Orizzonti letterari N°3
Spazi aperti alla poesia e alla narrativa
Orizzonti Letterari è una rubrica dedicata alla scoperta e all’esplorazione della narrativa e della poesia. Attraverso racconti e versi, offre, oltre agli autori di Polis SA MAgazine, anche ai lettori uno spazio aperto alla creatività e alla riflessione, dove le parole si intrecciano per evocare emozioni e ispirare nuove prospettive
In questo numero:
- POESIA: Senza titolo – di Danila Olivieri
LIbertà – di Nicoletta Lamberti - NARRATIVA: Una domenica – di Antonello Rivano
- DALLA REDAZIONE: Modalità di partecipazione
Poesia
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve” Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) in Il postino
Senza titolo
Mi immergo nel giardino
nella pallida luce ottobrina
che traluce dalle nuvole
e si posa sulle rose tardive
mi fingo filo d’erba
che ancora cresce nella pioggia
mi illumino del giallo delle foglie
che esplodono luce sulle colline.
E intanto vivo, dunque sono.
Danila Olivieri (Inedita-©Tutti i diritti riservati)
Danila Olivieri è poetessa e scrittrice, presidente del Salotto Letterario «Pen(n)isola San Marco» di Sestri Levante e membro della giuria del Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Giovanni Descalzo. Ha esordito con la silloge Sole di scirocco, ha al suo attivo un numero notevole di pubblicazioni e ha vinto numerosi premi, sia nazionali che internazionali.
Libertà
Una parola: Libertà.
Il crollo di un muro
eretto in nome della pace.
Non più fratelli divisi
e madri straniere.
E’ tornata la libertà e …
così anche la Vita.
Nicoletta Lamberti (1989-©Tutti i diritti riservati)
Narrativa
“Va’ là fuori, trova una storia che ami e poi raccontala” Ron Howard
Una domenica
Ci sono giorni che entrano a gamba tesa nella tua vita, che ti travolgono e lasciano il segno. E non sono giorni di confusione o tristezza: anche la semplicità, a volte, può colpirti forte, sorprenderti, lasciarti senza parole. Specie se hai sette anni e della vita conosci ancora ben poco.
Era una domenica d’aprile, e il mio compleanno era trascorso da poco. Quella domenica aveva qualcosa di speciale, una delle poche in cui potevo passare del tempo con mio padre. Le occasioni per stare insieme non erano molte: lui lavorava sempre, e lavorava tanto. Non solo per necessità, ma anche per scelta. Aveva rinunciato al “posto fisso” per vivere a contatto con l’aria aperta, con il mare e la terra. Così, per garantire alla nostra famiglia una vita dignitosa, si spendeva senza sosta, eppure non ci aveva mai fatto mancare nulla.
Da bambino, lo guardavo con ammirazione, e mi sembrava che non fosse fatto di carne, ossa e sangue come tutti noi. Sembrava essere composto di sole, vento, rocce, e di quell’odore salmastro che portano le onde, nella freschezza della brezza marina.
I momenti insieme, negli anni, sarebbero aumentati: le domeniche allo stadio – se così si poteva chiamare il campo in terra battuta dove giocava la squadra locale – e le vendemmie, quando tutta la famiglia si riuniva per raccogliere il frutto del lavoro di un anno intero. Ma quelle domeniche di Pasqua erano nostre, solo nostre. Quei giorni, mio padre indossava il “vestito buono”, mi dava la mano e ci avviavamo. Io, vestito come lui con la cravatta e il cappello di panno grigio, il mio differiva dal suo per un piccolo particolare, una minuscola piuma inserita in un lato. Quasi mi aggrappavo a quella mano, dura e come i tralci della nostra vigna: io, frutto della sua pianta.
Non ho mai capito perché mio padre mi portasse in chiesa ogni domenica di Pasqua. Non era un “cattolico praticante”. Ma io associavo quel “perché” alla statua del Cristo risorto accanto all’altare. Quella figura, con lo stendardo in mano, mi trasmetteva un senso di libertà e vittoria, su qualcosa che allora non comprendevo. E quella domenica, ancora più speciale delle altre, lui e io andammo in chiesa quando tutte le messe pasquali erano terminate. Tutto era silenzio e odore d’incenso. Non ricordo nemmeno se mio padre si segnasse entrando; io sì, come ero stato educato, pur in una famiglia “rossa”. Ma, credente o meno, aveva sempre rispetto per ogni luogo e ogni cosa.
Quella domenica, si avvicinò a uno scaffale all’ingresso della chiesa, colmo di libri e riviste. Tirò fuori il portafoglio, mise una banconota nella fessura della cassetta per le offerte e prese un libro. Poi mi fece cenno di uscire. Appena fuori, mi prese per mano. Dopo pochi passi, si fermò. Ci fu un attimo di silenzio, quasi di imbarazzo. Stava cercando le parole.
“Aspetta, Antonello. Fermiamoci un attimo ai sedili rotondi della piazza, prima di andare a casa.”
Quelle domeniche avevano sempre avuto lo stesso ritmo: un giro in piazza, la chiesa, poi a casa, dove ci aspettava la pasta fatta in casa da nonna. Ma quella volta ci fermammo. Ci sedemmo all’ombra dei grandi ficus che fanno ancora ora da salotto buono alla piazza del paese. Mio padre iniziò a parlare. “Vedi, ho notato come leggi, con che attenzione osservi le cose e con quanta curiosità mi chiedi del mio lavoro.” Non credo mi avesse mai parlato tanto. Le cose lui me le insegnava con l’esempio: era un uomo grande, e già a sette anni lo sapevo.
“Mamma ha parlato con il tuo maestro. Dice che hai una grande capacità di comprensione, che impari in fretta e hai tanta fantasia.” Sarà stata un’impressione, ma sembrava quasi che quell’uomo così forte, che aveva dovuto lavorare e fare da capofamiglia dall’età di otto anni, avesse gli occhi lucidi.
“Continua così. Io non ho potuto studiare; so leggere e scrivere perché ho imparato da solo e ho nozioni sufficienti per i conti e per portare avanti la nostra famiglia. Promettimi che non smetterai mai di fare queste cose. Studia, impara, migliorati. Solo così ci si rende davvero liberi. Solo il sapere è libertà. Sii curioso di ogni cosa, anche la più lontana da te.”
Poi mi porse il libro che aveva preso in chiesa, una copertina in cartonato rosso con scritte dorate: *La Sacra Bibbia.* Avrei voluto rispondergli di sì, che lo avrei fatto, perché leggere e scrivere già mi piacevano, ero già curioso della vita e delle sue cose. Ma non trovai le parole.
Conservo quel volume tra le mie cose più preziose. L’ho letto e studiato, come tanti altri libri entrati poi nella mia vita. No, non sono diventato un cattolico praticante. Non ho nemmeno proseguito gli studi, limitandomi alla maturità con il massimo dei voti. Ma quella promessa, che non ero riuscito a trasformare in parole quella domenica di aprile, l’ho mantenuta. Ho continuato a leggere, studiare, essere curioso della vita e delle sue cose. Ho scritto tanto, mettendo in parole pensieri ed emozioni.
E aveva ragione lui: sono un uomo libero.
Antonello Rivano (©Tutti i diritti riservati)
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