Orizzonti letterari N°4
Spazi aperti alla poesia e alla narrativa
Orizzonti Letterari è una rubrica dedicata alla scoperta e all’esplorazione della narrativa e della poesia. Attraverso racconti e versi, offre, oltre agli autori di Polis SA MAgazine, anche ai lettori uno spazio aperto alla creatività e alla riflessione, dove le parole si intrecciano per evocare emozioni e ispirare nuove prospettive
In questo numero:
- POESIA: Futuro già passato-di Danila Olivieri
- A tutti ma in particolare a qualcuno-di Nicoletta Lamberti
- NARRATIVA: Scirocco-di Antonello Rivano
- DALLA REDAZIONE: Modalità di partecipazione
Poesia
“La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve” Mario Ruoppolo (Massimo Troisi) in Il postino
Futuro già passato
C’è qualcosa nel cielo di settembre
un chiaroscuro d’ombre
e nuvole vaganti-
forse l’attesa della fine
la luce d’un tempo che vuol morire
ma s’assolve il tempo
e sa di lontananza-
nuvole rosa sbucano
dal grigiore e disvelano
il futuro già passato.
Danila Olivieri (Inedita-©Tutti i diritti riservati)
Danila Olivieri è poetessa e scrittrice, presidente del Salotto Letterario «Pen(n)isola San Marco» di Sestri Levante e membro della giuria del Premio Internazionale di Poesia e Narrativa Giovanni Descalzo. Ha esordito con la silloge Sole di scirocco, ha al suo attivo un numero notevole di pubblicazioni e ha vinto numerosi premi, sia nazionali che internazionali.
A tutti ma in particolare a qualcuno
Porgi l’altra guancia è la frase pacifica,
ma il vero segno della pace è l’amicizia,
il vivere in armonia con tutti!
La vera pace la puoi però trovare solo nel tuo animo!
Non fuggire, amico …
Non rifugiarti nel buio, i problemi puoi risolverli con noi.
Dentro sei vecchio!
Non nasconderti dietro gli abiti alla moda.
Sarai in pace con te stesso solo fisicamente,
ma fino a quando quella maschera ti rimarrà?
Un giorno la tua finta sicurezza finirà.
Scopriti, confidati e sarai in pace con te stesso.
Ascolta … quando ti avvolge il vittimismo
ascolta attentamente le parole di “Cose che ho visto” di
Ramazzotti e “La vita è adesso” e “Uomini persi” di Baglioni
E senza rendertene conto ti accorgerai della vita vera…
Esci dal tuo mondo al più presto, sei ancora in tempo!
Nicoletta Lamberti (Periodo1989/90-©Tutti i diritti riservati)
Narrativa
“Va’ là fuori, trova una storia che ami e poi raccontala” Ron Howard
SCIROCCO
Avanzava sfidando il vento di scirocco che sferzava il lungomare quel giorno di inizio settembre, il capello a larghe falde, che teneva con una mano per non farlo volare via, lo contraddistingueva dalle altre poche persone che avevano deciso di sfidare il vento africano.
Era giunto da circa un anno al paese degli avi, la sua famiglia ne era stata lontana per lungo tempo, i bisnonni avevano cercato fortuna, come molti, nel continente americano. Il ricordo e il racconto di quell’”isola verde e lontana”, come diceva una vecchia canzone, si erano tramandati da padre in figlio, il suo richiamo era stato talmente forte che lui non aveva potuto resistervi. Ora sentiva di essere tornato a casa, la sua vera casa.
Amava quelle giornate in cui tutto sembrava assumere un altro colore. Del resto lui era un sognatore, un poeta, e le sue cose migliori le aveva scritte durante giornate come quella. Lasciò il molo per addentrarsi nei vecchi vicoli del paese, lì il tempo pareva essersi fermato, come se avesse avuto timore, e rispetto di quegli angoli così pieni di storia e di storie. Era un’ora che lui chiamava “di mezzo”, quando non è ancora del tutto sera, ma già la luce del giorno sta morendo.
Nonostante la giornata fosse stata velata dalla “bruma di mare” ancora la luce del crepuscolo tentava di filtrare tra le case, a due o tre piani, che si guardavano l’un l’altra da così vicino che non vi era spazio per il traffico di automezzi, cosa che rendeva ancora più piacevole la passeggiata in quei luoghi. L’altezza, la vicinanza tra le due file di edifici e l’intrico di quei caruggi, impedivano al vento di manifestare appieno la sua forza. Si attardò ad ammirare un fregio scolpito sotto una “gallaia”, il tipico terrazzo di quel posto: un veliero.
Stava ancora pensando a chi potesse essere l’autore di quel piccolo capolavoro, e al perché lo avesse realizzato su un elemento decorativo posto in una posizione così scomoda da osservare, tale la rendevano l’altezza (al secondo piano dell’edificio) e l’angolatura, quando la sua attenzione fu attratta da quello che gli sembrò il pianto sommesso di una donna.
Abbassò lo sguardo e la vide: accovacciata su uno scalino, la testa china, sorretta dalle piccole e delicate mani che le nascondevano in parte il volto, i lunghi capelli neri avvolti da una larga fascia color turchese. Quello che attirava di più l’attenzione era il vestito, assolutamente fuori dal tempo, una sorta di tunica riccamente decorata da preziosi arabeschi. Pensò si trattasse di una di quelle eccentriche turiste dei ricchi yacht ormeggiati al vicino molo da diporto.
