra la disperazione e la rabbia. In quel silenzio si è compiuto qualcosa di grave, di doloroso.
Le aggressioni al personale sanitario sono il segnale di un disagio profondo che attraversa la nostra società. Non sono episodi isolati, ma manifestazioni di una frattura sociale sempre più evidente, che investe l’intero paese. Medici, infermieri e operatori socio sanitari, un tempo acclamati come eroi, oggi si trovano al centro di un’escalation di violenza, riflesso di una crisi che va ben oltre il sistema sanitario.
Durante la pandemia, queste persone incarnavano il simbolo della resistenza. Tuttavia, con il passare del tempo, la narrativa dell’eroismo si è scontrata con una realtà sempre più dura: ospedali sovraccarichi, lunghe attese e un sistema percepito come inefficiente. I luoghi di cura sono diventati spazi di esasperazione, dove chi opera in prima linea, a stretto contatto con i pazienti, è diventato il bersaglio di una rabbia crescente, sfogata su coloro che ogni giorno si impegnano per prendersi cura degli altri.
Il paradosso è evidente: chi cura finisce per essere aggredito. Ciò che preoccupa maggiormente è che queste aggressioni rappresentano il sintomo di una frattura sociale ben più ampia. In un sistema sempre più digitalizzato, la promessa di efficienza non si è concretizzata. Anzi, la tecnologia ha spesso creato nuove distanze, trasformando il sistema sanitario in una macchina burocratica, in cui la relazione umana viene sacrificata. Così, il personale si ritrova a essere l’unico contatto tangibile in un mondo dove la frustrazione cresce.
Alla base di queste tensioni si trova un sistema sanitario che fatica a rispondere alle crescenti richieste. Le liste d’attesa interminabili, la mancanza di personale e la sensazione di essere lasciati soli acuiscono il senso di frustrazione generale. Così, chi lavora per prendersi cura degli altri diventa il capro espiatorio di un malessere collettivo che affligge il paese.
Questo malessere si estende ben oltre la sanità. La distanza tra chi eroga i servizi e chi ne ha bisogno si fa ogni giorno più ampia, alimentando la disillusione e la sfiducia. Le aggressioni al personale sanitario non sono altro che il segnale di una società che ha perso il contatto con valori essenziali come il rispetto e l’empatia.
Proteggere chi lavora in ambito sanitario è una priorità, ma non basta. Il vero problema risiede nella frattura sociale che queste aggressioni rivelano: una perdita di fiducia nel sistema, nella possibilità di essere ascoltati e compresi. E questa crisi di tocca ogni ambito delle nostre relazioni sociali.
Ricomporre questa frattura richiede un cambiamento culturale. Dobbiamo tornare a valorizzare le relazioni umane e comprendere che dietro ogni camice, ogni scrivania, c’è una persona. Solo riscoprendo il rispetto reciproco potremo sperare di fermare questa spirale di violenza e iniziare a ricucire quelle ferite che rischiano di lacerare definitivamente il nostro tessuto sociale.
Antonello Rivano
Direttore di redazione/coordinatore nazionale Polis SA Magazine