Lei alzò lentamente il viso: non poteva avere più di sedici anni, le lacrime rigavano un volto da bambina, bellissimo e abbronzatissimo, due occhioni neri lo accendevano di una luce che veniva da dentro. Il loro sguardo s’incrociò, e per un attimo qualcosa d’inspiegabile accadde al poeta: si sentì proiettato lontano, in un altro tempo, udì grida e gemiti, pianti e suppliche, vide persone in catene e altri in armi, l’odore acre del fumo e il coro delle preghiere, sentì bruciargli la schiena, come sferzata da colpi di frusta, un lungo viaggio, un paese lontano e la rossa sabbia del deserto.
Con uno sforzo mentale si liberò da quelle visioni – perché piangi? – mormorò con un filo di voce rivolto alla ragazza. – Perché è stato oggi ed è stato qui – rispose lei con una voce che sembrava musica, non c’era dolore in quelle parole, ma un qualcosa che toccava corde nascoste nel profondo della sua anima. -Ma cosa… cosa è successo? – balbettava, sentendosi come prigioniero di qualcosa di più grande di lui.
-Mi hanno rapita, avevo sei anni, dei pirati barbareschi hanno invaso il paese e l’hanno messo a ferro e fuoco. Un uomo mi ha difesa e cercato di impedire che mi prendessero, a costo della sua vita ha lottato contro gli uomini che mi stavano trascinando via, si è opposto con tutte le sue forze ed è stato ferito, un colpo al volto, poi è stato preso pure lui, assieme a tantissimi altri ci hanno portati schiavi a Tunisi, mi ha tenuto accanto e mi ha accudita per tutta la traversata, mi ha dato anche parte del suo cibo e riparato dal freddo della notte e dal caldo del giorno.- la ragazza sembrò riprendere fiato, poi proseguí- Giunti a Tunisi siamo stati divisi, lui venduto a una ricca famiglia mentre io sono diventata serva nella casa del Bey, avevo dodici anni quando il sultano si innamorò di me, ne avevo quindici quando volle farmi la sua favorita, sono stata regina e a mia volta madre di sultano. Devo a quell’uomo l’essere sopravvissuta a quel terribile viaggio, lui è stata la famiglia, anche se per pochi giorni, dalla quale fui separata per sempre. Ogni anno ritorno qua con la speranza di incontrarlo e dirgli grazie, solo allora potrò finalmente riposare in pace -.
Lui sembrò vacillare, ancora quei ricordi non suoi lo assalirono, un dolore intenso gli attraversò il volto, istintivamente si abbassò il bavero e si toccò la voglia color porpora che gli segnava la guancia destra, una specie di cicatrice di diversi centimetri poco sopra il mento, la ragione principale per la quale si era lasciato crescere un folto pizzetto ben curato, che mai si radeva del tutto.
“Grazie mio salvatore…grazie” fu un grido senza suono, qualcosa che lo scosse sin dentro l’anima. Ebbe solo il tempo di dire – chi sei? Per l’amor di Dio, dimmi chi sei.-
-Lela, mi chiamarono così, ma io ero Francesca – Fu allora che il vento irruppe nel vicolo, contro ogni legge fisica “Shurùq” lo Scirocco, il vento del deserto, attraversò, violentissimo, con il suo alito caldo, il “caruggiu”. Lui chiuse gli occhi per non farvi entrare i granelli di polvere che si stavano sollevando. Li riapri quando sentì che il vento si era calmato, alcune gocce di una leggera pioggerella stavano scendendo dal cielo, lei non c’era più, sotto lo scalino vi era solo un mucchietto di sabbia, rossa come il colore dei puntini che le gocce di quella strana pioggia lasciavano sul suo soprabito.
Si chiese cosa fosse stato: un sogno forse? I giorni che seguirono li passò facendo delle ricerche storiche che riguardano la comunità di quel paese, scoprendo che la notte tra il due e il tre settembre del 1798 vi fu un’incursione di pirati barbareschi, dopo due giorni e due notti di saccheggi oltre 900 abitanti furono portati in catene a Tunisi. Tra di loro c’era una bambina di nome Francesca Rosso. All’età di 17 anni divenne la “favorita” del principe Sidi Mustafà, che le impose il nome di Lela Jenet Bèia, l’unione fu felicemente allietata dalla nascita di un maschio, che sarebbe diventato uno dei sultani più illuminati del Nord Africa.
Inoltre, una ricerca anagrafica confermò che tra quei schiavi vi fu anche un suo avo che, oltre al cognome, aveva il suo medesimo nome di battesimo: Antonio, anche se lui era conosciuto da tutti come Tony. La voglia color porpora a forma di cicatrice, sulla guancia destra, era sempre stata, per quanto ricordasse, una peculiarità dei maschi della sua famiglia.
P.S I fatti storici riportati sono realmente accaduti. Il resto è opera di fantasia…o forse no!
In memoria di Francesca Rosso, schiava, principessa, madre di sultano.
[Il racconto è liberamente ispirato alla storia di Carloforte e su fatti realmente accaduti tra la fine del settecento e i primi anni dell’ottocento. ]
Antonello Rivano (©Tutti i diritti riservati)
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